GABRIELE SANDRI

Sono passati sei anni da quel maledetto 11 novembre, poco meno dal giorno in cui sono andato a tributare l’ultimo saluto a quel ragazzo nella chiesa messa a disposizione dal Comune di Roma dove era stata allestita la camera ardente. E a distanza di sei anni ho ancora tutto scolpito nella mente. Quei minuti passati in silenziosa attesa, quelle immagini, quel silenzio…

Un genitore non dovrebbe mai dover seppellire un figlio o una figlia. E’ una cosa innaturale, oltre che estremamente ingiusta. Ho visto Giorgio Sandri che non si staccava dalla bara e che accarezzava la testa di Gabriele sussurrando “Angelo mio, angelo mio…”. Un sussurro che a distanza di sei anni è ancora un boato nella mente di un altro genitore come me, che per qualche istante si immagina lì, seduto al posto di quell’uomo piegato dal dolore, ad accarezzare per l’ultima volta un figlio che non rivedrà mai più. Quel giorno non ho avuto il coraggio di incrociare lo sguardo di Giorgio Sandri, tantomeno, quello della madre di Gabriele che stringeva la mano del figlio come si fa ad un ragazzo che soffre per consolarlo, per dargli forza facendogli sentire che la mamma è lì vicino. Ricordo Cristiano, seduto, vicino all’avvocato e agli amici, con lo sguardo perso nel vuoto. Ricordo che ci guardava in faccia quando sfilavamo, ma non ci vedeva, perché la mente era lontana, dispersa chissà dove, magari intenta a frugare nell’album dei ricordi.

Non dimenticherò mai l’abbraccio dato oggi ad un amico con il quale avevo avuto qualche discussione, frutto di incomprensioni, di malintesi, di modi diversi di vedere la vita. Ci siamo abbracciati e abbiamo pianto senza dirci nulla. Intorno, tanta gente, mai così silenziosa. Anche il traffico solitamente caotico in quel tratto di Roma che va da piazza Venezia a Bocca della Verità era stranamente silenzioso quel giorno. Ricordo lo sguardo di tanti amici d’infanzia con i quali ho condiviso mille trasferte e mille battaglie calcistiche dentro e fuori gli stadi di tutta Italia. Non ci siamo detto nulla, ma con lo sguardo ci dicevamo tutti la stessa cosa: POTEVA TOCCARE A NOI… Quel giorno ho pensato che davanti a quella bara presidi e professori avrebbero dovuto far sfilare quel giorno tutti i ragazzi dei licei di Roma, in modo da mettere i ragazzi davanti alla realtà dolorosa della morte, che per loro è spesso e volentieri un concetto astratto. Invece bisogna immergersi nel dolore per evitare di provocare nuovo dolore. Chi quel giorno è passato davanti a quella bara e a quei due genitori piegati dal dolore e a quel fratello distrutto, svuotato, probabilmente non ha più pensato neanche per un solo momento di prendere un arma o di scatenare una battaglia in cui potrebbe anche perdere la vita un altro Gabriele, magari con la divisa addosso.

E forse non è un caso se da quel giorno in poi a Roma non è successo più nulla di grave, tranne in occasione dei due derby dello scorso anno. Forse in tanti hanno capito che era ora di dire basta, di smettere di pensare che il sangue debba essere lavato con altro sangue, in una spirale di violenza e di vendetta senza fine. Sono andato a troppi funerali. Ho visto morire troppi amici, ho visto troppi genitori seppellire figli che si erano appena affacciati o che ancora dovevano ancora affacciarsi alla vita. E’ successo in nome della politica e anche del “Dio pallone”. Ma è stato folle!

Ci sono voluti 1555 giorni per avere Giustizia, ma alla fine lo slogan GIUSTIZIA PER GABRIELE è diventato realtà, scritto nero su bianco in calce ad una sentenza definitiva che ha condannato Spaccarotella per omicidio. Solo a nominarli, 1555 giorni fanno impressione. Provate a pensare ad un bambino di 1555 giorni, a quante cose sono cambiate da quel primo vagito a quando supera il traguardo dei 4 anni. In quei 1555 giorni è raccolto un universo di sensazioni e di emozioni di un genitore che vedere crescere suo figlio, passo dopo passo, esperienza dopo esperienza e scoperta. Ora prendere tutte queste belle cose e trasformatele in negativo, prendete i colori e trasformateli in bianco e nero, o in certi casi solo nero senza neanche un puntino di bianco. Una volta che lo avrete fatto, avrete il quadro della vita di Giorgio Sandri, di suo moglie, di Cristiano e di tutti i familiari e gli amici di Gabriele, il percorso di quei maledetti 1555 giorni.

Tanto è dovuto passare da quel maledetto 11 novembre per avere Giustizia, tanto hanno dovuto aspettare Giorgio, Cristiano, Daniela e tutti quelli che hanno voluto bene a Gabriele quando era ancora in vita e che dopo 6 anni sono legati da un filo indissolubile a questa incredibile famiglia. Loro e noi che a Gabriele ci siamo affezionati considerandolo chi una sorta di figlio adottivo chi un fratello, abbiamo dovuto aspettare 1555 giorni prima di vedere la parola fine in calce a questa vicenda, La mia è una battaglia di principio. Non andiamo in cerca di un anno in più o in meno di carcere per Spaccarotella, perché non è l’entità della condanna che ci cambia la vita o che ci colma il vuoto lasciato dalla morte di Gabriele. Noi vogliamo solo che sia riconosciuta in via definitiva la volontarietà dell’atto omicida. Senza attenuanti di nessun genere. Perché Spaccarotella ha sparato per uccidere, con la consapevolezza che con quel suo gesto poteva uccidere qualcuno. Come purtroppo è stato”.

Questo ha ripetuto sempre Giorgio Sandri per 1555 giorni. Queste sono le parole che mi tornano in mente oggi, a distanza di sei anni da quell’11 novembre. Questo mi viene in mente vedendo per l’ennesima volta la foto di un Gabriele Sandri che non c’è più, ma che cresce negli occhi e nel sorriso di un Gabriele Sandri nato dopo quella tragedia, a dimostrazione che la vita scorre, inesorabile. E che tutto passa, anche se il ricordo di chi non c’è più resta nel cuore e nella memoria di chi gli ha voluto bene e che ha avuto la fortuna di incrociare nella sua vita un Gabriele Sandri.

Potrei scrivere per ore, usando i tasti del computer per tirare fuori le sensazioni di un padre che si è immedesimato in un altro padre. Ma preferisco chiudere qui, con un abbraccio a Giorgio, a Daniela, a Cristiano e a tutti gli amici che continuano a soffrire in silenzio. E con un bacio ideale al piccolo Gabriele, che ha riportato un barlume di luce e un sorriso in quella famiglia straordinaria, che ha dato una lezione a tutti per la compostezza con cui ha affrontato quella tragedia e il successivo calvario giudiziario durato 1555 giorni.

STEFANO GRECO



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