NESTA

Il 23 agosto del 2002 è una di quelle date difficili da dimenticare, perché quando vivi grandi emozioni tutte le sensazioni che provi finiscono direttamente nello scrigno dei ricordi preziosi e lì restano conservate. Per sempre. Perché è come mettere dei gioielli in una cassetta di sicurezza di un caveau di una banca inviolabile, solo tu puoi accedere e nessuno può neanche sbirciare per vedere che cosa c’è dentro. E il 23 agosto del 2002 è uno di quei gioielli, anche se tirarlo fuori dalla cassetta fa male, perché quello è stato l’ultimo giorno in cui Alessandro Nesta ha indossato la maglia della Lazio, anche se solo in una partita amichevole. E io l’ho vissuto a bordo campo, vicino a lui, diviso tra lavoro e tifo, tra cuore e testa, in un mix di sensazioni difficili da descrivere.

Quella del 2002 è un’estate difficile per la Lazio. Cacciato Zaccheroni, Cragnotti ha deciso di affidare la squadra al figliol prodigo Roberto Mancini, tornato a Roma dopo un anno e poco più di esilio volontario in quel di Firenze. Sono passati appena due anni dalla conquista dello scudetto, la Lazio non è più la squadra ricca e potente di quando il “Mancio” indossava gli scarpini e la maglia numero dieci, invece delle scarpe eleganti nere e della divisa ufficiale che lo fanno sembrare un altro. La Lazio è pressata dalla FIFA per il saldo non versato dell’acquisto di Stam dal Manchester United (18 milioni di euro) e per le rate dell’acquisto di Mendieta dal Valencia. In Italia, Cragnotti per la prima volta in 10 anni di gestione ha faticato ad ottenere l’iscrizione al campionato, arrivata solo grazie ad una fidejussione concessa da Capitalia (ora Unicredit) solo perché la Lazio ha pagato una costosissima polizza assicurativa a garanzia. Il gruppo Cirio ha problemi, i soldi non arrivano più con la continuità di prima e la squadra non ha ancora incassato le ultime mensilità della stagione precedente. Per questo, ci sono incontri febbrili e assegni che partono da Roma alla volta di Vigo di Fassa per ottenere le firme dei giocatori sulle liberatorie da presentare alla Federcalcio per ottenere l’iscrizione al campionato. La Lazio ha bisogno di fare cassa e in città cominciano a girare voci sulla possibile cessione di Nesta per tappare i buchi di un bilancio tutt’altro che sano.

Dopo Nedved e Veron, sembra essere lui il gioiello da sacrificare, anche perché sul capo della Lazio e del giocatore pende una causa multimilionaria da parte di una società che aveva ottenuto da Nesta la procura per cederlo, il tutto orchestrato dall’avvocato Canovi, ex procuratore di Nesta. Il Real Madrid è alla finestra, il Milan è in pressing costante e Galliani, che ricopre anche la carica di presidente della Lega Calcio (alla faccia del conflitto d’interessi), promette il suo aiuto per risolvere la questione legata all’acquisto di Manfredini ed Eriberto (ora Luciano) dal Chievo per 20 milioni di euro e di Oddo dal Verona per 10. Cifre che la Lazio non può più spendere, ma ci sono dei contratti firmati. Anche con l’intermediazione di Galliani, la Lazio riesce ad annullare l’acquisto di Eriberto e a pagare meno sia Manfredini che Oddo. Ma quella firmata con Galliani è una cambiale destinata ad andare prima o poi all’incasso. E sono in molti a sospettare che quella cambiale sia garantita dal cartellino di Alessandro Nesta.

Il capitano non ne vuole sapere di andare via. Arriva in ritiro più tardi degli altri (come tutti i nazionali reduci dalla disastrosa spedizione ai mondiali di Corea e Giappone) in ritiro e davanti all’assalto di giornalisti e cameramen ripete “io voglio restare alla Lazio”. Poi si chiude in un lungo silenzio, ma le voci continuano e la marea monta di giorno in giorno. Un incontro tra Cragnotti e Galliani in Sardegna, le frasi di Berlusconi (il Milan non si può permettere di spendere tutti quei soldi per Nesta, quindi non verrà”) che non convincono, il silenzio della Lazio. Giorno dopo giorno appare sempre più inevitabile il divorzio, anche se da mesi Cragnotti giura che “la Lazio non cederà Crespo e non venderà neanche Nesta, la nostra bandiera”. Lo ha promesso anche agli azionisti lanciando un aumento di capitale che non ha portato però nelle casse della Lazio la cifra su cui contava Cragnotti per tappare i buchi e per evitare scelte dolorose. Nesta o Crespo, è questo il nome che deve uscire dalla margherita che sta sfogliando Cragnotti. Una scelta necessaria, perché il Milan con la complicità di Ernesto Bronzetti ha fatto saltare il mega affare messo in piedi da Cragnotti e che avrebbe consentito alla Lazio di risolvere tutti i suoi problemi: Claudio Lopez, Mendieta e Diego Pablo Simeone ceduti all’Atletico Madrid solo in cambio di soldi. Tanti, più di 50 milioni di euro. Ma salta tutto perché il Milan “regala” alla società di Jesus Gil y Gil cinque giocatori, tra cui José Mari, Coloccini e addirittura Demetrio Albertini. Tutto pur di far saltare quella cessione che avrebbe consentito alla Lazio di blindare Nesta e Crespo. Ed Ernesto Bronzetti e Galliani riescono nel loro intento.

Tra sussurri e grida, si arriva così al 23 agosto del 2002, il giorno della presentazione ufficiale della Lazio allo Stadio Olimpico. La partita con il Deportivo Alaves è trasmessa in diretta da La7 e io vengo assegnato alle interviste a bordo campo. Quel giornoa Roma fa un caldo infernale, si suda anche a stare fermi. Arrivo all’Olimpico presto, perché devo fare per La7 il bordo campo di Lazio-Deportivo Alavès e devo prendere accordi con l’ufficio stampa e con i giocatori. Da settimane in città si parla quasi solo ed esclusivamente della possibile partenza di Alessandro Nesta, l’agnello da sacrificare sull’altare per allontanare i fantasmi di una crisi societaria sempre più incombente. Sandro da settimane è assediato e tutti gli fanno la stessa domanda: “Resti o parti?”. E lui risponde sempre allo stesso modo: “Se dipendesse da me, resterei qui per sempre, chiedete al presidente”. Non dipende da lui, infatti. E io mi trovo nella scomoda posizione di dover fare per l’ennesima volta quella domanda, perché è lui, Alessandro Nesta, il personaggio su cui sono puntati tutti i riflettori di un’amichevole che altrimenti susciterebbe ben poco interesse.

Entro negli spogliatoi e lui sta in un angolo, in silenzio, con il fratino sopra la maglia, perché ha poche settimane di allenamento nelle gambe, la condizione è ancora approssimativa anche a causa dell’infortunio rimediato in Giappone e Mancini decide di farlo partire dalla panchina. Un saluto accennato con la testa, poi imbocchiamo insieme il lunghissimo tunnel che dagli spogliatoi porta al campo. Ho il microfono in mano, stiamo quasi spalla contro spalla e camminiamo in un silenzio quasi irreale, rotto solo dal rumore dei suoi tacchetti sul pavimento. Quel tragitto dura un’eternità, quando saliamo gli scalini che portano sul campo ha il volto tirato, guarda subito verso la Curva Nord e non riesce a sciogliersi neanche quando il suo ingresso in campo è accolto da un boato. Resto con il microfono in mano, so che dovrei fermarlo e fare il mio lavoro, so che dovrei mettergli quel “gelato” sotto la bocca per fargli quella domanda che si è sentito fare centinaia di volte negli ultimi mesi perché sono pagato per fare questo, ma in un istante decido che in quel momento l’uomo è più importante del calciatore e il rispetto per la persona è più importante del lavoro. Mi fermo, lui si gira, accenna un sorriso e mi guarda con l’espressione di chi ti ringrazia senza dire una sola parola, solo con gli occhi. Quella sera, faccio le mie interviste, Nesta lo lascio allo speaker ufficiale, che nel presentarlo al pubblico gli strappa solo poche imbarazzate parole che si mescolano agli applausi: “Sono contento di essere ancora qui, spero di restare il più possibile, voglio tornare a vincere qualcosa”. Sembra una promessa di riscossa, invece è il suo saluto alla gente. Sandro scende in campo nel secondo tempo, al posto di Jaap Stam e mentre lui gioca esce tra gli applausi Hernan Crespo. Con l’argentino il rapporto è diverso, quindi quando a 5 minuti dal termine Mancini lo sostituisce lo fermo e gli faccio la domanda che non ho fatto a Nesta: “resti?”. Lui sorride e sta al gioco. “Che giorno è oggi? Il 23 agosto? Rifammi la stessa domanda la sera del 31 agosto alla fine dell’amichevole con la Juventus. Se quel giorno starò in campo, vuol dire che giocherò tutta la stagione con la Lazio, altrimenti…”.

Il 31 agosto Hernan Crespo non scenderà in campo contro la Juventus e non ci sarà neanche Nesta, perché alla fine la Lazio è stata costretta a cedere entrambi. Con Alessandro ci siamo rivisti poche ore prima a Formello. Ha appena salutato i compagni e tutte le persone che lo hanno visto crescere. Sta seduto dentro la macchina con il finestrino abbassato. Ha gli occhi gonfi, figli dell’emozione del momento e di una notte passata in bianco, nascosti a malapena dagli occhiali scuri da sole. Riesco a dirgli a malapena “in bocca al lupo” mentre ci stringiamo la mano. Lui abbassa gli occhiali, fa per rispondere, ma dalla bocca non gli esce neanche un “grazie” o uno scaramantico “crepi”: china la testa, ingrana la marcia e scappa via per sempre lasciando a Formello una parte di sé, quella che non è mai sbarcata a Milano. E con la quale non si è più ricongiunto, perché quella che doveva essere solo una separazione con la promessa di un finale a lieto fine con la bandiera che torna a casa per chiudere la carriera, è diventata un divorzio in piena regola e una bandiera strappata. Una delle tante di questa società che da sempre non riesce a chiudere bene i rapporti importanti: da Bernardini a Piola, da Chinaglia a Giordano, da Signori a Nesta, non c’è stato mai un lieto fine.

STEFANO GRECO



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