MAURIVenti mesi di gogna mediatica, con l’aggiunta prima del carcere e poi degli arresti domiciliari, prima di avere un verdetto sportivo che ha totalmente smentito sia il castello accusatorio costruito dalla Procura di Cremona che di conseguenza quello fatto dalla procura Federale per ottenere una squalifica esemplare per illecito sportivo. Dall’Inferno, quindi, Stefano Mauri è passato al Purgatorio, a dover scontare 6 mesi di squalifica per omessa denuncia non per Lazio-Genoa (presentata da Palazzi come la madre di tutti gli illeciti sportivi…), ma per Lazio-Lecce. Un paio di settimane di attesa per il ricorso alla Corte Federale, perché come aveva detto a caldo e poi ribadito in appello l’avvocato del giocatore, “Condannare anche soltanto a un solo giorno di squalifica vorrebbe dire asseverare un macroscopico errore giudiziario, Mauri è stato scarcerato per rendere inammissibile il ricorso al riesame che avevamo in corso e che se vinto avrebbe fatto cadere fin dall’inizio l’intero castello accusatorio della procura di Cremona e di conseguenza della procura Federale”. Ma passato il ferragosto, alla vigilia della finale di Supercoppa con la Juventus, il colpo di scena. Invece di far calare il sipario sull’intera vicenda o di accogliere il ricorso presentato da Palazzi, sentite le parti la Corte Federale ha deciso di non decidere, ha rinviato (senza fissare una data) il verdetto disponendo “nuovi accertamenti e ulteriori attività di indagine relative alla posizione del laziale Stefano Mauri e della società Lazio”. Con questa decisione alla Ponzio Pilato, di fatto la Corte Federale ha fatto cadere nel dimenticatoio il caso-Mauri, un po’ come quando per far vedere che la casa è pulita e in ordine si mette la polvere sotto il tappeto e si ammassano le cose dentro gli armadi. Perché oramai conta più l’apparenza che la sostanza. Ma, soprattutto, perché così facendo la Corte Federale ha cercato di “salvare” in qualche modo la procura Federale.

Sì, perché il superprocuratore Stefano Palazzi era uscito con le ossa rotte dall’ultimo processo del calcioscommesse. La sua linea era stata frantumata e a mettere sale sulle ferite ci si era messo anche il procuratore di Cremona, Di Martino, con un’intervista a “La Repubblica” nella quale aveva lanciato durissime accuse alla giustizia sportiva e al mondo del calcio. Parole che se da un lato hanno compattato Abete e Malagò, hanno lasciato comunque segno. Il caso-Mauri e la successiva “non decisione” della Corte Federale hanno dimostrato in modo lampante che questa giustizia sportiva va riformata, che il meccanismo attuale non funziona. Il calcio italiano deve combattere la piaga del calcioscommesse che, se non fosse stato per le intercettazioni delle varie Procure, mai e poi mai sarebbe stata scoperta da palazzi e dai suoi presunti 007. Le bande criminali ormai sono organizzatissime a livello mondiale e hanno esteso la loro attività anche le amichevoli estive e alle gare giovanili, contattando calciatori e club addirittura sui social network, Facebook in testa. Chi doveva affrontare il problema e risolverlo in modo drastico, ha perso troppo tempo per mettere mano ad una riforma vera, globale e seria della giustizia sportiva. La responsabilità non è solo di Abete, ma anche di Petrucci e di Malagò, ovvero di chi guida il Coni. Il nuovo presidente, in carica dal 19 febbraio, ha garantito per l’ennesima volta che entro fine anno ci saranno finalmente nuove norme. Ma siamo quasi a settembre e non esiste ancora un progetto reale di riforma e, soprattutto, siamo alle prese con un caso a dir poco ridicolo.

Sì, perché anche se quello di Mauri non è un nome altisonante come quello di Conte (la cui squalifica fece discutere per mesi9 e la Lazio non ha neanche la minima parte del peso politico del Napoli (che fece fuoco e fiamme e ottenne in un amen la cancellazione della squalifica di Cannavaro e della penalizzazione in classifica) e tutti hanno fatto a gara per far cadere in silenzio e rapidamente nel dimenticatoio questa vicenda, il caso-Mauri sta lì a dimostrare quanto sia ridicolo questo circo chiamato Giustizia Sportiva.

Ma come, ci hanno messo 15 mesi per mettere su un processo, Palazzi ha chiesto pene pesantissime sia per Mauri che per la Lazio, è stato sbugiardato dai giudici di primo grado e ora la Corte Federale sostiene che non ci sono elementi sufficienti per emettere un verdetto? E allora se servono ulteriori indagini e approfondimenti, su quali basi è stato istituito il processo di primo grado? E se non sono bastati 15 mesi per trovare una sola prova che inchiodasse Mauri alle sue responsabilità (e di conseguenza la Lazio…) quanto dovremo aspettare ancora per questi“ulteriori accertamenti”? E se poi non dovessero portare a nulla, chi ripagherà Mauri (e di conseguenza la Lazio…) del danno subito, visto che il giocatore ha già saltato due partite ufficiali e non sa neanche quante altre ne dovrà saltare in attesa che la Corte Federale decida di riunirsi nuovamente per decidere del suo caso? Un caso, quello di Mauri, che riporta alla mente quello portato sugli schermi da Nanny Loi (tifoso laziale…) con il film “Detenuto in attesa di giudizio”, con il Mauri della situazione interpretato magistralmente da Alberto Sordi. Sono passati più di 40 anni, ma la situazione non è certo migliorata, né per quel che riguarda la giustizia ordinaria che tanto più per quel che riguarda la giustizia sportiva, basata su regole oramai fuori dal tempo.

Insomma, il campionato è iniziato e al contrario di quanto era stato promesso (in primis da Abete) anche questa stagione è iniziata con una classifica che potrebbe essere virtuale, visto che sia la Lazio che il Genoa hanno comunque una spada di Damocle di una possibile penalizzazione che pende sulla loro testa, anche se nel processo di primo grado i liguri sono stati scagionati e la Lazio se l’è cavata con una multa di 40.000 euro. E tutto questo è assurdo, inconcepibile, perché parliamo di partite che risalgono addirittura a 3 campionati fa. E per quei “presunti reati”, che secondo i giudici di primo grado non sono stati provati dalla procura Federale, Lazio e Genoa sono costrette a giocare senza avere certezze, mentre Mauri è finito proprio nel dimenticatoio: chiuso dentro un armadio come si fa con i panni per mostrare che la casa è in ordine o con la polvere che viene messa sotto il tappeto per far vedere che è tutto pulito. La responsabilità è della giustizia sportiva, ma c’è anche la complicità di chi fa informazione e in questi giorni parla solo ed esclusivamente di fanta-operazioni di mercato o comunque di altro, mentre un anno fa ci martellava tutti i santi giorni con il “caso-Conte”. Titoloni sui giornali e interviste al veleno di Conte che accusava tutto e tutti, con la Juventus pronta ad alzare la voce in ogni occasione per sostenere e spalleggiare il suo allenatore. La Lazio, invece, tace e Mauri è troppo una brava persona per urlare ai quattro venti la sua rabbia per una vicenda che sta assumendo i contorni della farsa.

Come abbiamo sostenuto fin dal primo momento, noi non lo sappiamo se Mauri è completamente innocente, se lo è solo in minima parte come ha detto la sentenza di primo grado oppure se è colpevole come il peccato come continua a sostenere Palazzi. Quello che sappiamo, è che a distanza di 17 mesi dal suo arresto non è stata ancora fornita una sola prova in grado di inchiodare il giocatore e di conseguenza la Lazio. Quello che sappiamo è che la Corte Federale ha sostenuto che non ci sono abbastanza elementi per giudicare. Quello che sappiamo, è che Mauri e il suo caso sono finiti nel dimenticatoio. E questo fa a cazzotti con il termine “giustizia”…



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