Minuto numero 33’, un cross dalla destra, un intervento in scivolata ad anticipare il difensore e il pallone che rotola in rete, poi un boato e un applauso interminabile. Miro Klose è entrato così nella storia, con un gol alla Klose, siglando nel derby contro l’Austria la rete numero 68 con la maglia bianca della Germania, raggiungendo in vetta ai marcatori di tutti i tempi Gerd Muller, il mito dei miti del calcio tedesco.
http://www.youtube.com/watch?v=Qatige_3IxE
Tutto lo stadio in piedi ad applaudire e a urlare per tre volte il suo nome su invito dello speaker, Klose che corre ad abbraccia Muller che gli ha servito l’assist decisivo: e che sia stato proprio l’omonimo del grande Gerd a mettergli sui piedi il pallone del record, è una storia nella storia, quasi un qualcosa di magico, uno di quei segni che il destino si diverte a regalarci e che non può essere liquidato come una semplice coincidenza.
Qui a Roma si sono consumate centinaia di pagine di giornali, sono stati prodotti dvd e enciclopedie per celebrare un record (quello di Totti) che non è record se non confinato alla storia della Roma, quindi non oso immaginare che cosa sarebbe successo oggi o nei prossimi giorni qui in città o nella comunicazione romana se Miro Klose avesse indossato la maglia giallorossa invece che quella biancoceleste. L’uomo che ha segnato più gol nella storia dei mondiali di calcio, l’attaccante che ha raggiunto una leggenda del calcio mondiale come Gerd Muller che sembrava inavvicinabile lì sul trono riservato al bomber più prolifico di tutti i tempi di una nazione che da sempre e soprattutto in questo momento rappresenta il calcio in Europa, indossa la maglia della Lazio. Un qualcosa di cui andare orgogliosi, un patrimonio da conservare e da esporre con orgoglio al mondo intero, un veicolo per promuovere il nome Lazio nel mondo intero se alla guida della società ci fosse qualcuno in grado di produrre soldi. Invece, è come gettare perle ai porci, l’ennesimo patrimonio disperso da parte di una società che da sette stagioni non riesce a trovare uno straccio di sponsor, che non riesce ad organizzare un’amichevole di prestigio neanche avendo in organico uno dei miti del calcio europeo e mondiale. Di un club che invece che costruirgli una squadra intorno, quest’anno lì in attacco lo ha lasciato praticamente da solo, relegandolo al massimo al ruolo di “badante” di due giovani.
Quindi, vedere Miro Klose sommerso dall’abbraccio dei compagni di squadra e osannato da uno stadio e da un’intera nazione, fa provare sensazioni contrastanti: orgoglio, perché il nome di Klose almeno per quest’anno è ancora abbinato a quello della Lazio, ma rabbia pensando a quello che avrebbe potuto realizzare in termini economici un genio della comunicazione e del marketing come Sergio Cragnotti avendo sotto contratto un giocatore del genere nel calcio di oggi che vive solo di immagine e di miti costruito ad uno e consumo del mondo della comunicazione globale. Avere Miro Klose e non sfruttare il “prodotto-Klose”, è un po’ come stare seduti su un forziere pieno d’oro ma non avere né la chiave del lucchetto né la combinazione per aprire quel forziere. L’immagine perfetta della Lazio di oggi del “vorrei ma non posso”, anzi, del “potrei ma non voglio”, perché basterebbe forzarlo quel lucchetto per mettere le mani su quel tesoro. E invece no… E nessuno ti spiega neanche il perché!
E’ giusto celebrare Miro, augurargli di segnare anche martedì per staccare Gerd Muller e diventare il più grande di tutti i tempi in Germania, poi di segnare in Brasile per diventare anche il più grande di tutti i tempi nella storia dei Mondiali. Ma è inevitabile fermarsi un attimo a pensare cosa potrebbero fare altri avendo uno come Klose in organico. Il Milan ha venduto 15.000 mini-abbonamenti di Champions League in un giorno sull’onda dell’entusiasmo provocato dal ritorno di Kakà, uno quasi sparito da almeno due anni dal calcio che conta, noi con Klose e una Coppa Italia appena conquistata abbiamo meno abbonati rispetto ad un anno fa e una società che ha indebolito la rosa in ruoli chiave disperdendo in poche settimane quel patrimonio di entusiasmo che aveva prodotto quello storico successo. Quindi, come si fa a non guardare con gioia ma anche con un pizzico di rabbia queste immagini pensando a quello che potrebbe essere e non sarà perché alla guida della Lazio c’è uno che non è capace o che non vuole far fare alla squadra un salto di qualità?
STEFANO GRECO
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