Estate del 1981. La Lazio è uscita a pezzi dal campionato di Serie B. Dopo un’intera stagione passata tra il primo e il terzo posto, la “corrazzata” di Ilario Castagner è affondata a pochi metri dal porto, quando già vedeva le luci del faro e la gente che salutava sul molo. Sogni e speranze si sono infranti a 11 metri dal sogno, a causa di quel rigore sbagliato da Stefano Chiodi in pieno recupero nell’ultima partita in casa della stagione contro il Vicenza. L’unico rigore sbagliato da Stefano Chiodi in tutta la carriera… Roba da Lazio, ma d’altri tempi.
Per tirare su un ambiente in ginocchio e per riportare un minimo di entusiasmo in una piazza ancora sotto choc e che medita vendetta contro un gruppo di calciatori da cui si sente tradita, la società sceglie la strada del cuore. Riporta a casa Felice Pulici dopo l’esilio in quel di Ascoli, ma soprattutto riporta a casa Vincenzo D’Amico. Anzi, a dirla tutta è Vincenzino che decide di tornare a casa, che lascia Torino, la Serie A e anche ogni speranza di restare nel giro della Nazionale che sta preparando i Mondiali del 1982 (dove diventerà Campione del Mondo…) per seguire la strada del cuore, quella che conduce a Roma, quella che lo porta a indossare nuovamente quella maglia bianca e celeste e la fascia di capitano. Lui che capitano lo è stato nella Primavera del 1980, quando metà dei titolari stavano a Regina Coeli e c’era da guidare una squadra di ragazzini verso la salvezza. Lo è stato recitando un ruolo da protagonista in quel Lazio-Catanzaro entrato nella storia e quel giorno e con quell’impresa è entrato definitivamente nel cuore di tutti i laziali, anche di quei pochi che lo contestavano per la sua pigrizia e per la sua indolenza.
Lo ricordo come fosse ieri quel giorno a via Col di Lana, con centinaia di persone sotto la sede della società in attesa della notizia ufficiale della firma tanto attesa sul contratto e poi con Vincenzino portato in trionfo dai tifosi, primo fra tutti “il tassinaro”, forse il capo storico dei suoi contestatori. Ma Goffredo amava la Lazio e con quel gesto, con la rinuncia a tanti soldi e alla possibilità di restare in Serie A e nel giro della Nazionale, Vincenzino aveva commosso e conquistato anche lui. Non andò bene quella stagione. Castagner fu esonerato a metà stagione, la squadra precipitò in un oblio che la portò addirittura ad un passo dalla Serie C. E indovinate un po’ chi fu a salvare baracca e burattini? Sì, fu proprio lui, Vincenzino, il figliol prodigo che con una prestazione da antologia regalò alla Lazio la vittoria decisiva nella sfida con il Varese di Eugenio Fascetti che lottava per andare in Serie A. Incroci del destino. Era il 6 giugno del 1982 e sugli spalti non c’erano neanche gli abbonati, ma poche migliaia di fedelissimi. Sotto di due gol dopo neanche un quarto d’ora per i gol di Turchetta e Bongiorni, la Lazio si ritrova ad un passo dal baratro, ma entra in scena Vincenzo D’Amico. Segna un rigore sotto la Curva Sud, poi si guadagna una punizione quasi al vertice dell’area di rigore, sotto la Monte Mario. Il suo marcatore è entrato duro, Vincenzo ha un buco vicino alla caviglia da cui esce sangue. Gli mettono il ghiaccio, ma c’è la punizione da battere, quindi lui rientra in campo. Sistema la palla, si piega leggermente sulle ginocchia per il dolore, poi prende la rincorsa: tutti pensano ad un cross, compreso Rampulla che difende la porta del Varese, ma la genialità e quel pizzico di follia che lo ha sempre contraddistinto convince Vincenzo a puntare direttamente al gol! Un pallone ad aggirare la mini-barriera, la sfera che prende una traiettoria che coglie tutti di sorpresa e quando Rampulla si accorge di quello che sta succedendo è troppo tardi, al punto che finisce dentro la porta con tutto il pallone, vicino al primo palo. Vincenzo esulta e nella ripresa completa la sua opera, realizzando il 3-2 decisivo sempre dal dischetto. Tre gol, Lazio salva e basi gettate per la promozione che arriverà l’anno successivo.
Questa storia mi è tornata in mente la settimana scorsa, vedendo le immagini di Kakà portato in trionfo dai tifosi del Milan. In difficoltà, senza soldi da poter investire sul mercato e anzi costretta a vendere l’ennesimo pezzo prezioso di arredamento (Boateng) per riequilibrare il bilancio, la società rossonera ha deciso di puntare sul cuore per riconquistare la gente. Perché in fondo basta veramente poco per far felici i tifosi. E allora ho pensato all’ennesima occasione gettata al vento da questa società. Burak Yilmaz non rappresentava certo il cuore, ma il suo arrivo era considerato un segnale forte di crescita, o almeno di volontà di crescere. Grazie al ritorno di Kakà, il Milan nel giro di 24 ore ha venduto più di 15.000 mini-abbonamenti per la Champions League. Provate a chiedere quanti mini-abbonamenti per l’Europa League ha sottoscritto la Lazio dopo la chiusura del mercato e l’ennesimo tradimento consumato da chi guida la società. Oltre ad essere ottuso dal punto di vista calcistico, Claudio Lotito ha dimostrato per l’ennesima volta di essere ottuso dal punto di vista della gestione della società. L’arrivo di Yilmaz avrebbe portato immediatamente soldi nelle casse della Lazio e una società minimamente lungimirante avrebbe legato questa operazione sportiva ad un accordo commerciale, utilizzando il giocatore come veicolo pubblicitario. Il governo turco spende centinaia di milioni di euro ogni anno per promuovere il turismo, banche e compagnie aeree turche sono diventate sponsor principali sia della Champions League che dell’Eurolega di basket, quindi facendo le cose bene e in tempo si poteva rientrare di gran parte dell’investimento fatto catturando uno sponsor (che manca da sette stagioni) e con incassi immediati al botteghino. Ma non è finita…
Torniamo al discorso del cuore, da cui eravamo partiti. Comprare tanto per comprare, ma allora non era meglio volare a Toronto per convincere Nesta e Di Vaio a chiudere la carriera nella Lazio, piuttosto che andare a prendere Novaretti che nelle prime due partite giocate ha dimostrato di avere la rapidità di un bradipo e per giunta svogliato e magari di reintegrare Sculli visto che non c’è più nessuno alle spalle di Klose e Floccari? Sarebbe stato un gesto importante, avrebbe dimostrato con i fatti e non a chiacchiere che la società è attenta al desiderio della gente di rivedere un po’ di Lazio all’interno di una Lazio da cui i laziali sono stati quasi banditi a tutti i livelli, neanche fossero appestati. Non c’è un dirigente che rappresenti il passato, tra gli allenatori delle giovanili si vanno a scegliere addirittura ex giocatori della Roma che con la Lazio non hanno nulla a che fare e la gente si chiede quali valori di lazialità possa trasmettere ai ragazzi uno che è cresciuto a Trigoria. Oramai a Formello si parla più straniero che italiani, ci sono (con tutto il rispetto e senza la benché minima volontà di discriminazione, chiariamolo subito…) tre albanesi e un solo romano che non è neanche cresciuto nella Lazio nella rosa della prima squadra. Invece di chiedere scusa per un mercato fallimentare o quasi, Lotito provoca sostenendo che i tifosi devono essere stracontenti del mercato fatto dalla Lazio e che Yilmaz non rientrava nei piani della società. E poi si parla di tradizione, oppure ci si chiede come mai la gente si allontani sempre più da questa società senza anima, che al posto del cuore ha una banconota. Eppure, basterebbe tanto poco. Ma evidentemente qui anche il minimo sindacale è diventato un lusso se si parla di cuore, di Lazialità e di venire incontro a sogni e desideri dei tifosi…
STEFANO GRECO
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