“Io parlo di calcio, voi di pallone”. E’ una delle frasi tormentone di Lotito, forse la più gettonata in questi nove anni di presidenza, insieme a quella della leggenda dei“tre parametri” necessari per essere accolto nella famiglia Lazio. Che non sono potenzialità “le atletico-agonistiche, la compatibilità economico-finanziaria e la moralità”, come racconta il gestore amatriciano, ma“la scarsa personalità che porta a non contestare mai l’operato del padrone, l’arrivare a parametro zero o quasi e l’accettare l’ingaggio deciso da Lotito”… Altrimenti, aria. Gli stessi parametri che in questi anni hanno portato sulla panchina della Lazio tecnici di spessore assoluto come Caso, Papadopulo, Delio Rossi, Ballardini, Reja e ora Petkovic. Tutta gente di grandissima personalità, a parole, perché il coraggio di dire quello che pensavano realmente l’hanno trovato (e neanche tutti) sono molto tempo esser usciti da Formello. E questo stato di cose, è sotto gli occhi di tutti, è una realtà indiscutibile: alla Lazio resta solo che dice sempre “signorsì”.
Una regola che vale per tanti nel mondo del calcio, sia chiaro, in ambiente in cui le dimissioni sono rare come l’onestà all’interno del Parlamento. Sono pochi gli allenatori che possono permettersi il lusso di alzare la voce, oppure gli uomini con le “palle” che invece di ingoiare qualsiasi cosa dai presidenti o dall’ambiente salutano tutti e strappano un contratto dando l’addio a soldi certi. Come ha fatto ieri Giampaolo a Brescia. In questo calcio, quindi, è pura utopia pensare ad un Petkovic che fa una conferenza stampa a fine mercato per lamentarsi della campagna acquisti, oppure che con un atto di coraggio da addirittura le dimissioni per non essere considerato responsabile di un eventuale fallimento o quantomeno complice di chi con le sue mosse scellerate ha gettato le basi per un eventuale fallimento. Quindi, è inutile pensare di vedere o addirittura pretendere gesti eclatanti da parte di Petkovic, perché se c’è lui e non qualcun altro sulla panchina della Lazio un motivo ci sarà. E quel motivo lo conosciamo bene tutti, anche se in tanti fanno finta di dimenticare o di non vedere e scelgono la via più breve: gettare la croce addosso all’allenatore. Che non è un fenomeno, che non è certo infallibile, ma che sta facendo le stesse cose che hanno fatto quelli prima di lui: lavorare con quello che passa il convento, tentando di tirare fuori il 110% dagli uomini che gli mettono a disposizione, costretto per giunta a camminare in punta dei piedi per non turbare gli equilibri dello spogliatoio e per non inimicarsi quelli più vicini alla società o al ds. Secondo voi uno come Mazzarri (simpatico come un gatto che ti sta con gli artigli attaccati ai “maroni”…) avrebbe avallato un mercato come quello di quest’anno? E faccio il nome di uno che un paio d’anni fa per mesi è stato accostato alla Lazio e che alla fine è andato a Napoli non perché De Laurentiis gli ha offerto di più, ma perché in Italia nessuno vuole avere a che fare con Lotito. Almeno non gente con ambizioni e con un minimo di attributi.
Per questo Lotito dice di parlare di calcio, invece parla solo di figurine, per giunta senza avere neanche la “cultura” del collezionista di figurine. Perché non ha mai avuto la passione che ha spinto ognuno di noi a provare un brivido di piacere nel ricevere in regalo quell’album, nell’aprire un pacchetto, nell’incollare quell’ultima figurina che ti consente di completare la raccolta. Per lui i giocatori sono tutti uguali, come le figurine. E’ il numero che conta, non il valore. E qui dimostra di non aver mai giocato con le figurine, perché altrimenti saprebbe bene che non sono tutte uguali, che anche per quelle come per i calciatori veri, ci sono quelle che valgono di più, quelle introvabili o quasi per le quali si è disposti a fare follie o quasi pur di entrarne in possesso.
Nel calcio virtuale di Claudio Lotito, la Lazio ha due titolari in ogni ruolo, anzi, addirittura due giocatori di pari valore in ogni ruolo. Nel calcio virtuale di Lotito, Vinicius vale Radu, perché entrambi hanno due gambe, due braccia e una testa. Nel calcio virtuale di Claudio Lotito, non c’è differenza se esce Klose e entra Floccari, perché tutti e due hanno un ingaggio a sei zeri. Nel calcio virtuale di Claudio Lotito, “la Lazio può competere ad armi pari con tutti”, ma se poi dopo aver combattuto (e neanche sempre, perché se scegli per ovvii motivi gente con scarsa personalità poi la cosa la paghi in qualche modo…) perdi, la colpa è dei “fattori imponderabili”. O al limite degli stessi giocatori che non danno il massimo o dell’allenatore che non riesce a sfruttare l’eccezionale materiale umano che gli ha messo a disposizione la società. Insomma, la colpa è di Petkovic che non sa attaccare bene le figurine…
E’ una “cazzata”, lo sappiamo tutti che è un’enorme “cazzata”, ma passa per buona perché nessuno o quasi si sogna neanche lontanamente di mettere Lotito con le spalle al muro, di sbattergli in faccia la realtà. Come la storia degli otto acquisti e la leggenda dei 28 milioni di euro spesi sul mercato. Premesso che fa già ridere che tra gli otto acquisti ci sia Candreva, uno che sta alla terza stagione con la maglia della Lazio e del quale siamo riusciti a conquistare addirittura la metà del cartellino. E chissà se tra gli 8 acquisti Lotito considera pure uno tra Alfaro e Sculli, oppure Elez preso per rinforzare la Primavera, Ma sorvolando su questo, se tu hai speso 28 milioni di euro sul mercato per prendere Anderson, Biglia, Perea, Novaretti, Vinicius, Berisha ed Elez e per ottenere questo risultato, le cose sono due: o non capisci nulla di calcio e devi cambiare sport, oppure sei accomunabile ai matti che girano liberi solo perché hanno chiuso i manicomi. Oppure c’è sempre la terza via: ce magni, per dirla alla romana…
Ieri, nonostante l’assoluta emergenza, dei nuovi “gioielli” acquistati da Lotito non ne è sceso in campo uno. Perea, acquistato quasi sette mesi fa (con tanto di annuncio in conferenza stampa), non è ancora in condizioni di scendere in campo perché a mercato chiuso ci ha messo altre due settimane prima di sbarcare a Roma. Di Vinicius si sono già perse le tracce, Anderson per la sua integrità fisica somiglia sempre più ad Ederson, Novaretti (purtroppo…) lo abbiamo già visto e Biglia oramai è palese che può giocare solo se non c’è Ledesma o lasciando Ledesma in panchina. Ecco, tra gli undici che scendono in campo, questo è l’unico ruolo in cui si fa fatica a distinguere qual è il titolare e qual è la riserva, perché i giocatori si equivalgono. Non sono fenomeni, ma se manca uno dei due non si sente la differenza, al contrario di quando manca Candreva, di quando si assentano Klose e Hernanes, oppure di quando si infortunano Radu e Biava. Anzi, sono due i ruoli, perché Berisha prima ancora di calzare i guanti in un’amichevole ha già fatto sapere “urbi et orbi” di valere quanto Marchetti e che sarà entro poco il titolare della Lazio, non appena si presenterà qualcuno con due soldi per rilevare il cartellino di Marchetti. Roba di un paio di sessioni di mercato al massimo ha assicurato Berisha, che essendo connazionale di Tare è abbastanza credibile…
Perdere un derby fa sempre male, anche se non si ammette mai e anche se grazie al 26 maggio puoi campare di rendita una vita, come e più dei romanisti con la storia dello scudetto scucito dal petto. Ma per tutti i motivi elencati sopra, fa meno male perché chi ha evitato di foderarsi per l’ennesima volta gli occhi di prosciutto era preparato: sia a questa sconfitta che ad un campionato del genere, tra alti e bassi, senza la minima possibilità di poter competere se non a chiacchiere e se non nel gioco virtuale delle “figurine lotitiane” con quelli che lottano per lo scudetto o comunque per le prime tre piazze che assicurano il biglietto per la Champions League, per quello che per noi è una sorta di mondo proibito. Perché non vendere non deve essere un vanto o meglio una scusa per far ingoiare il rospo in caso di fallimento. Nel calcio moderno tutto ha un prezzo e noi siamo stati i primi a sperimentarlo ai tempi di Cragnotti, che montava a smontava la squadra ogni anno: da via Boksic e prendi Vieri, poi vendi Vieri e prendi Veron, Simeone e Inzaghi… E via discorrendo. Ma se sostituisci un campione con tre campioni coprendo più ruoli, va bene, come è andata abbastanza bene la cessione di Kolarov che ha portato Hernanes e sarebbe stata perfetta se oltre al brasiliano avesse portato un esterno sinistro decente e non un Garrido. Perché se vendi Jovetic e Ljiaic ma prendi Mario Gomez e Giuseppe Rossi (oltre ad altri buoni giocatori per allargare la rosa dei titolari) ci sta e nessuno dice nulla. A Firenze come a Roma. Così come a Napoli nessuno ha detto nulla quando è partito Cavani, per il semplice motivo che sono arrivati Maertens, Callejon e soprattutto Higuain, ed il risultato è sotto gli occhi di tutti, vendere per migliorare è possibile, basta farlo bene. Qui, invece, se riesci a vendere bene Kozak, spendi la metà per prendere Perea, uno che nella migliore delle ipotesi sarà buono il prossimo anno, oppure farà la fine di Barreto, acquisto altrettanto strombazzato (e oneroso) per un ragazzo che dopo anni di Primavera è svanito nel nulla. E intanto se a Klose gli viene l’influenza, ci possiamo fare pure il segno della croce. Ma questo è il calcio, materia incomprensibile per noi che parliamo di pallone e che amiamo le figurine. Quelle vere…
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