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Nave con nocchiere, ma in gran tempesta
Polemiche e ammirazioni: i più famosi condottieri laziali e i più disparati pareri su di essi
Cantava il Padre della poesia italiana, riguardo alle sorti della nostra nazione, di una nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia ma di bordello.
Trovare un’analogia nel periodo di confusione che sta vivendo la nostra squadra sarebbe forse un po’ forzoso: un condottiero di tutto rispetto siede sulla panchina romana tinta d’azzurro, ma la tempesta imperversa nei cieli dell’Urbe. A quanto pare, non soltanto da un lato del Tevere. Guardando in casa nostra, però, la critica è sulla bocca di tutti e nell’occhio del ciclone ci è finito principalmente Simone Inzaghi, giovane allenatore dalle belle speranze che sembra non voler abbandonare i vantaggi che offrono determinate disposizioni tattiche.
Ebbene, nel vortice delle chiacchiere da bar non ci è finito solo lui: esse esistono da quando esiste il calcio e hanno crocifisso o santificato chiunque. Prima di lui, infatti, chi ha lasciato il segno sulla panchina della Lazio?
Partiamo dall’uomo di tutti i record, come l’hanno ribattezzato alcuni giornalisti: Dino Zoff, saracinesca friulana della Nazionale Italiana di calcio, ha appunto il record di presenza assolute (202) sulla panchina della Lazio. Anch’egli sostenitore delle potenzialità del 3-5-2, tanto da spendere parole di incoraggiamento per Antonio Conte e la sua scelta nei confronti di tale modulo nell’Europeo del 2016, vestì anche la carica presidenziale e, dopo l’esonero del boemo Zeman, fu sia allenatore, a fasi alterne e come subentrante, che presidente. Fu esonerato dopo un avvio sottotono nella stagione 2001-2002, in seguito ad una sconfitta europea coi francesi del Nantes. I suoi risultati, in generale, furono comunque di tutto rispetto: il miglior piazzamento fu un terzo posto e il ritorno della Lazio nelle coppe europee dopo 15 anni nella stagione ’94-’95.
Il pisano Tommaso Maestrelli fu, invece, un autentico leader di battaglia. Governare uno spogliatoio caldissimo come quello popolato da Chinaglia & Co. non sarebbe stato facile neanche per Rommel o Eisenhower. Oltre alle geniali intuizioni tattiche (Martini cursore destro e Re Cecconi dinanzi la difesa, tra le tante), il Maestro costruì un blocco di cemento in uno spogliatoio colmo di tensione e portò non soltanto alla vittoria del Tricolore, ma ad un record che finora soltanto la Lazio può vantare: essere l’unica neopromossa che insidia fino all’ultima giornata la futura campionessa d’Italia, la Juventus, vincitrice sulla Roma per 2-1 approfittando del successo partenopeo sulla Lazio per 1-0.
Non poteva assolutamente mancare, nel nostro breve racconto, lo scandinavo Sven Goran Eriksson. Record assoluto di presenze in campo internazionale sulla panchina della Lazio, assocerà il suo nome inequivocabilmente allo scudetto laziale del nuovo millennio, oltre al fatto di aver vinto, in poco più di tre anni, Campionato, Coppa Italia, Supercoppa, Coppa delle Coppe e Supercoppa Uefa.
Agli albori del calcio moderno, la sua Lazio era in grado di associare capacità tattiche a doti tecniche fuori dal comune; la guida dell’allenatore è imprescindibile, ma con una squadra che faceva delle sue armi migliori futuri campioni europei e mondiali, il compito si facilitava esponenzialmente.
Noto al grande pubblico per essere stato l’allenatore del mai dimenticato 26 maggio 2013, Vladimir Petkovic ha avuto più di un merito in carriera. La sua mentalità prettamente offensiva, al passo coi tempi, si materializzava nello schieramento tattico che più favoriva gli attaccanti di razza: tridente e trequartista di supporto alle spalle. Fu così che Miroslav Klose, ultimo panzer teutonico degno del posto da titolare nella nazionale tedesca, trascorse a Roma una seconda giovinezza, costellata di goal e belle prestazioni.
Allenatori con spirito di iniziativa, intraprendenza tattica e capacità di leadership. Eppure, nessuno di loro è stato esente da critiche. Vuoi che aiutano a crescere, vuoi che il tifoso non è mai pago e spesso ragiona di pancia, ma un attimo, solo un attimo, bisognerebbe fermarsi a riflettere: in quell’area tecnica, il 95% (se non di più) di noi, non ci ha mai messo piede. Sarebbe forse ora di rispettare i ruoli, dire la propria con educazione e dedicarsi, sempre e comunque, al tifo incondizionato, genuino e reale. Al di là degli schermi.
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