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La Lazio dei presidenti

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I principali numeri uno biancocelesti e i loro business più importanti

Chi mastica “pane e pallone” ogni santo giorno della propria esistenza, sa benissimo che nel contesto sportivo, più specificamente calcistico contemporaneo, non esiste più un grande Vecchio. Non esiste più la personalità di spicco venerata dagli ambienti di palazzo che fa da collante al sistema, così come non esiste più il presidente nella sua accezione di padre-padrone ai vertici societari. Esiste sì, il proprietario, colui che sovvenziona le avventure sportive, ma esistono decine di figure professionali in grado di dare consulenza tecnico-finanziaria su ogni livello, frutto di una preparazione di base concepita in ambiti universitari e imprenditoriali di una certa caratura. Si pensi all’artiglieria pesante di casa Agnelli: Marotta, Paratici e Nedved, in questi anni, hanno letteralmente lasciato le briciole alle altre squadre italiane.

La Lazio è di proprietà dal 2004 dell’imprenditore romano Claudio Lotito, un po’ ancorato al sistema piramidale della vecchia concezione societaria. È il secondo presidente più vincente della società di Piazza della Libertà, contando in bacheca due Coppe Italia e due Supercoppe italiane; la sua gestione è stata segnata da forti proteste, faccia a faccia duri con la tifoseria laziale e la scoperta di grandissimi talenti, alcuni di essi anche di livello mondiale. Può contare sugli introiti di due imprese di pulizia, una di vigilanza e una di catering, che diversi decenni fa trovavano molte occasioni di lavoro negli appalti pubblici commissionati da comuni e regioni. È laureato in pedagogia col massimo dei voti e, nel 2018, arriva per lui la prima esperienza in politica, per la precisione al Senato, con Forza Italia.

Il volere del massimo fondatore, il bersagliere Luigi Bigiarelli, furono però diverse: egli non volle infatti che ci fossero superiori tra i suoi soci. Ed è così che la gestione iniziale fu corale e, quando il sottufficiale Bigiarelli partì alla volta del Belgio, prese il suo posto Giuseppe Pedercini, che divenne ufficialmente il primo presidente. Descritto come schivo agli oneri societari, lasciava spesso i compiti di amministrazione agli altri componenti del vertice.

Negli anni del Fascismo, sulla poltrona più importante della Società Podistica laziale, sedette Eugenio Gualdi. Ricco imprenditore nativo di Torino, che ebbe il merito di acquistare il bomber Silvio Piola, insieme a numerosi altri elementi, su tutti il difensore Ferraris IV, i centrocampisti Blason e Viani, oltre all’attaccante italo-brasiliano Filò Guarisi.

Generale della milizia fascista, il tenente Giorgio Vaccaro divenne presidente nel 1964, salvo poi lasciare l’anno dopo a causa di una delle tante crisi finanziarie che colpivano la Lazio. Emblema di lazialità e sostenitore della cultura sportiva olimpica, si oppone categoricamente alla fusione con le altre realtà calcistiche romane che avrebbe fatto perdere simboli, colore e nome alla Società Podistica Lazio. Concetto aberrante per lui e per i soci non fu tanto quello di unione, bensì la cancellazione totale di quel che è un ente morale, una ragione etica.

Dal 1965 al 1980, per ben quindici anni, la proprietà della Lazio fu detenuta dall’italoamericano Umberto Lenzini. Figlio di una famiglia originaria dell’appennino modenese ed emigrata negli States come tante famiglie italiane per cercare fortuna, tornò in Italia per investire nel settore edilizio romano i ricavi maturati oltreoceano. La Lazio di Lenzini sarà ricordata per sempre: sotto la sua gestione, approdarono a Roma campioni come Chinaglia, Wilson e Re Cecconi, artefici dello storico tricolore del ’74. In seguito allo scandalo di fine anni 70 in cui furono coinvolti alcuni giocatori laziali in affari di calcioscommesse, “papà Umberto”, così soprannominato per i suoi modi bonari e l’abitudine di salutare ogni partita gli spettatori con un rituale giro di campo, lasciò la presidenza in favore di suo fratello Aldo, per poi spegnersi nel 1987 a causa di un arresto cardiaco.

Negli anni ’90, per la precisione dal 1992 al 2003, la storia della Lazio cambiò per sempre. Raccolta l’eredità di Gianmarco Calleri, imprenditore ligure che riportò i biancocelesti nella massima serie dopo una grave crisi finanziaria e societaria, Sergio Cragnotti avviò una trasformazione radicale dell’ambiente laziale, arrivando persino a quotare la squadra in borsa, iscrivendola al listino di Piazza Affari. Partito con la gestione di un’impresa italiana in Brasile, la scalata dell’imprenditore romano non conoscerà sosta: diverrà AD di Montedison, sarà protagonista della fusione con Enichem, fonderà una merchant bank e aprirà aziende in Canada e Brasile; non pago dei suoi successi, acquisterà i titoli di Cirio-Bertolli-De Rica, divenendone socio unico. Procedendo all’integrazione delle Centrali del latte di Roma, Napoli, Ancona, Legnano e Vicenza, fonderà Eurolat e acquisterà Del Monte Royal. Sergio Cragnotti è stato padrone di una sostanziale fetta di torta del settore agro-alimentare che lo portò non solo ad arricchirsi, ma anche all’accusa di bancarotta fraudolenta da parte della Procura, che lo trasferirà a Regina Coeli. Nell’epoca cragnottiana, la più vincente della storia della Lazio, è stato raggiunto il punto più alto in termini di vittorie, meriti sportivi e acquisti faraonici: 1 Scudetto (1999-2000), 2 Coppe Italia (1998, 2000), 2 Supercoppe Italiane (1998, 2000), 1 Coppa delle Coppe (1998-1999), 1 Supercoppa UEFA (1999) a cui si aggiungono una finale di Coppa UEFA 1997-1998 (persa contro l’Inter) e due secondi posti in campionato, nel 1994-1995 e nel 1998-1999; campioni italiani e internazionali come Salas, Nedved, Mihajlovic, Nesta, Veron, Almeyda, Crespo, Signori e altri nomi leggendari che, uniti a quelli del passato, contribuiranno a dare un prestigio assoluto alla Società romana biancoceleste. Purtroppo, però, il crack finanziario lasciò un buco nero apparentemente senza fine, di cui ancora oggi, purtroppo, si pagano innegabilmente le conseguenze.



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