Lazio-Napoli serie A

In una lunghissima intervista rilasciata in esclusiva al Corriere dello Sport, il ds Igli Tare ha voluto raccontare tutto, o quasi, della Lazio. Le scelte compiute in passato, i piani per questa stagione e per quelle a venire, le aspettative della gente, il tutto esposto con estrema chiarezza, perché i tifosi biancocelesti possano capire – e soprattutto apprezzare – gli sforzi compiuti dalla società in questi anni.

La rimonta in Turchia per la svolta. Il campionato della Lazio ripartirà domenica a Bergamo? «Guardo la crescita della squadra. Dobbiamo stare molto attenti a non dare alibi. Il gruppo è nato volutamente come un mix tra giocatori di grande esperienza e giovani che riteniamo abbiano le potenzialità per essere protagonisti di una stagione importante con la Lazio. Ci mancano due punti con il Sassuolo, sarebbero stati fondamentali, ma non dobbiamo trovare scuse. L’inizio è stato condizionato in due modi. Il primo legato ai tanti infortuni, strani per il momento della stagione, e il 70 per cento di questi ha colpito il reparto arretrato. Il secondo era legato alle problematiche del mercato. Vedi l’arrivo di Perea e di Berisha, l’infortunio di Felipe Anderson. Ci voleva tempo perché i nuovi si aggregassero. Da Bergamo in poi possiamo guardare con grande ottimismo. Nelle ultime due partite, con Trabzonspor e Fiorentina, si è vista la filosofia che abbiamo in mente. Gioco offensivo, pressing alto, squadra aggressiva e produttiva».

Champions ancora possibile o le tre di testa giocano un campionato a parte? «Il campionato è molto lungo. Tra le sei-sette squadre che considero protagoniste partono avvantaggiate Roma e Inter perché non hanno l’impegno europeo. Anche la Fiorentina quest’anno sta avendo difficoltà. Le partite sono tante e i tempi di recupero stretti. La differenza la fanno lo stato di forma, gli infortuni, i risultati. Rispetto all’anno scorso, la Lazio ha una rosa molto più qualitativa, equilibrata, con tante scelte. In estate si parlava di attacco deficitario, ora abbiamo scoperto due giocatori interessanti come Perea e Keita. Era questa la chiave. Prima o poi bisogna avere il coraggio di puntare sui giovani. Attenzione, non ci sono giovani o anziani. Nella nostra filosofia ci sono giovani che sappiano giocare con la Lazio, crescendo all’interno con le dovute pressioni. Dovremo essere bravi a dargli il tempo giusto».

L’Europa League è un traguardo raggiungibile? «La Lazio ha potenzialità per obiettivi anche più importanti dell’Europa League. Negli ultimi due anni, sempre nello stesso periodo (febbraio, marzo, aprile), abbiamo avuto infortuni a giocatori importanti per la nostra squadra. Spero che la ruota giri. Questa è una squadra che ha tutto per lottare sino in fondo in tre competizioni. Non a caso abbiamo scelto una squadra con 28 giocatori».

Quanto pesa essere nel mirino dell’Uefa? E cosa pensa delle discriminazioni razziali? «E’ un fatto inevitabile che la Lazio non goda di buona fama, è compito nostro fare il più possibile per cambiare questa immagine. Io difendo i nostri tifosi, tanti buuu vengono interpretati come fatto razziale e non è così. Chi ha giocato in Italia lo sa. Noi abbiamo sei o sette giocatori di colore in squadra. Il problema è più ampio. Tocca tutto il calcio italiano. E’ arrivato il momento di una campagna importante a livello di Lega, Aic, Figc e media».

Subito dopo la finale di Coppa Italia, aveva annunciato un nuovo ciclo. Il messaggio è passato con difficoltà? «Il messaggio è stato chiaro. Una frangia importante che si occupa del mondo Lazio lo ha percepito bene, ma lo ha trasmesso nel modo sbagliato. Non a caso il 3 settembre mi sono presentato nella nostra radio a rispondere alle domande che riguardavano il mercato e la squadra, perché i giudizi erano stati affrettati, come spesso accade a Roma, senza possibilità di vedere all’opera gli acquisti. L’unico modo per giudicare il lavoro della società, della squadra e dell’allenatore è il campo».

Eriksson, dopo lo scudetto, disse che avrebbe cambiato venti giocatori. Un successo come quello nel derby di Coppa Italia può togliere motivazioni? «Capisco cosa voleva dire Eriksson, lavorando a Roma. Vivere qualcosa di importante come uno scudetto o una Coppa Italia entrata nella storia del derby romano a livello di euforia o mentalità è stato forse controproducente per l’approccio avuto in estate. I fatti lo hanno dimostrato. Non riguarda solo la squadra ma la tifoseria. E’ stato esagerato festeggiare così tanto perché una vittoria, anche se irripetibile, va vissuta per un breve periodo. Poi bisogna rientrare nel modo di pensare. E la Lazio deve raggiungere la prima fascia del campionato, cioè i primi tre posti. Importante e fondamentale per la crescita del club. Non ho mai messo in dubbio la professionalità dei ragazzi, tuti hanno dimostrato da soli grandi qualità, si vede nei numeri. Per la prima volta la Lazio ha 13 giocatori in nazionale, la qualità della rosa è migliorata, abbiamo vinto trofei, colmando il gap nel settore giovanile, soprattutto con la Primavera, due volte di fila in finale scudetto. La Lazio è prima in assoluto nel ranking Primavera delle ultime cinque stagioni. Nei prossimi tre-quattro anni possiamo aprire un ciclo molto importante, diventando uno dei club più importanti del calcio italiano. Da quel momento penseremo a diventarlo in Europa».

Borussia Dortmund e Schalke 04 modelli da seguire per la Lazio. Ci spiega? E in che tempi si può arrivare a una finale Champions? «Ho studiato la storia della Lazio. Solo due scudetti vinti e ho capito. E’ vero che sono stati vinti, ma poi è finito tutto. Ora vogliamo creare una casa con le fondamenta solide e che abbia una durata importante, non per vincere una volta ogni venti o trenta anni. Qui entra in gioco lo sviluppo del club. La rosa è stata ringiovanita di 3,7-4 anni rispetto alla passata stagione. Il prossimo anno ci sono le prospettive di ringiovanire ancora di più, ma non dobbiamo nello stesso momento dimenticare il rendimento dei giocatori di esperienza perché sono fondamentali».

Quanto tempo occorrerà per vincere? «Non sono un mago per dire tra uno o due anni. Sono in grado di dire che seguiremo passo dopo passo questo cammino, è stato raggiunto un punto importante. Ora dobbiamo assumere la mentalità vincente. Questa è la chiave per gli obiettivi. Quando una squadra ha fame, ha voglia di andare lontano il più possibile e la qualità c’è, hai la possibilità di arrivarci. Al Borussia e allo Schalke nessuno sulla carta dava la possibilità. Lo hanno fatto con un lavoro mirato, con pazienza».

Perea ha impressionato all’esordio. Lo aveva paragonato a Cavani. Potrà diventare forte come il Matador? «Penso di sì. Ha tanti margini di miglioramento. Vedendolo ogni giorno a Formello mi ricorda il Cavani dei primi due anni a Palermo. Ha delle caratteristiche, per la sua altezza, fuori dalla norma. E’ un giocatore di grande velocità, ha buona tecnica in movimento, fondamentale per il suo gioco. Deve migliorare le due fasi si gioco e fare gol. Non dobbiamo aspettarci che diventi subito il capocannoniere del campionato. Deve continuare su questa strada».

Come ha scoperto Perea? «Ho una rete di osservatori, me l’hanno segnalato. Da due o tre anni cercavo un giocatore con le caratteristiche di Cavani o Yilmaz. L’ho visto in una partita del campionato colombiano, mi sono mosso subito per arrivarci. L’ho iniziato a vedere tra ottobre e novembre, poi l’ho seguito nel sudamericano under 20, vinto dalla Colombia. E ho avuto la certezza di aver trovato uno con le caratteristiche che cercavo».

Meglio spendere 13 milioni per Felipe Anderson e Perea piuttosto che per Yilmaz… «Yilmaz, due anni fa, in Italia nessuno lo conosceva e costava 5 milioni. Yilmaz quest’anno non era nei nostri piani, ma è nata l’ipotesi nella prima settimana di agosto da un colloquio con persone che hanno fatto capire che ci si poteva arrivare. Questo era il desiderio del presidente, un’operazione molto costosa per cartellino e ingaggio, per dare un segnale importante a tutti. Yilmaz era un giocatore pronto, Perea di prospettiva. Due operazioni diverse, ma ero convinto di Perea perché sapevo cosa era in grado di fare. Come Keita».

Felipe Anderson è il più talentuoso che abbia mai preso? «Felipe ha qualcosa fuori dal comune. Parlo di qualità tecniche e della sua velocità, l’arma migliore. E’ imprevedibile. Può giocare in tanti ruoli, tutti orientati alla fase offensiva. Deve aggiungere alla mentalità brasiliana quello che fa la differenza in Europa: giocare a ritmi alti e con aggressività. Potenzialmente può diventare uno dei più forti del campionato italiano. Sei mesi o un anno gli serviranno per fargli capire bene il calcio italiano. Non so se sarà il più bravo. Hernanes, dal punto di vista tecnica, è devastante. E anche Ederson ha qualità importanti».

In molti pensano. E’ arrivato Felipe Anderson perché partirà Hernanes. E’ vero? «Chi lavora per un club deve pianificare il presente e il futuro. Felipe è arrivato perché abbiamo pensato di aggiungere qualcosa di differente e importante al nostro centrocampo. Mancava uno con la sua esplosività, questo è il motivo del suo arrivo. Cosa succederà domani nessuno lo sa. A gennaio lo volevamo perché arrivasse con sei mesi di anticipo e avesse il tempo di ambientarsi. Ma non sarebbe stato lui a dover tirare fuori le castagne dal fuoco. Ci sono esempi pericolosi, anche vicini a noi. Pompare il progetto giovani e poi vedere che non risponde alle aspettative è deleterio. Devi essere bravo a lavorare su strade parallele, creare il futuro senza trascurare gli obiettivi, I risultati sono fondamentali, la piazza è esigente».

Come mai Hernanes non sta ancora rendendo? «Alti e bassi di ogni giocatore. E’ un dato di fatto evidente, lo sa anche lui. Nonostante la discontinuità, Hernanes resta fondamentale. Basta pensare ai gol che ha segnato».

Hernanes disse di aver scelto la Lazio perché Tare era volato in Brasile per convincerlo. Ricorda quei giorni? «Cercai solo di fargli capire che la Lazio sarebbe stata la scelta giusta. Aveva in ballo altre situazioni, più allettanti a livello economico. Per tornare importante e conquistare la nazionale del Brasile, la Lazio sarebbe stato il club giusto. Mi fa piacere sia andata così. Hernanes è uno dei pochi ad aver fatto una scelta di cuore e non economica, un gesto nobile che tengo sempre dentro di me».

Se Hernanes dice “parlerò di rinnovo dopo il Mondiale” non è un bel segnale. Vuole andare via o rinnoverete? «Ogni volta in cui ho parlato con Hernanes o con il suo agente, mi ha dato la sensazione di trovarsi a casa sua. Sa cosa gli può dare la Lazio, cosa può avere a Roma. Per noi è fondamentale garantire a lui una squadra importante. Nella vita non si sa mai, può succedere di tutto, anche che un giorno possa andare da un’altra parte. Ma questo giorno è ancora lontano».

Significa che il rinnovo è vicino? «Significa che non siamo vicini e neppure lontani».

La Lazio ha tenuto tutti. Il mercato si può fare anche attraverso cessioni eccellenti. La Juve teme di non riuscire a trattenere Pogba… «Ritorniamo all’inizio del discorso. Una frangia indirizza la comunicazione verso i nostri tifosi nel modo sbagliato. Parlo di progettazione, di crescita. Se alla Juve, che ha il fatturato più alto della serie A, fanno un ragionamento del genere, che è logico, perché non può farlo la Lazio? L’importante è andare avanti con le idee. Ora è facile dire ci sono dei giovani bravi. A settembre qui sono arrivate lettere di minacce di morte, Non hanno niente a che fare con il calcio e la nostra professione. Ci sono agenti esigenti, sfruttano le situazioni al massimo. E dall’altra parte ci sono società che hanno idee chiare su come andare avanti. Non ritengo una grande perdita una, due o anche tre cessioni molto importanti a patto di sfruttarle al massimo per la crescita, la tranquillità economica e il futuro della società. E’ fondamentale che la gente capisca».

Candreva ha prolungato. «Sappiamo cosa vogliamo fare e come. Mi è dispiaciuto quando, dopo due sconfitte con la Juve, si stava buttando via tutto, soprattutto lo sforzo di Lotito per trattenere tutti i big. Un giorno prima della finale di Supercoppa eravamo esaltati da tutti, il giorno dopo criticati. Manca equilibrio a una piazza come Roma per vincere tanto. Ci sono due squadre con grandi potenzialità. Tutte e due non hanno vinto quanto potevano».

Avete già un accordo con l’Udinese per il riscatto? «No. Però siamo in ottimi rapporti, abbiamo fatto dei discorsi, troveremo una soluzione in comune».

La Bild scrive. Klose vuole andare in Inghilterra. E’ vero? «No. Ho dei rapporti chiari con Miro. E’ sempre stato diretto. Non abbiamo mai avuto un colloquio in cui mi dicesse cose del genere. L’abbiamo dimostrato nel passato con tanti giocatori anziani. Quando hanno dimostrato di essere importanti e utili, siamo stati sempre riconoscenti. Vale anche per Miro nel momento in cui volesse rimanere alla Lazio».

Rinnoverete il contratto? «Lui è in un momento importante e delicato della carriera. Quando lo abbiamo acquistato, aveva degli obiettivi chiari. L’Europeo, il Mondiale con la Germania per il record, la Lazio. In età avanzata è fondamentale avere volontà e obiettivi, sia a livello familiare e professionale. Klose ha vinto tutto ciò che si può immaginare. Se ha la volontà di continuare a giocare in Italia, alla Lazio troverà la porta sempre aperta».

C’è il rischio che Klose parta a gennaio? «No. A gennaio lo escludo in modo categorico».

Quando propose per la prima volta a Klose di venire alla Lazio? «Il primo contatto avvenne a gennaio. Ho preso delle informazioni con il suo agente, ho ricevuto il no dal Bayern, non volevano privarsene, a rischio di perderlo a parametro zero. Il contatto vero avvenne a inizio maggio, dopo varie telefonate lo invitammo a Roma con sua moglie per vedere da vicino la realtà della Lazio».

Lo considera il suo più grande colpo? «Non voglio fare una classifica dei colpi, perché è importante che ci siano giocatori capaci di lasciare qualcosa di importante nella storia della Lazio. Se succede, vuol dire che sono stati dei colpi. A livello mediatico, Klose è stato fondamentale per la società. Ma non mi piace stilare una classifica».

A gennaio arriverà una punta? Girano tanti nomi.
«Non cercheremo nessun’altra punta. I nomi sono tutte fantasie».

Ad agosto ha parlato di un patto siglato con Petkovic. «Il patto è questo: andiamo avanti insieme senza aver l’obbligo di sentirsi in difficoltà o di rispondere del contratto. Il suo lavoro è stato apprezzato e difeso dalla società, come lui ha apprezzato l’operato della società nei suoi confronti. Il suo rendimento è stato più che buono».

Sarà l’allenatore della Lazio anche in futuro? «Siamo un po’ introversi ad affrontare certi argomenti. Anche nel caso di Reja non lo abbiamo messo in difficoltà, ne voleva parlare solo a campionato concluso. Certi rapporti vanno avanti come un matrimonio».

Petkovic è l’ideale per i giovani o potrebbe essere qui di passaggio e pensare alla Lazio come mezzo per fare carriera? «E’ normale sia così per tutti. Non penso che una cosa dura per tutta la vita. Vale anche per me. Finché dura, dura. Ma dal mister non ho mai colto questo tipo di atteggiamento. Petkovic può essere l’allenatore ideale per la nuova Lazio, certamente. Perché no?».

Rocchi, Siviglia, Biava, Brocchi, Ledesma, Mauri, ora Candreva e Marchetti. Per gli italiani è più facile legarsi a lungo. Kolarov, Lichtsteiner, Behrami chiesero di andare via… «La Lazio è una società importantissima, ma non ancora di prima fascia. Basta guardare il percorso di Kolarov o Lichtsteiner. Uno è andato al City, uno alla Juve. Vuol dire che hanno visto la Lazio come un trampolino di lancio. Il discorso va rovesciato. Vedere la Lazio come un punto di arrivo, non di partenza. Questa è la sfida più importante, è la sfida che vogliamo vincere. E’ importante dare continuità. Rozzi tra un anno rientrerà e rimarrà qui. Vale lo stesso per Cataldi. Seguo Crescenzi al Siena, i giovani della Salernitana. Ma acquistare un giocatore italiano bravo costa dieci volte di più».

Cavanda da fuori rosa a giocatore più impiegato. Dov’è l’errore e dov’è il giusto? «Io l’ho sempre ritenuto un terzino di altissime potenzialità. Lo sa lui, lo sapeva il suo agente. Per me è fondamentale cosa è scritto sul petto, non dietro alla maglia. La Lazio ha fatto di tutto e di più per la sua crescita. Ha puntato molto sul giocatore, garantendo un contratto importante e dandosi la possibilità di riconoscerne la crescita, mantenendo certi equilibri. Noi siamo la Lazio. Non la Juve, l’Inter o il Milan, che hanno possibilità differenti».

Qual è l’ultimo salto di qualità che deve compiere la Lazio? «La mentalità. Vedere ogni partita come se fosse la finale di Champions. Entrare in campo con il coltello tra i denti. Quando lo abbiamo fatto, abbiamo vinto con chiunque. Abbiamo perso la Champions per due anni di fila con l’Udinese non facendo punti con le cosiddette piccole squadre».

Cataldi diventerà una bandiera della Lazio? «Me lo auguro di cuore. Gli abbiamo prolungato il contratto, vogliamo giovani nati e cresciuti con questa maglia. Ma dipende da loro. Noi siamo qui ad osservarne la crescita. Gli daremo la possibilità di meritare questa maglia».

Se Rozzi esplodesse a tal punto da convincere il Real Madrid a spendere 18 milioni, per la Lazio sarebbe una vittoria o una sconfitta? «Da un punto di vista economico una vittoria, da un altro punto di vista una sconfitta. Il diritto di riscatto è stato fissato così alto per evitare sorprese. Se poi il Real Madrid decidesse di acquistarlo, sarebbe un orgoglio anche per la Lazio: avremmo costruito un giocatore di livello mondiale».

Quando vedremo Novaretti al top? «Novaretti è stato messo in discussione, così come s’è creato un dualismo Biglia-Ledesma che non esisteva nei nostri piani. Biglia è di livello internazionale, ha vinto tanto, è titolare della nazionale argentina. Novaretti per due o tre volte di fila è stato il miglior difensore del campionato messicano. E’ importante dargli il tempo di sbagliare. Sono convinto che alla lunga uscirà fuori il giocatore che aspettiamo tutti. Penso a Ciani, sempre in discussione. Ora il suo rendimento è fondamentale».

A gennaio un nuovo stopper considerando l’infortunio di Biava e la scadenza di Dias? «A gennaio mancano due o tre mesi, ora non credo che avremo la necessità di intervenire. Ma faremo le nostre valutazioni più avanti, vedremo cosa succede».

Keita o Tounkara? «Hanno un potenziale enorme. Devastante. Ma sono fondamentali gli equilibri fuori dal campo. Dobbiamo essere bravi, attenti a usare il bastone e la carota. Possono diventare fondamentali per la Lazio. Mi fa piacere che in questi primi due o tre mesi Keita sia cresciuto molto a livello mentale e fisico. Sta crescendo con i ritmi giusti».

Lotito ha definito Vinicius il nuovo Kolarov. E’ così forte? «Ho grandi aspettative per Vinicius. Ne ho parlato poco, è giusto proteggerlo. Ha tutto per diventare un giocatore di altissimo livello. Velocità, tecnica, grandissimo piede. Deve imparare la fase difensiva, fondamentale in Italia. Petkovic è molto bravo a insegnargliela. Ha ottime prospettive».

Cosa risponde a chi la critica sostenendo che prende tanti trequartisti? «L’anno scorso è arrivato Pereirinha, dicevano fosse un centrocampista. Ha giocato da terzino e non ha sfigurato e sulla sinistra ha dimostrato di essere un’ottima alternativa. Accetto tante critiche, ma so come costruire la squadra. Lulic in nazionale gioca terzino sinistro. Contro la Fiorentina ha dimostrato di stravincere il duello con Cuadrado. La nostra filosofia è un’altra. Prendere giocatori multifunzionali, che possono giocare in due o tre posizioni».

Qual è l’operazione a cui è più legato? «Eliseu. E’ la risposta di tutto quello che abbiamo detto. Era di grandissime qualità. Qui è stato bocciato subito, senza appelli. Dico l’operazione più importante tra virgolette. E’ stato acquistato per poco, dopo sei mesi è stato venduto a tre o quattro volte di più».

E qual è il rimpianto? «Yilmaz. Ma parlo di due anni fa, non di quest’estate. Sarebbe stato fondamentale».

Ora viene riconosciuta unanimente la sua abilità di talent scout. E’ orgoglioso dei consensi? «Mi fa piacere, è inevitabile. Lavorare qui è molto difficile. Sono molto orgoglioso, ritengo la Lazio come la cosa più importante della mia vita. E’ una società che ha avuto gloria e storia. Dentro di me ho sempre avuto una forza, ho tenuto duro. Solo il tempo poteva dare ragione a chi mi ha criticato oppure alle mie scelte. Sono andato avanti».

Lavorando con Lotito, è più difficile comprare o vendere? «Vendere è un suo difetto, non fa parte della sua filosofia, i giocatori sono andati via quando hanno chiesto di essere venduti. In entrata ha fatto sforzi importanti. Per l’economia della Lazio sono fondamentali gli equilibri di bilancio. Lotito è molto bravo. Per me è stato un grandissimo insegnante nelle trattative. Conosce alla perfezione questo mestiere».

Un giorno allenerà l’Albania? «E’ il mio sogno nel cassetto. Per noi albanesi è la cosa più importante, ma ne parleremo tra qualche anno».

Igli significa aquila. La Lazio era nel suo destino? «Penso di sì. Questa è anche la società in cui nella mia carriera ho lavorato più a lungo. Mi piacerebbe lasciare un segno nella storia del club».

Ha voglia di dire un’altra cosa? «Sì. Mi farebbe piacere vedere lo stadio più pieno, che la gente vivesse la Lazio con maggiore attaccamento. Stiamo facendo tante iniziative. Vogliamo i tifosi vicino alla squadra. Pretendere giocatori di livello mondiali e poi trovare uno stadio vuoto non è piacevole, per gli stessi giocatori non è attraente avere 25 mila spettatori in uno stadio che può tenerne 70 mila. Il mondo Lazio deve migliorare tanto. Dalla nostra parte ci stiamo impegnando, cercando di fare il possibile e l’impossibile. Devono dare delle risposte anche i nostri tifosi. I 25 tifosi arrivati a Trabzon era doveroso ringraziarli. Lo abbiamo fatto regalando una maglia della Lazio e il biglietto gratis per la partita con l’Apollon. Siamo sensibili, speriamo che in tanti si possano riavvicinare»

LALAZIOSIAMONOI



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