In esclusiva ai microfoni di SuperNews è intervenuto Luciano Zauri. L’ex calciatore, di ruolo terzino, classe 1978, in carriera ha indossato le maglie di Atalanta, Chievo Verona, Lazio, Fiorentina, Sampdoria e Pescara. Cresciuto nel settore giovanile della Dea, ha esordito in Serie A nella stagione 1996/1997 sotto la gestione Mondonico, affermandosi ad alti livelli grazie a mister Vavassori. In carriera ha disputato più di 300 partite in massima serie, cinque con la maglia della Nazionale, e ha vinto una Coppa Italia tra le fila della Lazio. Ha concluso il percorso da calciatore con la maglia del Pescara, intraprendendo successivamente la carriera di allenatore. Zauri ha ripercorso le tappe più importanti della sua carriera, con uno sguardo rivolto al derby della Capitale, in programma domenica, e all’attuale situazione calcistica.
La tua avventura calcistica ha inizio all’Atalanta. Sei stato protagonista della promozione in Serie A nel 2000 e ti sei affermato in massima serie sotto la gestione Vavassori. Quanto è stata importante l’esperienza alla Dea per il tuo percorso? Qual è il ricordo più bello che ti lega ai nerazzurri e alla città di Bergamo?
L’Atalanta è stata fondamentale per la mia carriera. Quando sono arrivato a Bergamo avevo appena dodici anni. Mi sono spostato da Pescina, in provincia dell’Aquila, trascinando in Lombardia anche i miei genitori e i miei fratelli. Ho fatto tutta la trafila del settore giovanile, dagli esordienti fino alla prima squadra. L’anno più importante è stato sicuramente quello della promozione dalla B alla A con Vavassori. Le stagioni successive in massima serie, poi, sono state fantastiche. Ho tanti bei ricordi, impossibile individuarne uno soltanto. L’unico rammarico è quello di essere andato via dopo una retrocessione.
Grazie alle ottime prestazioni con l’Atalanta vieni convocato in Nazionale da Giovanni Trapattoni, esordendo nel 2001 in occasione di un’amichevole contro il Marocco. Quali emozioni si provano ad indossare la maglia dell’Italia? A tuo parere, gli azzurri riusciranno a qualificarsi per i prossimi Mondiali in Qatar?
Da bambino avevo due sogni: giocare in Serie A e indossare la maglia della Nazionale. Si tratta di una delle sensazioni e delle gioie più belle per un calciatore. Ascoltare l’inno prima della partita ti mette i brividi, è una cosa meravigliosa. Ho avuto la fortuna di giocare anche una gara di qualificazione a Euro 2004 a Napoli contro la Serbia. Facemmo 1-1, lo stadio San Paolo era gremito e disputai la mia miglior partita con l’Italia. Da tifoso e da italiano, mi auguro che gli azzurri riescano a qualificarsi per i prossimi Mondiali in Qatar. Avremmo meritato la qualificazione diretta, i due pareggi con la Svizzera ci vanno stretti, purtroppo però siamo arrivati ancora una volta agli spareggi. Bisogna superare innanzitutto l’ostacolo Macedonia, non sottovalutando l’avversario. Poi, non darei per scontata la sfida tra Turchia e Portogallo. La finale playoff potrebbe disputarsi anche contro la squadra di Stefan Kuntz. Il calcio è imprevedibile.
L’Atalanta è reduce da ottime stagioni sotto la gestione Gasperini. Ti aspettavi un exploit del genere?
Il duro lavoro premia sempre. Si è formato un legame fortissimo tra squadra, società e tifosi. Il pubblico di Bergamo è particolare e molto caloroso. La Dea viene sostenuta sempre e a prescindere da tutto. Adesso stanno vedendo cose forse inimmaginabili, mai viste prima. La serietà della dirigenza ha fatto sì che con qualche risorsa economica in più la squadra possa competere ad altissimi livelli. L’Atalanta negli ultimi anni ha sorpreso tutti, ben figurando in Champions League e fornendo prestazioni incredibili anche in Serie A. A loro vanno sicuramente i miei complimenti.
Alla Lazio hai raccolto 178 presenze ed hai vissuto probabilmente gli anni più importanti della tua carriera. Cosa ha significato per te approdare in biancoceleste? Quali sono stati i momenti più significativi tra le fila degli Aquilotti?
Sono passato dalla retrocessione di giugno con l’Atalanta a disputare un preliminare di Champions League con la Lazio ad agosto. Improvvisamente sono stato catapultato in un mondo clamorosamente diverso. Alla mia prima stagione in biancoceleste, quella 2003/2004, addirittura vincemmo la Coppa Italia in finale contro la Juventus. Una gioia incredibile. Alla Lazio ho indossato anche la fascia di capitano, un vero onore. Stringere la mano a Raul da capitano, in Champions League, con 70mila tifosi all’Olimpico è un ricordo indelebile. Roma è impegnativa come città, all’inizio è stato difficile. Poi me ne sono innamorato, oggi è la mia patria.
Domenica si affronteranno Lazio e Roma. Che ricordi hai del derby? Che tipo di partita ti aspetti?
Il derby è la partita che a Roma aspettano dal ritiro. In particolare, la sfida di ritorno è molto molto sentita. L’esito te lo porti appresso per tutti i mesi a venire. Nell’aria c’è una tensione incredibile. Già dieci giorni prima si parte con il tam-tam delle radio e la pressione si avverte anche quando vai dal giornalaio o semplicemente a fare la spesa. Ogni secondo, ogni momento, ti ricordano che domenica c’è il derby e non si può sbagliare. Le emozioni per un calciatore devono finire necessariamente al fischio d’inizio, altrimenti si rischiano figuracce e disattenzioni. L’obiettivo per la Lazio dev’essere la vittoria. La classifica è corta e una sconfitta potrebbe compromettere gli obiettivi stagionali. Mi aspetto sicuramente una partita giocata a viso aperto, entrambe hanno voglia di far bene. In palio c’è il quinto posto e la qualificazione in Europa League. Poi, tenere vivo il sogno quarto posto non farebbe male.
Il derby mette di fronte due grandi allenatori come Sarri e Mourinho, qual è il tuo pensiero riguardo i due mister? Come valuti la stagione della Lazio finora?
Stiamo parlando di due eccellenze, due mostri sacri. Mourinho in carriera ha dimostrato di essere un vincente, per lui parlano i trofei vinti. Come tipo di calcio, però, prediligo quello di Sarri. Ha un sistema di gioco propositivo ed estremamente dinamico, improntato su un 4-3-3 che è diventato ormai un marchio di fabbrica. A Sarri è servito del tempo per oliare i meccanismi, per mettere in pratica le proprie idee. Ora la Lazio è in netta crescita. Probabilmente, i tre impegni – Serie A, Coppa Italia ed Europa League – non aiutavano, essendo la rosa non propriamente all’altezza. La squadra ha inizialmente balbettato, anche a causa del cambio modulo e delle novità tattiche introdotte da Sarri. Tuttavia, concentrarsi su un unico obiettivo, il campionato, dà maggiore serenità e stabilità. Non a caso la squadra è cresciuta tanto nell’ultimo periodo ed esprime un bellissimo calcio.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo ha inizio la tua carriera da allenatore. Nel giugno del 2019 vieni chiamato a dirigere la prima squadra del Pescara in Serie B, mentre l’ultima esperienza in panchina è quella alla guida del Bologna Primavera. Quali sono i tuoi obiettivi e i tuoi progetti per il futuro?
Il mio obiettivo è sicuramente quello di allenare i grandi. Ho avuto la possibilità di farlo subito a Pescara. Poi, è arrivata l’occasione di guidare la Primavera del Bologna. Ho accettato con grande entusiasmo, poi le cose non sono andate benissimo. Da giugno non alleno più e ora sono in attesa di una nuova stimolante avventura. Ho appena iniziato ed ho tanta voglia di fare. Spero di avere presto una buona occasione per poter continuare a fare quello che mi piace”.
Nel 2013 sei stato protagonista del salvataggio della nipote di Boniek caduta in un pozzo. Cosa ricordi di quella vicenda?
I ricordi sono sbiaditi. Ho agito con istinto e incoscienza. Mi sono calato nel pozzo velocemente, facendomi luce con la torcia del cellulare. Non si sentiva altro che la voce di questa bambina che chiedeva aiuto, era in un angolino con solo la testa fuori dall’acqua. In un attimo l’ho afferrata e l’ho riportata in superficie. Una grandissima soddisfazione vederla sana e salva tra le braccia della mamma. Sono immagini e sensazioni che non dimenticherò mai.
Fonte: SuperNews
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