Vi conosciamo bene, quindi sapevamo benissimo che ci avreste provato in tutti i modi a sminuire la portata del verdetto del 26 maggio, che con l’aiuto di una comunicazione da sempre compiacente se non addirittura prona avreste spinto per voltare pagina, che ci avreste quasi deriso (morendo dentro) ogni volta che vi avremmo sbattuto in faccia quel risultato e quella coppa. Lo sapevamo perché vi conosciamo bene come conosciamo la vostra coerenza a gettone, quella che a distanza di 12 anni vi porta ancora a sbatterci in faccia lo scudetto strappato dal petto archiviando però a distanza di 5 mesi la finale persa; quella che quando non avete argomenti vi porta a tirare fuori gli 11 anni di Serie B dimenticando che come noi siamo quelli che hanno portato il calcio a Roma, voi siete entrati nella storia per aver portato la Serie B nella Capitale; quella che vi porta a considerarvi la vera Roma, dimenticando chi è nato prima e chi come simbolo ha scelto quell’aquila che è stata nel mondo il simbolo del potere di Roma e dell’Impero. Vi conosciamo, quindi nulla di quello che è successo fino ad oggi e di quello che succederà domani o in futuro può stupirci. Perché siete quasi sempre scontati, monotoni, ripetitivi come le vostre coreografie nel derby. Quando vi riescono…
Quindi, è inutile che vi affannate, è inutile che contate i minuti o che sognate impossibili rivincite domani, il 9 febbraio o in un’ipotetica semifinale di Coppa Italia: il derby non esiste più, il derby è morto il 26 maggio del 2013. Quel giorno e con quella sfida, è come se si fosse chiusa un’epoca: o meglio è stato l’ultimo paragrafo di un libro durato 86 anni, fatto di battaglie a volte epiche, di scontri dentro e fuori il rettangolo di gioco, di grandi eroi e di grandi perdenti. Ma mai in 86 anni c’era stata una sfida come quella del 26 maggio: la partita delle partite, il sogno proibito di ogni tifoso di calcio in generale e romano in particolare. Novanta minuti con in palio un trofeo che aveva significati che andavano oltre una coppa da mettere in bacheca perché consentiva per la prima volta nella storia di alzare in faccia un trofeo ai rivali di sempre. Perché quel successo è stato come toccare il cielo come un dito, come realizzare il sogno cullato una vita, come andare con la donna che tutti vorrebbero avere. E dopo aver provato un qualcosa del genere, tutto perde quasi significato, nulla potrà regalarti le emozioni e le sensazioni provate in quel momento.
E ce ne siamo accorti a fine luglio. Una volta, il giorno dell’uscita dei calendari la prima cosa che si guardava era la giornata in cui cadeva il derby, la data dell’andata e del ritorno, chi giocava per primo in casa. Quest’anno neanche l’ho guardato quando si giocava il derby, perché per me quella parola ha perso significato. E in questi giorni ne ho avuto la conferma, perché quel 26 maggio come d’incanto mi ha tolto anche quell’ansia mischiata al fastidio che accompagnava sempre quel doppio appuntamento stagionale, quella che nel 1994 mi aveva portato a dire basta, a non andare più allo stadio in occasione dei derby. Quel fastidio e quell’ansia sono spariti, d’incanto, dissolti dalla sera del 26 maggio. Come quando temi un verdetto che può cambiarti la tua vita e una volta arrivato ti senti come svuotato. Ti rendi conto che da quel momento in poi nulla ti potrà più preoccupare come quel fantasma che hai appena scacciato o che è svanito.
Ci saranno sicuramente altre sfide importanti, difficili, decisive. Forse si giocheranno altre partite tese e con una posta in palio importante, magari con un altro trofeo da alzare, ma d’ora in poi saranno pure e semplici partite. Perché neanche vincendo dieci sfide di seguito proverei quello che ho provato il 26 maggio, perché neanche perdendo dieci sfide di seguito si spegnerebbe il sorriso per quella Coppa alzata in faccia ad un nemico sconfitto invisibile, perché aveva abbandonato lo stadio ben prima della premiazione. Nessuna vittoria del futuro potrà scatenare sfottò come quelli degli ultimi due mesi, nessuna sconfitta del futuro potrà cancellare il nome di Lulic, quel 71 entrato nella leggenda, quella coppa in faccia che è diventata vernice sui muri, poster, adesivi e striscioni trainati da aerei.
Per questo, lasciamola a loro questa parola derby svuotata di ogni significato. Domani si gioca all’Olimpico Roma-Lazio, una partita che vale 3 punti come quella con il Chievo o con il Sassuolo, forse più carica di significati perché l’avversario è più importante, ma che vale quanto un Napoli-Lazio, un Milan-Lazio, un Inter-Lazio e forse meno di uno Juventus-Lazio. Perché l’unicità delle sensazioni e delle emozioni di quella finale ha cancellato tutto. E’ finita, non c’è rivincita, non c’è più derby. Almeno per noi. Per voi che state male da due mesi e che sognate un riscatto impossibile, forse quella parola ha ancora un significato. Per noi no, quindi ve la lasciamo volentieri. Per noi il derby è morto il 26 maggio e da quell’evento nulla sarà più come prima. E quella di domani sarà solo la prima sfida d.L.! Dopo Lulic…
STEFANO GRECO
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