L’analisi del match che ha portato la quinta Supercoppa in casa biancoceleste

A bocce ferme, dopo l’ubriacatura post-festeggiamenti, ci dedichiamo a qualche riflessione. Supportati da una consistente dose di buonumore pre-natalizio coronata dal successo, ci concentreremo maggiormente sugli aspetti tattici del match.

La prima riflessione è puramente matematica, dunque incontestabile: la Lazio ha rifilato sei gol in quindici giorni ai campioni in carica della Juventus, incassandone solamente due. In campionato, la squadra di Andrea Agnelli, avendo una partita giocata in più all’attivo, ha ragione sugli uomini di Claudio Lotito di sei punti, primeggiando insieme all’Inter. Nel confronto squisitamente aritmetico tra le due finaliste, la truppa biancoceleste vince in partenza: l’attacco è più prolifico di quello bianconero, supportato da una difesa più solida. Sedici gol presi dalla Lazio, diciassette dalla Juventus; trentotto gol realizzati dalla ditta Ciro Immobile & Co., trentuno dalla compagine capeggiata da CR7. Ora, dei numeri potremmo farcene ben poco, le cifre non scendono in campo. Nel rettangolo verde prendono parola gli uomini, con tutte le loro doti e i loro limiti, gestiti dalle incalcolabili variabili che una sfera rotolante porta con sé. Ma avremo modo di riprendere in mano la matematica più in là.

Mister Inzaghi schiera il rodatissimo 3-5-2, il suo collega toscano ripropone il rombo (4-3-1-2). La seconda miglior difesa del campionato ha precisi compiti nelle due fasi, quella attiva e quella passiva. Le due spalle di Acerbi, il veterano Radu e il giovane Luiz Felipe, devono allargarsi, offrire alternative di scarico ai centrocampisti e di lancio al portiere Strakosha, favorendo l’arretramento di Lucas Leiva, che costringe il baricentro juventino ad alzarsi. Nella fase passiva, peculiare è l’abilità tattica di lettura dei movimenti delle due punte bianconere anche dopo prolungati periodi di possesso avversario. La stazza fisica e l’abilità aerea dei centrali di Inzaghi neutralizza anche i cross dalle fasce, i quali sono un’arma preferenziale del pacchetto offensivo della Juventus. Gli spunti in verticali sono offerti dai movimenti ampi e variegati di Immobile e Correa, i quali duettano, corrono con buona progressione palla al piede, tentano giocate di alto pregio e favoriscono gli inserimenti dei tuttocampisti Alberto e Milinkovic, i quali, dall’inizio del campionato, inventano calcio a tutto tondo. La vera soluzione d’attacco laziale, il morso del serpente, si trova però sulle zone laterali del campo: Inzaghi si sgola, specialmente nel primo tempo, chiedendo frequenti e repentini cambi di gioco, approfittando della staticità juventina. Lazzari è imbeccato dai compagni, i quali incentivano le sgroppate con le stesse traiettorie filtranti proposte al più scaltro ed esperto Senad Lulic, l’uomo delle Coppe. La scelta tattica è azzeccata, così come la tempistica e le tipologie dei cambi; il resto lo fanno le giocate dei singoli: la finta e la volée del bosniaco, lo stop di suola di Milinkovic e la parabola di Cataldi riassumono lo stato di grazia degli aquilotti.

La Juventus è schierata in campo con un obiettivo, sulla carta, preciso e facilmente comprensibile: gestire il possesso, pressare alto e arrivare al tiro anche sfruttando gli inserimenti delle mezzale. Sarri lo aveva detto: a Bentancour manca il gol e la botta da fuori per diventare grande. Il salto della quaglia è però ben lontano per l’argentino, a giudicare dalla prestazione dell’altra sera. Se all’Olimpico gli è davvero mancato solo quello, a Ryiad è venuta meno la lettura della partita e l’interpretazione del ruolo. Oltre a non dare man forte al terzino di fascia destra, Bentancour ha offerto pochi spunti, vincendo pochi contrasti e nascondendosi tra le casacche biancocelesti. Il collega Pjanic ha sofferto la gabbia costruitagli su misura da Inzaghi e i limiti del francese Matuidi si sono ancora una volta tragicamente palesati. I primi a soffrire della mancata rapida costruzione del gioco sono stati Higuain e Dybala: il primo si è però pigramente adagiato sulla muraglia capitolina, il secondo ha lautamente seguito le orme del connazionale, trovandosi però al posto giusto per il tap-in del momentaneo pareggio. Unica nota di merito: la voglia di fare, creare e attentare alla porta avversaria del pluricampione Ronaldo, che di trofei ne ha già vinti tanti, a differenza dei compagni di reparto. In fondo, per quel tipo di gioco e per quello schieramento in campo, un rapido palleggio e un continuo movimento ad offrire alternative al portatore di palla dovrebbe essere il vademecum su cui meditare ogni giorno alla Continassa. Ad aggravare il tutto, le difficoltà oggettive nella fase difensiva dei terzini juventini, profonda falla a cui Sarri non ha minimamente posto rimedio. Continuamente esposti alle incursioni di Lazzari e Lulic, De Sciglio e Alex Sandro prima, Cuadrado poi, non hanno fatto buona guardia sulle finte a rientrare e sui traversoni da cui sono nati due dei tre gol, forse anche perché non c’era mai un adeguato raddoppio.

Ecco dimostrati dunque i teoremi che partoriscono i numeri offerti in precedenza. Non frutto del caso, poiché il calcio, nella sua imprevedibilità, è anche un po’ scienza.



Resta Aggiornato con il nostro Canale WhatsApp! Ricordiamo che il canale è protetto da Privacy ed il tuo numero non è visibile a nessuno!Iscriviti Subito cliccando qui sul canale di Since1900