Roma vs Lazio - Finale Coppa Italia 2012-2013Anche se non passerà mai, ora che inevitabilmente andrà affievolendosi l’ebbrezza per l’entusiasmante vittoria della Coppa Italia, per giunta in una finale con derby che ci ha regalato emozioni forti e, alla fine, una soddisfazione immensa, è tempo di riflessioni “a mente fredda”. Perché il vero rischio è che l’esaltazione del momento faccia dimenticare i tanti e marchiani errori di cui è costellata la storia recente della Lazio.

Ascoltando Lotito, subito dopo la finale di Coppa e in ogni altra occasione utilizzata come vetrina personale con tanto di coppe in braccio, che non ha perso l’occasione di rilanciare i suoi soliti proclami su quegli importanti rinforzi che arriveranno, magari non subito, magari non proprio quelli attesi, ma certamente arriveranno, non ho potuto fare a meno di pensare a Samuel Beckett che in“Aspettando Godot”, il suo testo teatrale di maggior successo, mette in scena due personaggi: i vagabondi Vladimiro ed Estragone, che aspettano invano l’arrivo di un certo Godot per tutta la durata dello spettacolo.

Ma noi tutti, Lotito e la Lazio compresi, viviamo nella realtà dei nostri tempi e non nella finzione scenica di un teatro. In questa realtà, i rinforzi promessi da tre anni e più, ma mai arrivati, proprio come il Godot di Beckett, sono quelli di cui la squadra aveva disperatamente bisogno per poter fare quel salto di qualità che i tifosi attendono da tempo e che vedono svanire ogni volta che sembra a portata di mano.

Si è perso il conto delle volte in cui abbiamo sentito il presidente, come un politico consumato, promettere in modo apparentemente credibile (ma solo per chi ha la memoria corta) le mirabilie della prossima campagna acquisti. Rimandando sempre il meglio alla prossima volta, proprio come fanno i politici nelle campagne elettorali: quando ti fanno credere che la legislatura che verrà sarà quella buona, quella decisiva, quella in cui si faranno tutte le cose buone che non si sono fatte fino ad ora, quella in cui si risolveranno tutti i problemi fino a quel momento irrisolti.

Senza contare che la grancassa dell’informazione sportiva, magari solo per vendere qualche copia in più di giornale o per aumentare i contatti di un sito o l’audience di una trasmissione radiofonica o televisiva, fa finta di niente e dà credito alle solite promesse, contro ogni logica: ignorando sia i dati allarmanti di un bilancio in rosso che il passato recente e dimostrando di non essere capace di imparare dall’esperienza. O di non voler imparare, limitandosi a cavalcare le onde emotive della piazza: si vince va tutto bene, si perde si contesta tutto e tutti, senza un minimo di coerenza.

E noi, intanto, aspettiamo… Ed è un’attesa destinata a durare se non in eterno quasi, proprio come quella dei due vagabondi Vladimiro ed Estragone. Aspettiamo lo stadio di proprietà, quella chimera che secondo Lotito dovrebbe produrre (ma non prima di 4-5 anni) quell’aumento del fatturato indispensabile per poter fare gli investimenti che garantirebbero una crescita graduale ma certa della squadra. Aspettiamo l’arrivo di quei tre o quattro campioni che dovrebbero rinforzare la rosa nei ruoli chiave in cui se ne sente maggiormente bisogno, per l’usura o l’età avanzata degli attuali titolari. Aspettiamo che diventi una prassi consolidata, e non il frutto del caso, la valorizzazione dei migliori giovani, da trattenere e non da non far scappare via alla prima occasione migliore. Aspettiamo la messa in atto di strategie in grado di combinare i successi sportivi e il marketing, per avere finalmente un degno sponsor sulla maglia e per sfruttare anche economicamente il marchio Lazio, in modo da rafforzare sempre di più la squadra e non solo rimpinguare le casse vuote della società.

E mentre aspettiamo ci domandiamo: come mai una squadra che fa intravedere enormi potenzialità e ampi margini di miglioramento non viene messa in condizione di volare alto, come l’aquila che la rappresenta? Ci interroghiamo sul perché della scelta del basso profilo quando, ad esempio, i cinque gol di Klose nella partita con il Bologna, le ottime prestazioni di Hernanes con il Brasile, i successi della Primavera, coronati con la vittoria in finale contro l’Atalanta e la conquista di un meritatissimo scudetto, farebbero gridare al miracolo sull’altra sponda del Tevere. Ci chiediamo come mai il trionfo nel derby di Coppa sia stato così poco sfruttato sul piano comunicativo, se non dagli stessi tifosi con le numerose e decisamente creative manifestazioni spontanee che hanno messo in atto.

Di cosa si ha timore? Di dover aumentare l’ingaggio di qualche calciatore? Se così fosse, significherebbe essere completamente ciechi, non vedere e non saper minimamente considerare che la giusta valorizzazione delle proprie risorse interne potrebbe potenzialmente far guadagnare molto di più in termini di immagine, con i conseguenti effetti positivi anche sul piano economico.

La mentalità micragnosa e di tipo speculativamente imprenditoriale che caratterizza da sempre Lotito e la sua gestione, nell’accezione peggiore del termine, è un freno a mano costantemente tirato per la Lazio. Forse è proprio questo il vero ostacolo che impedisce alla squadra di cogliere tutti i successi che meriterebbe, che la condiziona, come è dimostrato dagli ultimi tre campionati, nei momenti topici e nelle fasi decisive, quelle in cui bisogna credere fortemente nelle certezze dell’oggi e soprattutto investire sul domani. Una mentalità che invece guarda solo all’oggi, senza quella progettualità che di solito riesce a giocare un ruolo di moltiplicatore delle motivazioni di ciascun calciatore, facendo in modo che tutti riescano a dare quel “qualcosa in più”, elemento indispensabile per ottenere qualunque tipo di successo sportivo.

Ora, dopo questo successo che, diciamocela tutta, ha un surplus di valore soprattutto in funzione dell’avversario che si è battuto, ci troviamo ancora una volta ad aspettare, a sperare in un futuro immediato fatto più di certezze e un po’ meno di pure e semplici promesse o speranze estive che muoiono alle 19.01 di ogni 31 agosto.

Aspettiamo quindi i rinforzi, mirati e significativi, per una squadra che dopotutto è arrivata solo settima in campionato, che è stata estromessa da un’Europa League tutt’altro che proibitiva, dalla modesta squadra turca del Fenerbahce, anche se con il contributo dell’arbitro killer inviato appositamente da messier Platinì. Una squadra che è andata avanti in Coppa Italia grazie al gol del pareggio all’ultimo respiro di Ciani e al rigore quasi parato, ma che finisce nel sacco, di Kozac con il Siena.

La speranza è che non vada a finire proprio come nell’opera teatrale di Becket, quella in cui il terzo personaggio, Godot per l’appunto, non arriverà mai. Ma è solo una speranza, perché attualmente noi laziali siamo costretti a recitare il ruolo di Vladimiro ed Estragone. Da anni e chissà ancora per quanti altri anni.

STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO



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