patric lazio salernitana

Alla vigilia di Bologna – Lazio, Patric è intervenuto in Conferenza Stampa.

Come vanno affrontati tanti impegni così decisivi?

“Il calcio di oggi è così. Dobbiamo pensare partita per partita, con il Bologna è la più importante. Poi c’è una settimana fondamentale, ci giochiamo tanto. Il Bologna sta facendo una grande stagione, ma questi sono tre punti sono uguali agli altri. Dobbiamo pensare solo a questa partita”.

Miglior Patric da quando sei arrivato?

“I difetti si possono migliorare col tempo, ma la mente è la cosa più importante. Da giovane quando hai troppo entusiasmo, troppa energia, ti porta a sbagliare. Ma poi sta alla persona volersi migliorare, anche sotto questi aspetti. La testa per me è stata fondamentale, mi sento più maturo. Sono contento di quello che sono riuscito a fare”.

Le insidie del Bologna…

“Squadra molto organizzata, stanno prendendo pochi gol. Stanno trovando grande solidità. Avanti hanno giocatori forti, da Orsolini a Zirkzee. Questa squadra da quando ha Motta in panchina ha una grande identità e sta facendo delle grandissime cose”.

Inizio di stagione non molto esaltante, poi avete trovato continuità: cosa è successo prima e dopo?

“Ancora ci domandiamo perché abbiamo avuto questo inizio di stagione, soprattutto le prime due partite. È quello di cui parliamo sempre: l’importante è la prestazione, poi il risultato può essere anche sfortunato, ci può stare di perdere. A volte però abbiamo sbagliato anche su questo come con Lecce e Genoa, poi per il resto la partita l’abbiamo sempre fatta. Dobbiamo imparare dalla partita con il Feyenoord, perché venivamo da un buon percorso, ma ci ha fatto capire tanto. Non ci possiamo rilassare mai. Se togliamo le prime due partite, penso che abbiamo preso la strada giusta. Non dobbiamo sottovalutare nessuno perché ogni partita è difficile”.

Quanto è stato importante crescere nel Barcellona per capire il calcio di Sarri?

“Senza dubbio è stato importante. La mia crescita è stata favorita dal modo di vedere il calcio del mister, sono cresciuto in una cantera che costruiva dal basso. Lui è uno dei motivi per cui sono voluto rimanere a Roma anche quando potevo andare via a parametro zero. Mi sono sentito subito bene nel suo gioco e speriamo di vincere ancora”.

Che orgoglio provi per il Pallone d’Oro di Messi visto che ci hai giocato insieme?

“Ho avuto la fortuna di allenarmi con lui, non ci sono parole per descriverlo perché nessuno si è avvicinato al suo livello in questi anni”.

Quando è scattato qualcosa dentro di te e da giocatore normale sei diventato un calciatore importante per la Lazio?

“Sì c’è un momento, anche se mai l’ho raccontato. Venivo da una buona stagione quando siamo entrati in Champions con Inzaghi, e poi ho sofferto tanto con il Covid quando sono rimasto chiuso in casa da solo. Dal nulla ho cercato di fare le stesse cose perché mi sentivo in crescita, mi sentivo bene, ma ho avuto problemi di depressione e di ansia e tutto è diventato buio per me. Lì ho cominciato a lavorare con mental coach, con gente fuori dal calcio, penso che ho trovato me stesso. Ho dovuto fare la mia peggior stagione con la Lazio, quella senza tifosi. Per me che sono un passionale è stato un fattore, visto che già stavo male mentalmente mi sono trovato a giocare tutte le partite per l’infortunio di Luiz Felipe anche se non stavo bene. Mai però ho detto di non voler giocare, perché penso che che non fosse giusto. Non ho mai avuto l’opportunità di dirlo, è stato un anno difficilissimo per me. Era più facile mollare però non l’ho mai fatto.  E forse oggi sono diventato questo tipo di giocatore perché ho affrontato nel modo giusto quel momento di difficoltà”.

Ci racconti il rigore di Immobile, perché non l’hai guardato?

“Io sono uno molto passionale, certe volte faccio cose che di cui sul momento non mi rendo conto, mi viene istintivo. Quando mi rivedo mi vergogno anche di certe reazioni che ho in campo. In quel momento non mi andava di guardarlo e poi al di là tutto è stato bello vedere i tifosi della Tevere esultare mi sono venuti i brividi. Ma è stata una cosa fatta senza pensare”.

Senti meritati gli elogi dei tifosi della Lazio?

“Sono una persona che ama stare nell’ombra, non mi piace quando si parla di me. Né nel bene né nel male. Adesso che ho 30 anni, dopo tutto quello che ho passato e che ho sofferto, penso che sia anche giusto che quando le persone parlano bene di te essere orgogliosi. Sono contento di quello che sto facendo. Sono fiero della persona e del giocatore che sono adesso”.

Perché così tanti blackout a livello europeo?

“Quello che ti dicevo prima. Ci può stare che ci siano dei cali a livello fisico visto che giochiamo tante partite ravvicinate, ci può stare anche che ci sia una partita storta in cui non hai la stessa energia, ma in alcune partite non siamo proprio entrati in campo. Su queste situazioni cerchiamo di lavorare ogni giorno, anche il mister ci dice che è una cosa in cui dobbiamo crescere per stare ogni anno al vertice”.

Sei a 13 presenze dalle 200 in biancoceleste. Avresti mai immaginato di arrivare così lontano nella Lazio?

“Mi sento fiero di questo, sono arrivato che ero un bambino e sono diventato un uomo. Provo tante emozioni per questa maglia e per questa città. Sono fiero di quello che abbiamo fatto insieme, al di là di eventi positivi e negativo. Mi sento un laziale in più e sono felice di raggiungere questi numeri”.

Come vedi i nuovi arrivati?

“Li vedo molto bene. Sono arrivati giocatori con tante presenze negli altri campionati, giocatori maturi. Ci sta che qualcuno ci metta qualche mese a prendere il ritmo del calcio italiano. Sono ragazzi che soprattutto sono sempre concentrati durante gli allenamenti. Piano piano stanno prendendo la mano, chiedono sempre per poter imparare, ma stanno sulla strada giusta”.

Sul ruolo e sulla Nazionale…

“La mia carriera è molto strana. Io ho sempre giocato nelle giovanili del Barcellona da mediano, vertice basso, mi piaceva tanto giocare là. Poi all’improvviso, nel Barcellona B ci stavano tanti giocatori (Luis Alberto, Rafinha, Sergi Roberto) e quindi mi hanno spostato come terzino destro, perché secondo loro potevo giocare in quel ruolo. L’ho fatto per due anni e ho esordito anche in prima squadra, poi sono venuto alla Lazio. Dal nulla ci siamo trovati a giocare con il 3-5-2 e io mi sentivo in un ruolo che non era mio, io non sono per niente un esterno destro. Ho dovuto giocare là perché gli allenatori avevano questo sistema di gioco. Poi è vero che piano piano Inzaghi mi ha voluto mettere nella difesa a tre e là mi sentivo meglio. È vero che potevo giocare in questa posizione e forse fare di più nella mia carriera. Ma nel calcio le cose vanno così”.

Sulla solidità?

“Per noi la solidità è fondamentale, è stata la cosa più importante dello scorso anno per rimanere in alto in classifica. Dobbiamo partire da lì, dobbiamo essere solidi e organizzati come ci chiede il mister: siamo sicuro che prendendo pochi gol riusciremo a stare lì sopra”.

La costruzione dal basso ti distingue rispetto agli altri centrali?

“Quello che dicevo prima. Io sono un giocatore a cui piace giocare il pallone. In certe partite posso essere d’aiuto nella costruzione dal basso e spero di continuare così”.

Perché Luis Alberto non viene mai convocato in Nazionale?

“Non ne parlo con lui, ma io me lo chiedo. Si dice sempre che il calcio italiano è molto diverso da quello spagnolo, ma tante volte non è vero. Si pratica comunque un calcio moderno, in cui si costruisce da dietro e questo anche la Lazio lo fa. Sembra che guardino più i giocatori che giocano in Spagna di quelli che giocano in Italia e non capisco il perché sinceramente”.



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