Cristian Brocchi, attuale allenatore del Milan Primavera, ex centrocampista della Lazio dal 2008 al 2013 è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Radiosei per raccontare la sua carriera da allenatore e per commentare il momento non positivo della Lazio.
Queste le sue parole sulla sua vita da allenatore della Primavera e della sua prima famiglia calcistica, il Milan: “Come allenatore sono morbido perché mi piace avere un rapporto con i giocatori e mi piace di fargli capire quali sono le mie richieste e le mie idee. Mi piace allenare, è il terzo anno che sono in questa nuova veste. Ora mi ci sento dentro al 100%, mi gratifica. Vivo la partita in modo differente rispetto a quando ero giocatore. Ho iniziato quando avevo 9 anni nel Milan, è il ventesimo anno con i rossoneri. Mi sento parte di questa famiglia nonostante abbia avuto dei periodi in cui non ho giocato a Milano. Io penso che questo sia un binomio che va di pari passo”.
Poi riguardo la sua seconda famiglia calcistica, la Lazio, ha così parlato: “Quando sono arrivato alla Lazio il mio obiettivo era quello di far bene e di conquistare una piazza non facile, ho avuto molto dai tifosi biancocelesti. Mi ci sono legato in maniera forte, non pensavo di trovare un’altra famiglia come quella del Milan che mi potesse entrare nell’animo così tanto. Anche con la società ho sempre avuto un buon rapporto, nonostante le difficoltà che ha con il popolo laziale. Ho sempre scisso le due cose: non vuole dire che per piacere ai tifosi devi andare contro la società. Bisogna dimostrare nell’essere un professionista quello che in realtà sei”.
Inoltre Brocchi ha anche voluto dire la sua sul suo avvicinamento alla panchina biancoceleste e sulla stagione della Lazio: “No, mi sono solo avvicinato mediaticamente. So benissimo che loro mi stanno seguendo e so di essere stimato. Sanno che mi piacerebbe fare un’esperienza del genere, però non c’è stato altro. Credo che la Lazio possa giocarsela con il Milan per un posto in Europa, le partite sono tante e possono ancora dire la loro. E’ stato un anno particolare: la scorsa stagione i biancocelesti hanno sciorinato il miglior calcio in Italia. Quest’anno non c’è continuità per vari fattori, però possono ancora fare bene”.
Poi sul suo modo di allenare e sulla sua carriera a Roma, ricca di soddisfazioni e gratificazioni: “Per mentalità cerco di proporre un calcio offensivo, mi piace. Quando giocavo e la squadra si faceva trovare sotto la linea della palla soffrivo. Da allenatore voglio sempre che la mia squadra abbia il comando del gioco. Mi piace poter trasmettere la capacità ai miei giocatori di uscire dalle situazioni complicate che la partita ti crea. Il trofeo più bello alla Lazio? La prima cosa che mi viene in mente è la vittoria della Coppa Italia. Io venivo da tanti anni dove il Milan aveva vinto tantissimi trofei a livello internazionale e nazionale. Ma non potevo essere considerato un protagonista, anche se giocavo titolare. Sono stato al fianco di Gattuso e Pirlo al massimo della forma. Aver conquistato un trofeo alla Lazio da protagonista è stata una gratificazione personale, un riconoscimento del mio valore come calciatore. Quando sono arrivato alla Lazio le cose nello spogliatoio non erano molto tranquille. Alcuni giocatori considerati più vicini alla società hanno avuto delle difficoltà di inserimento. Io ho avuto la stima dei magazzinieri e degli addetti ai lavori, che sono gli unici a conoscere la verità. Avere ancora dei rapporti con loro è la risposta a questa questione”.
Brocchi ha anche parlato di Matuzalem, colui che lo condannò a chiudere la carriera anzitempo, ma senza nessun rancore: “Lui non ha fatto nulla di diverso che non fosse nella sua natura. E’ un giocatore focoso, non l’ha fatto per farmi male o per vendetta personale. Non ce l’ho con Matuzalem, provo stima per lui e sono in buoni rapporti. Io e lui abbiamo sempre parlato, riso e scherzato. Ho sempre detto che era il centrocampista più bravo quando ho giocato nella Lazio. E’ stato un incidente di gioco. La mia carriera doveva finire così. Ci siamo anche rivisti, però non c’è stato nulla di controverso fra noi. Ho stima in lui come calciatore e come persona”.
Poi un ricordo personale sulla Supercoppa vinta a Pechino contro l’Inter: “L’abbiamo voluta vincere quella Supercoppa. Sapevamo che non potevamo imporre il nostro gioco contro una squadra che aveva appena vinto il Triplete. Potevamo fargli male, però l’unico modo per vincere era comportarsi da squadra vera. Abbiamo sofferto per molti momenti del match, però non ci siamo mai disuniti. Non è mai stata evidenziata abbastanza quella vittoria a Pechino”.
Infine alcune parole su Muslera, Lichtsteiner, Zarate e l’Europa League: “Muslera poteva fare tanto nel calcio e lo ha dimostrato. Lichtsteiner ha un carattere particolare, non ti fa ridere negli spogliatoi ma non molla un centimetro. E’ un ragazzo d’oro. Zarate? Lui era tanto giovane in quel momento, la Lazio aveva il desiderio di trovare un idolo. Non è riuscito a continuare a fare quello che aveva fatto il primo anno. Sono iniziate varie problematiche, pensieri negativi che non gli hanno permesso di dimostrare quello che è in grado di fare. L’Europa League? Non è più snobbata come prima: io ricordo che nel girone eliminatorio con Ballardini in panchina ci furono parecchi infortuni, e questo non ci consentiva di fare bene sia in campionato che in Europa. Da Reja in poi abbiamo vissuto la competizione in modo differente. L’unica scocciatura è che stanca parecchio: si fanno trasferte di giovedì e ti portano via molte energie. Però è una competizione bellissima che qualsiasi calciatore vuole giocare. Come mai la Lazio non si è ripetuta quest’anno? Tutti si aspettavano dalla scorsa stagione la chance di giocare in Champions, la mancata qualificazione ha dato un contraccolpo psicologico alla squadra. La rosa della Lazio però è ampia: basti vedere Konko che sta facendo bene. Speriamo che Felipe Anderson torni quello dello scorso anno e auguro al mio fratellino Matri di segnare tanti gol. La festa a piazza di Spagna? Io auguro ad ogni singolo giocatore della Lazio di vivere quell’emozione che ho vissuto io lì”.
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