GILARDONI“E’ stato un grande uomo, perché ci è sempre stato nei momenti importanti senza far mai notare la sua presenza. Perché i grandi uomini fanno così, lavorano in silenzio senza fare passerella e senza cercare l’applauso della folla”. In queste poche parole che mi ha detto Dino Zoff sulla gradinata della chiesa prima dell’inizio del funerale, c’è tutto Nanni Gilardoni. Un uomo che è stato per più di 40 anni al servizio della Lazio, ricoprendo anche ruoli delicati e che ha messo tanto di suo anche dal punto di vista economico, ma che è entrato e soprattutto è uscito in punta dei piedi da quella società che per lui è stata una seconda famiglia e una ragione di vita. Sì, perché al contrario di tanti che sono usciti sbattendo la porta o che per rabbia e rancore in seguito hanno vomitato di tutto contro la Lazio e chi li aveva allontanati, Nanni Gilardoni anche in questo ha dimostrato di essere un grande come dice Dino Zoff, un signore d’altri tempi che sarebbe stato benissimo in un romanzo di fine ottocento.

E per quel suo modo di essere, per quella sua capacità di saper ascoltare e di parlare poco ma di saper dare sempre il consiglio giusto, oggi a salutarlo per l’ultima volta c’erano i rappresentanti di più di 40 anni di Lazio, con due soli assenti: uno giustificato, l’altro no. Mancava Giorgio Chinaglia, il suo pupillo, il suo figlio prediletto forse perché così diverso da lui. Nanni Gilardoni ha sempre amato tutti i giocatori che hanno indossato la maglia della Lazio, senza fare nessuna distinzione tra campioni e gregari, perché a lui bastava che indossassero la maglia della Lazio per considerarli gente di famiglia, quasi alla strega dei suoi nipoti. Ma il “notaio” ha sempre avuto un debole per Giorgio, così come tra gli allenatori che si sono succeduti in quei quattro decenni sulla panchina della Lazio ha sempre avuto un debole per Tommaso Maestrelli. L’altro assente, ingiustificato, era Claudio Lotito. Ma oramai queste sue assenze, questi schiaffi continui alla Lazialità come la intendiamo noi, non fanno più notizia. Aveva senza dubbio qualcosa di più importante da fare, come probabilmente aveva qualcosa di più importante da fare Giovanni Malagò, ma il presidente del Coni era presente. E con lui c’erano due ex presidenti della Lazio (Zoff e Chimenti), gli ex ragazzi dello scudetto del 1974 (Oddi, Wilson, Pulici e D’Amico), Michelangelo Sulfaro e Mario Facco, Giancarlo Morrone, Bruno Giordano, Nando Orsi, Angelo Gregucci e l’ex direttore generale della Lazio targata Cragnotti, Enrico Bendoni e Giuseppe de Mita. E il presidente della Polisportiva, Buccioni. C’era tanta Lazio del passato, ma c’era anche qualcuno della Lazio del presente: da Laura Zaccheo ad Angelo Cragnotti, dall’avvocato Gentile al generale Coletta, con tanto di giacca con l’aquilotto e due ragazzi delle giovanili al seguito. C’erano tutti i quasi, mancava colui che aveva segnato la fine dell’avventura laziale di Nanni Gilardoni, con gli stessi metodi usati per allontanare Bob Lovati. Ma nessuno dei presenti si è stupito per quell’assenza.

C’erano anche tanti giornalisti, perché per tutti noi che abbiamo seguito la Lazio il “notaio” era un punto di riferimento. Quando è venuto meno Gigi Bezzi, è stato Nanni Gilardoni a ricoprire un po’ quel ruolo di collegamento tra la società e la stampa. Non era un confidente, perché sulle cose di Lazio era “notaio” sotto tutti i punti di vista, quasi una tomba. E dire che di cose da raccontare invece ne avrebbe avute tante, perché in quel palazzetto di via Nicotera è stata fatta la storia della Lazio degli ultimi 50 anni, compreso l’ultimo atto che ha portato Lotito in quel di Formello. L’atto ufficiale, infatti, fu firmato il 19 luglio del 2004 proprio nello studio Gilardoni, con quel veramento di 21 milioni di euro indispensabile per ratificare l’iscrizione della Lazio al campionato 2004-2005. E le prime parole da presidente, Lotito le pronunciò proprio sulle scale di quell’elegante palazzetto di via Nicotera, a due passi da piazza della Libertà, il luogo in cui fu fondata la Lazio.

Con la scomparsa di Nanni Gilardoni se n’è andato un altro pezzo importante di quella Lazio che abbiamo imparato ad amare, così diversa da questa società senza anima che amano senza riserve quelli della generazione cresciuta con Lotito presidente e che sopportano per mancanza di alternative tutti quelli che, come lo era Nanni Gilardoni, sono malati inguaribilmente di Lazio. Ma senza anima, nella vita come nel calcio, anche se la dea Bendata ti sorride non si va lontano. Va tutto bene quando le cose vanno bene, ma se le cose vanno male l’assenza di anima la paghi con l’abbandono e la solitudine. Per questo invece oggi la chiesa del Cristo re, la chiesa dei Laziali, oggi era piena nonostante il venerdì di luglio e il sole implacabile. Perché Nanni quell’anima ce l’aveva e aveva i colori del cielo: bianco e celeste.

STEFANO GRECO- LAZIOMILLENOVECENTO



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