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Ci sono volte in cui è difficile mettersi davanti a un foglio bianco per tirare fuori tutto quello che si ha dentro, evitando di correre il rischio di farsi trascinare dalla rabbia. Questa è una di quelle volte. Perché quello che è successo oggi all’Olimpico, è la logica conseguenza di un qualcosa che era ampiamente prevedibile, almeno per chi parla di pallone ma che da fine maggio ad agosto ha festeggiato ma senza perdere il contatto con la realtà, al contrario di tanti giornalai o piccoli servi dell’informazione che parlavano e scrivevano di Lazio da Champions League, esaltando una rosa che secondo certi geni era seconda solo a quella della Juventus. Verrebbe voglia di ritirare fuori tutto oggi, di mettere questa gente davanti a quello che hanno detto e scritto per mesi, contribuendo a creare false illusioni, le stesse spacciate per anni a quelli dall’altra parte del Tevere. E il dramma è che in tanti, in troppi, hanno abboccato proprio come quelli che abbiamo preso in giro per anni, quelli che sotto l’ombrellone hanno vinto decine di scudetti virtuali.

Quella che si è vista oggi è la faccia peggiore della Lazio, ma questo è il potenziale di una squadra che da gennaio ha fatto 30 punti in 31 partite di campionato, una media che garantisce a stento la salvezza. Questa è la reale dimensione di un gruppo pieno di giocatori inutili, di gente strapagata e non si sa per quale motivo, perché non serviva. Basta pensare ad Ederson, uno che rumina calcio a oltre 2 milioni di euro netti a stagione e che abbiamo inseguito addirittura per più di 5 anni. Basta pensare a Felipe Anderson, un brasiliano che non riesce a saltare mai l’uomo e che fatica a fare pure appoggi a 5 metri, inseguito per mesi e acquistato per la modica cifra di 10 milioni di euro senza concorrenza, perché non c’era nessuno a contenderci un simile fenomeno e nessuno che si è chiesto: PERCHE’? Si potrebbe andare avanti con Perea, altro fenomeno acquistato a peso d’oro, un ragazzo che da l’anima sul campo, ma che tutto può fare nella vita meno che l’attaccante. O meglio, non può essere l’attaccante che serviva a noi. E si potrebbe andare avanti per ore, ma inutilmente, perché da settimane sento discutere gente se sia o no il caso di incartare Hernanes e spedirlo chissà dove, come se il problema della Lazio fosse Hernanes e non quello che si è visto oggi contro il Genoa, con Hernanes in tribuna. O meglio, quello che si vede da mesi.

Perché questa squadra è figlia di scelte scellerate, fatte da altri e avallate da un allenatore che da mesi promette riscatto ma che non riesce a trasmettere nulla ai suoi giocatori: né quel briciolo di carattere e di umiltà che servirebbe come il pane né qualche schema di gioco ad una squadra che balbetta calcio, priva di fantasia, di idee e di gioco. Contro il Genoa è emersa tutta la fragilità e la mancanza di idee e di voglia della Lazio, di una squadra che sembra oramai rassegnata, un po’ come tutto l’ambiente. Una volta una sconfitta del genere avrebbe scatenato l’inferno, oggi alla fine non c’era forza neanche nei cori contro i giocatori e il vero artefice di questo scempio, quello che ha la scienza infusa, l’unico in grado di parlare di calcio. Per qualcuno questo crollo è un amaro risveglio, un brusco ritorno alla realtà. Non lo è per chi lanciava l’allarme, per quelli che erano tacciati come “gufi” o come “nemici della Lazio” solo perché avvertivano che si stavano creando tutti i presupposti per andare incontro ad un Ballardini-bis, ad una stagione simile se non identica a quella successiva alla Coppa Italia conquistata nel 2009. Rosa sopravvalutata, successo pompato per distrarre l’attenzione e per convincere la gente che la squadra era “difficilmente migliorabile”, oppure che “facendo nuovi innesti c’era il rischio di fare danni, di spezzare l’empatia che regnava all’interno del gruppo”. E visto che da anni si ripetono sempre gli stessi errori, sta succedendo esattamente quello che è successo nella stagione 2009-2010. E Petkovic sta in confusione come e più di Ballardini in quella sciagurata stagione. Oggi non ne ha indovinata una che una, dalla formazione iniziale alle sostituzioni. Un disastro. E l’impressione è che andrà sempre peggio, perché nessuno vuole prendere coscienza della realtà. Tutti continuano a guardare avanti, ai punti che ci separano dalle zone alte, tutti rimpiangono i punti persi e nessuno si preoccupa del fatto che la Lazio ha limiti evidenti, falle non colmate da un mercato senza senso e che continuando a pensare di essere grandi ma sfortunati si rischia di scivolare sempre più in basso. Perché quando si pareggiano partite come quelle con il Sassuolo, quando si rischia quasi di perdere contro un Milan che sta più in crisi di noi e quando si regalano tre punti al Genoa, squadra di una pochezza disarmante, il futuro rischia di diventare nero come la pece. Altro che promesse di riscatto, altro che reazione.

Non ci sarà nessuna reazione, perché questa squadra non ha nulla dentro. Come non ci sarà nessuna reazione da parte dell’ambiente, perché oramai apatia e rassegnazione regnano sovrani. Bastava guardare le facce fuori dallo stadio, bastava ascoltare il silenzio lungo le strade che portano lontano dall’Olimpico. Questo è il risultato che ha ottenuto il trio di fenomeni che guida la Lazio. Quello che decide, quello che esegue e quello che ha accettato qualsiasi cosa, perdendo così credibilità agli occhi dei tifosi e qualsiasi tipo di ascendente su un gruppo in smobilitazione, soprattutto dal punto di vista psicologico. Perché le motivazioni sono importanti, basta guardare quello che sta succedendo dall’altra parte del Tevere. E qui di motivazioni non ne ha più nessuno, squadra in testa. Perché quando vedi una società che non fa nulla per fare il salto di qualità, quando capisci che qui si è già andati oltre i limiti, la conseguenza inevitabile è sedersi. Ed è quello che sta succedendo alla Lazio. Si sono seduti tutti e non sarà facile rialzarsi. Servirebbe una scossa, un vero e proprio elettroshock che non può essere il cambio di allenatore. Perché se non cambia la testa non cambierà mai nulla mettendo un altro “signorsì” in panchina al posto di Petkovic. Perché nella Lazio di oggi c’è spazio solo per dei “signorsì”, per gente senza personalità e senza un briciolo di carisma, per non oscurare in nessun modo il “re sole”. Anzi, il “re dei sòla”…

GIORGIO CERRI



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