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Cosa vedi da lassù, Angelo biondo?
Luciano ci manca, ci manca parecchio
Sono passati, volati 42 anni. La fretta esistenziale divora tutto, per fortuna non ancora i ricordi e le sensazioni. Quando si tange il cambiamento, positivo o negativo che sia, l’animale umano prova sempre nostalgia. 42 anni sembrano ere geologiche, eppure è appena la metà del percorso di vita auspicabile di ognuno di noi. Cos’è cambiato da allora? Faremmo meglio a dire cosa non è cambiato. Luciano era l’espressione di quel mondo ancestrale, quello da cui deriva un po’ la parte genuina di noi: ragazzo di provincia, sangue misto a terra nelle sue vene e sorriso affabile. Figlio di una famiglia contadina, ha imparato presto il senso della vita, come tutti quelli della sua generazione: il sacrificio per un destino comune non è sempre una scelta. Cresciuto nella bella e speranzosa realtà calcistica foggiana, consacrerà il ruolo di gladiatore capitolino soltanto più tardi, tramutandosi in perno insostituibile in un contesto indecifrabile, incatalogabile anche per i più disparati conoscitori dei fenomeni sociologici. Per l’appunto, muore d’arma da fuoco uno dei pochi, forse l’unico del giro a non possedere il porto d’armi. Cecco netzer ora campeggia in Curva Nord, in uno dei tanti bandieroni biancocelesti, nelle mura che lo hanno visto insieme a Luigi Martini a godersi la sua effimera esistenza, un po’ ovunque si sia trovato bene e abbia lasciato un sorriso. Accompagnare il suo feretro dopo aver trasportato a Prima Porta quello di Maestrelli è la cruda conferma della morte di quel contesto bello e dal sapore di primavera per i tifosi laziali. Cosa vedete ora, lassù? Guardi ancora la tua Lazio, Angelo biondo? Ci manca quel calcio, ma ci manca ancor di più avere tra noi facce come la tua: pulite, candide e semplici. Nel mondo della stravaganza come normalità, ci mancano persone composte, dalla imperturbabile rettitudine morale e anche sportiva. Ci manchi tu come simbolo di quel mondo che neanche un galantuomo come il tempo può riportare fra noi. Pazienza, i laziali sono abituati. I laziali sanno aspettare, la loro stagione è pur sempre la primavera, quella della rinascita. I laziali si sentono ancora rappresentati da ragazzi come te, anche se il mondo è cambiato. C’è ancora chi, nell’epoca dell’idolo su Instagram, preferisce il brav’uomo che ha lo spirito di atleta e non vive di riflettori. É questo che ci ha lasciati la Lazio, è questa la lazialità e tu ne sei un simbolo incancellabile. Si guardi, poco vicino l’Olimpico, cos’è e cosa vuol significare lo Stadio dei Marmi: scultoree rappresentazioni di pacata imponenza, inscalfibile dalla nullità contemporanea. È quella la lazialità.
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