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CRAGNOTTI

“Noi eravamo troppo avanti. Il calcio italiano manca di mentalità imprenditoriale. Lo staff dirigenziale della banca non era all’altezza per poter sostenere progetti di ampia visione. Ed è il problema che affligge ancora oggi tutto il sistema industriale italiano”.

Banche e plusvalenze, Scudetti e stadi. È un Sergio Cragnotti a tutto campo quello intervistato da Stefano Greco per la seconda puntata di “48 minuti” il programma di Sport Uno (visibile al canale 60 del digitale terrestre, 5060 decoder SKY HD e al 44 di Tivusat) – in onda oggi alle ore 16 e in replica alle 21 – che ogni settimana ospita un grande personaggio dello sport per un’intervista a 360°.

Formatosi nel gruppo Ferruzzi, negli anni ’90 dà vita ad un grande gruppo alimentare che ruota intorno alla Cirio, che però terminerà in un crack per il quale Cragnotti è stato condannato in primo grado a 9 anni di reclusione. Sale alla ribalta dei media nel 1992, quando acquista la SS Lazio portandola a diventare la prima società calcistica quotata in Borsa nel 1998, e a vincere 7 trofei in due anni, compreso lo Scudetto del 2000. Nel 2002 inizia la crisi del suo gruppo che lo porta a cedere tutto alle banche.

E proprio da una banca, Capitalia (fusasi nel 2007 con Unicredit), parte l’attacco di Cragnotti. “La Banca di Roma negli anni novanta governava il territorio romano. La Lazio rappresentava un buon investimento, e poi era un affare di cuore. Ma non credo che sia stato il presidente Geronzi a decidere di far mancare il sostegno alla mia idea industriale e calcistica, ma da chi faceva parte della sua equipe. Lo staff dirigenziale della banca non era all’altezza per poter sostenere progetti di ampia visione. Ed è il problema che affligge ancora oggi tutto il sistema industriale italiano”.

La stessa accusa Cragnotti la indirizza alla FIGC e al calcio italiano. “Il calcio italiano manca di mentalità imprenditoriale. Ma non mi sono mai pentito di essere entrato nel mondo del calcio. Mi è mancata solo la Champions League, alla quale volevo arrivare attraverso un progetto industriale che la Federcalcio rifiutò, ma che poi in seguito hanno copiato tutti. Noi eravamo troppo avanti. La quotazione era il mezzo per portare la Lazio nel mercato globale tramite le vittorie e la Lazio all’epoca era la squadra più forte del mondo, come ha raccontato anche Sir Alex Ferguson, che raccontato avere tra i grandi rimpianti della sua vita l’aver perso la finale di Supercoppa a Montecarlo contro di noi. E la maglia della Lazio si vendeva come prima maglia nei negozi ufficiali del Manchester United”.

Temi di questi giorni: gli stadi di proprietà e gli investimenti stranieri. “In quel momento c’era veramente la volontà di costruire lo stadio. Avevamo individuato l’area (la Bufalotta), poi per i soliti problemi burocratici il progetto venne meno. Oggi, come è successo con l’Inter e come succederà con altri, i capitali stranieri arriveranno nel calcio italiano se saprà dare delle assicurazioni agli investitori. Il sistema è globale, il calcio non può essere più un qualcosa di provinciale, che si limita ad una stracittadina, legando le soddisfazioni ad una vittoria nel derby ”.

L’alleanza con Franco Sensi. “Franco Sensi riconobbe che sostenere idee comuni avrebbe dato forza alla Roma come alla Lazio. Volevamo far diventare Roma anche la Capitale del calcio italiano. E per qualche anno ci siamo riusciti. Con la nostra presenza al vertice avevamo eliminato le squadre del Nord. Ma il grande progetto industriale si è interrotto bruscamente con l’uscita di scena del sottoscritto e a causa della malattia di Franco. E con Calciopoli qualcosa si è scoperto su come era governato allora il calcio italiano e si è capito perché abbiamo vinto così poco”.

Per vincere gli investimenti furono enormi. “Si è investito tanto, ma la logica era che si comprava un grande campione e si cedevano un paio di buoni giocatori che avevamo valorizzato per finanziare l’operazione. Le cosiddette plusvalenze. Signori all’inizio, per dare alla gente un idolo in cui identificarsi, Mancini era un grande campione e anche un uomo di personalità e di grande intelligenza – con cui alla fine il rapporto si rovinò per ragioni personali – poi Veron, Boksic, un mio pupillo, e Nedved, che fu una scoperta di Zeman”.

Chiosa finale sul suo successore la Lazio, Claudio Lotito e un’ultima stoccata a Capitalia. “Il debito della Lazio non l’ho creato io. Ha preso tutto in mano in mano la banca, compresa la gestione della squadra di calcio. Evidentemente qualcosa non ha funzionato. Lotito ha fatto quello che si prevedeva e che poteva fare. Ha tirato fuori da una crisi profonda la società e gli ha dato una stabilità, ma per ottenere i grandi risultati servono grandi investimenti, quindi credo che il presidente dovrà fare uno sforzo, oppure chiedere aiuto all’azionariato”.

STEFANO GRECO



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