Tra lunedì e martedì dovrebbe essere valutata l’istanza presentata dai 10 condannati per direttissima: sei casi verranno esaminati lunedì, gli altri quattro il giorno successivo. Per loro si cercherà di tramutare i mesi di condanna in pena pecuniaria (circa 1000 euro a testa), con l’obiettivo perciò di liberarli al massimo entro mercoledì. Giovedì e venerdì sarà invece il turno degli altri 12 ancora in attesa di giudizio, i legali proporranno per loro il patteggiamento. Questo significa che già venerdì potrebbero tutti – teoricamente – abbandonare il carcere di Bialoleka. Il patteggiamento dovrebbe prevedere la condanna a due anni con la condizionale, il Daspo in Europa per tre anni e il pagamento di una sanzione di 500 euro (più 100 che andrebbero in beneficenza). Al termine della riunione, la situazione è apparsa più rasserenata, i genitori si sono abbandonati a sorrisi ottimisti. Anche i ragazzi in cella stanno bene, si trovano tutti tra laziali, hanno cibo e vestiti e una psicologa è andata a trovarli.
Volti tirati, occhi spenti, un incubo che sembra infinito. Poi d’improvviso la buona notizia, la speranza si fa strada nell’ambasciata italiana, sita in piazza Dabrowskego. Quella di ieri è stata una giornata fondamentale, decisiva per il destino dei 22 ragazzi detenuti nel carcere di Bialoleka. Sono da poco passate le 18 quando l’attaché (addetto) d’ambasciata Mosconi comunica che entro venerdì potrebbero tornare tutti in Italia. Compare qualche sorriso, seppur accennato, l’entusiasmo è contenuto. Da queste parti le notizie cambiano di continuo, impossibile avere certezze. Ma questa volta la luce in fondo al tunnel si scorge chiaramente, gli occhi dei genitori ricominciano improvvisamente a brillare. Poi la sala si svuota, l’ambasciata italiana chiude i battenti in vista del weekend. Oggi, sotto quella bandiera tricolore, non ci sarà nessun via vai, nessuna corsa per ottenere un permesso che vale un abbraccio ad un figlio, un fratello, un nipote. Oggi, in piazza Dabrowskego 6, non ci sarà Patrizia, segretaria da anni qui in Polonia, che si sta prodigando al massimo per aiutare le famiglie dei giovani detenuti. Non a caso il suo cuore batte per i colori del cielo, sulla sua scrivania campeggia una bandiera biancoceleste, mentre Petkovic e la Coppa Italia occupano lo sfondo del desktop. Patrizia è un punto di riferimento, una colonna portante, è una parola di conforto, una presenza costante. Ha due figli, di cui uno irrecuperabilmente laziale. Era anche lui a vedere la partita contro il Legia, ma fortunatamente non è stato fermato dalla polizia polacca. Sa bene cosa vuol dire essere madre, immagina il dolore di un genitore che vede il figlio privato della propria libertà. È anche grazie a lei che queste persone hanno trovato la forza di andare avanti. Sprazzi di umanità, in un terribile incubo. Che sembra finito.
LALAZIOSIAMONOI
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