Le dimore della S.S.Lazio, dal 1900
Lo diceva il celeberrimo filosofo romano Plinio il Vecchio, scomparso durante l’eruzione vesuviana del 79 d.C. E, se è vero che dove c’è la casa c’è il cuore, è importante conoscere i momenti della propria vita e contestualizzarli in rapporto agli ambienti dove si è vissuti. La Lazio è una società antica, ha 118 anni e tanti ricordi alle sue spalle: belli, bellissimi e bruttissimi, passati in ambienti diversi e dal diverso fascino.
L’attuale casa dei biancocelesti, dal 1953, è lo Stadio Olimpico di Roma: pianta ovale di cemento armato, 72 698 posti censiti e un’impostazione, come suggerisce il nome, assolutamente olimpica. Nato come Stadio dei Cipressi, vide la luce nel progetto mussoliniano di creazione di una Città dello Sport nel Foro che dall’allora capo del governo prese il nome (oggi Foro Italico); i lavori verranno terminati, causa scoppio delle ostilità, solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1953 col nome di Stadio dei Centomila; ma è nel 1960 che ottiene la definitiva e attuale denominazione, in occasione dei Giochi della XVII Olimpiade dove ospitò le cerimonie di apertura e chiusura. Lo stadio, oggi di proprietà del CONI, ha subito diversi restyling durante la sua decennale esistenza, tra cui quelli più significativi all’inizio degli anni 90 in occasione del Mondiale di calcio ospitato dall’Italia. Si tratta di un impianto polisportivo, multifunzione e dotato di pista d’atletica a 9 corsie e manto in erba naturale. La sua ubicazione è iconica: il Foro Italico, progettato da Enrico del Debbio (a cui si ascrive la paternità anche dell’impianto in questione) è posto ai piedi del Monte Mario (che dà anche il nome a una delle due tribune parallele al terreno di gioco) e si prepone, fin dal progetto, di rappresentare l’importanza dello sport e del suo valore morale e sociologico per l’intera società occidentale. Valori ai quali si rifecero, nel 1900, i fondatori della S.S. Lazio, la più antica polisportiva italiana.
Prima del 1989-90, annata in cui si assisterà al definitivo trasferimento all’Olimpico, lo stadio utilizzato dalle due compagini romane era il Flaminio. A dispetto del primo, qui ci troviamo di fronte a un impianto a gradinata unica. Ubicato sulla via Flaminia, presenta zero piste d’atletica, tappeto erboso e copertura sulla sola tribuna principale; capienza drasticamente inferiore (24 973 spettatori), è stato impiegato con molta più frequenza dalla Federazione Italiana di Rugby, la quale è stata presente stabilmente per circa 3 decenni. Lo Stadio Flaminio sorge sulle macerie del vecchio Stadio Nazionale, impianto multifunzione più capiente (47300 spettatori) ma dotato di difetti congeniti non secondari, come l’orientamento e l’inosservanza della curva di visibilità; fu inaugurato del 1911 alla presenza dei membri di Casa Savoia e ristrutturato nel 1927 per volere delle gerarchie fasciste romane. Col passare degli anni, lo Stadio Nazionale presenterà addirittura problemi di capienza, al punto che a Roma tornò a manifestarsi l’esigenza di nuove strutture sportive. Lo stadio (nel frattempo tornato a chiamarsi Stadio Nazionale e poi intitolato al Grande Torino scomparso a Superga) venne abbandonato da Roma e Lazio nel 1953 quando fu costruito il nuovo Stadio Olimpico. Nel luglio 1957 l’impianto fu demolito e subito dopo iniziarono i lavori di costruzione dello Stadio Flaminio, inaugurato nel 1959. La Lazio vi disputa qui l’intera stagione 1967/68 e quella 1989/90, nonché diverse partite dei campionati di Serie B 1962/63, 1964/65, 1965/66 e alcuni incontri di Coppa Italia. Oggi è ridotto in un’ingrata situazione di abbandono e non di rado si parla di riqualificazione da parte laziale, sebbene il patron Lotito abbia ultimamente esplicitato dissenso in chiave trasferimento dall’Olimpico.
Nell’area dove ora sorge il Palazzetto dello Sport tra lo Stadio Nazionale/Flaminio e il Campo Corse Parioli, nel quartiere Flaminio, si faceva spazio nel viale alberato lo Stadio della Rondinella. Struttura rudimentale, specialmente nell’impostazione degli spalti, si presentava con spalti su tre lati e una tribuna coperta in legno, base di mattoni, casa di un custode e un magazziniere. Viene impiegato dalla Lazio a partire dal 1914 ma, dopo la costruzione dello Stadio Nazionale, vedrà soltanto gli allenamenti dei laziali e il primo derby romano della storia, terminato in favore dei giallorossi pronti a migrare verso Campo Testaccio.
Ultimo, ma non per importanza e cronologia, fu il Campo di Piazza d’Armi. La primordiale dimora della Lazio, prima di trasferirsi al Parco dei Daini e successivamente al campo della Farnesina; si narra che il centravanti Fernando Saraceni I avesse centrato in pieno il volto di una nobildonna, suscitando le ire del marito prefetto Angelo Annaratone, il quale decise di revocare il permesso ai laziali di giocare su quel terreno.
Le storie dei diversi impianti sono collegate tra loro grazie inequivocabilmente alle squadre che hanno ospitato, ma grazie soprattutto al filone storico che intercorre tra gli avvenimenti di carattere locale e nazionale: spesso, in particolare nella prima metà del Novecento, le squadre hanno dovuto lasciare il campo da gioco per riadattamento del terreno in chiave bellica o anche semplicemente perchè obbligati a partire per ottemperare dovere delle armi. Il futuro appare incerto all’orizzonte: la Roma, tra annunci in pompa magna e ombre gettate da arresti e figure losche, sembra bel lontana dalla realizzazione del progetto di una nuova casa. La Lazio, nel frattempo, sembra sia anch’essa lontana anche solo dall’idea di costruirne uno nuovo, sebbene le suggestioni che girano nell’ambiente; basti pensare, in fondo, all’assenza di un progetto vero e proprio a firma di ingegneri e architetti.
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