CURVA NORDE’ inutile che vi affannate, è inutile che iniziate conti alla rovescia o che sognate impossibili rivincite il 22 settembre, il 9 febbraio o in un’ipotetica semifinale di Coppa Italia: il derby non esiste più, il derby è morto il 26 maggio del 2013. Quel giorno e con quella sfida, è come se si fosse chiusa un’epoca, o meglio è stato l’ultimo paragrafo di un libro durato 86 anni, fatto di battaglie a volte epiche, di scontri dentro e fuori il rettangolo di gioco, di grandi eroi e di grandi perdenti. Ma mai in 86 anni c’era stata una sfida come quella del 26 maggio: la partita delle partite, il sogno proibito di ogni tifoso di calcio in generale e romano in particolare. Novanta minuti con in palio un trofeo che aveva significati che andavano oltre una coppa da mettere in bacheca o da alzare in faccia ai rivali di sempre. Perché quel successo è stato come toccare il cielo come un dito, come realizzare il sogno cullato una vita, come andare con la donna che tutti vorrebbero avere. E dopo aver provato un qualcosa del genere, tutto perde quasi significato, nulla potrà regalarti le emozioni e le sensazioni provate in quel momento.

Una volta, il giorno dell’uscita dei calendari la prima cosa che si guardava era la giornata in cui cadeva il derby, la data dell’andata e del ritorno, chi giocava per primo in casa. Ieri neanche l’ho guardato quando si gioca il derby, perché per me quella parola ha perso significato. Mi ha tolto anche quell’ansia mischiata al fastidio che accompagnava quel doppio appuntamento stagione, quella che nel 1994 mi aveva portato a dire basta, a non andare più allo stadio in occasione dei derby. Quel fastidio e quell’ansia sono spariti, d’incanto, la sera del 26 maggio. Come quando temi un verdetto che può cambiare la tua vita e una volta arrivato ti senti svuotato. Ti rendi conto che da quel momento in poi nulla ti potrà più preoccupare come quel fantasma che si è dissolto. Ci saranno altre sfide importanti, difficili, decisive. Si giocheranno altre partite tese e con una posta in palio importante, ma d’ora in poi saranno pure e semplici partite. Perché neanche vincendone dieci di seguito proverei quello che ho provato il 26 maggio, perché neanche perdendone dieci si seguiti si spegnerebbe il sorriso per quella Coppa alzata in faccia ad un nemico sconfitto invisibile, perché aveva abbandonato lo stadio ben prima della premiazione. Nessuna vittoria del futuro potrà scatenare sfottò come quelli degli ultimi due mesi, nessuna sconfitta del futuro potrà cancellare il nome di Lulic, quel 71 entrato nella leggenda, quella coppa in faccia che è diventata vernice sui muri, poster, adesivi, striscioni trainati da aerei.

Per questo, lasciamola a loro questa parola derby svuotata di ogni significato. Il 22 settembre si gioca all’Olimpico Roma-Lazio, una partita che vale 3 punti come quella con il Chievo o con il Sassuolo, forse più carica di significati perché l’avversario è più importante, ma che vale quanto un Napoli-Lazio, un Milan-Lazio, un Inter-Lazio e forse meno di quello Juventus-Lazio in programma il 1 settembre. Perché l’unicità delle sensazioni e delle emozioni di quella finale ha cancellato tutto. E’ finita, non c’è rivincita, non c’è più derby. Almeno per noi. Per voi che state male da due mesi e che sognate un riscatto impossibile, forse quella parola ha ancora un significato. Per noi no, quindi ve la lasciamo volentieri. Per noi il derby è morto il 26 maggio e da quell’evento nulla sarà più come prima.

STEFANO GRECO



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