Stefano Greco a 360 gradi sul mondo Lazio. Dal primo approccio all’attuale situazione biancoceleste
Stefano Greco a tutto tondo. Il giornalista biancoceleste ci ha gentilmente concesso una breve intervista sul mondo Lazio generale e sul suo primo approccio con la casacca biancoceleste.
Gli obiettivi prefissati ad inizio stagione: con questo organico e mentalità potrebbero essere centrati ? Tolta l’Europa League naturalmente vista l’uscita prematura con il Siviglia.
“I limiti di organico sono evidenti, fin dall’ inizio, Ma per come si è messa la stagione può succedere veramente di tutto, anche perché il Milan zoppica, la Roma peggio. In questo momento forse è l’Atalanta la vera favorita per il quarto posto ma il fatto di giocare lo scontro diretto in casa ci mette quasi sullo stesso piano. Per quel che riguarda la mentalità, dipende. Se è quella vista a San Siro, sicuramente sì, ma se è quella vista a Ferrara, verrebbe da dire assolutamente no”.
Cosa servirebbe a questa Lazio per fare un passo in più?
“Innanzitutto una società che dimostri in modo concreto e non solo a proclami di crederci. Perché, vedi, al di la dell’odio che qualcuno prova per Lotito tanto da accecarlo completamente (e dall’ altra parte vale per chi giustifica anche l’ingiustificabile…), qui tutti vogliamo solo una cosa: poter sognare. E se la società dimostra di voler fare di tutto (nei limiti delle disponibilità economiche…) per trasformare un sogno in realtà, resta l’antipatia per il personaggio ma la Lazio viene comunque prima. L’estate scorsa, ad esempio, sarebbe bastato prendere Lazzari e un altro attaccante vero (prevedendo un possibile calo di Immobile, fisiologico, ma anche che Milinkovic e Luis Alberto non avrebbero segnato quanto l’anno prima) per consentire ad Inzaghi di avere quel paio di alternative indispensabili per fare quel piccolo salto di qualità che ci poteva portare in Champions. Perché se tu togli Anderson e metti Correa, togli De Vrij e metti Acerbi, nella migliore delle ipotesi (considerando che lo scorso anno in molti hanno dato il massimo e forse anche qualcosa in più) resti come stai e comunque non cresci”.
Tonfo Lazio durante il campionato, quale può essere la causa?
“Succede spesso nello sport. Certe volte per rialzarsi bisogna toccare il fondo. E noi quel fondo lo abbiamo toccato nel periodo in cui siamo usciti dall’Europa League. A parte questo, la rinascita è dovuta anche al pieno recupero dal punto di vista fisico di giocatori fondamentali per questa squadra, come Milinkovic e Luis Alberto. Alla fine nominiamo sempre loro, nel bene o nel male, perché sono due dei 5 (insieme a Immobile, Leiva e Acerbi) che fanno la differenza”.
Mal di big, un tema trattato da molte testate e da molti tifosi. La Lazio perché si ferma sempre negli scontri diretti?
“Perché sei più debole e contro le grandi vengono messi a nudo tutti i tuoi difetti, verrebbe da dire. In realtà in molte occasioni ci ha detto anche male, come nella sfida in casa con la Juventus di quest’anno, nella quale siamo stati in assoluto controllo e padroni del gioco per 75 minuti. Poi arriva l’errore del singolo e a quel punto cade il castello. Contro l’Inter, sei stato concentrato per 90 minuti, giocando ai livelli dello scorso anno e la vittoria è arrivata. Sia in campionato che in Coppa Italia”
Difesa a 3, certe volte funziona e certe volte no. Simone Inzaghi secondo te, la sceglie per tattica o per mancanza di organico?
“San Siro ha dimostrato che quello della difesa a tre è un falso problema. Per rendere al meglio la Lazio deve avere tutti i giocatori importanti a disposizione e in perfette condizioni, perché dietro c’è veramente poco. A volte Inzaghi si volta verso la panchina quando si deve provare a fare qualcosa per cambiare il corso delle cose e secondo me gli viene lo sconforto, perché vede buoni giocatori ma nessuno in grado di entrare e fare la differenza. Questo passa il convento e secondo me con questo materiale a disposizione Inzaghi sta facendo miracoli da tre anni a questa parte”.
Tutti conoscono la tua storia da tifoso laziale: Quale giocatore, quale partita e quale vittoria ti ha colpito?
“Scegliere solo un giocatore tra tutti quelli che ho amato profondamente è un po’ come chiedere ad un padre qual è il figlio preferito. Potrei dire Gazza per certi versi, Chinaglia perché stato il mito della mia infanzia, Bruno o Vincenzo perché sono stati secondo me quelli tecnicamente più forti e per un fatto di cuore visto che son o cresciuti in casa, oppure Di Canio per la sua follia. Ma scelgo uno straniero che è stato qui appena un paio d’anni: Juan Sebastian Véron. Se avessi una bacchetta magica e potessi scegliere, lo riporterei a quando aveva vent’anni e lo legherei a vita alla Lazio. Uno spettacolo di giocatore.
La partita, è senza dubbio Lazio-Vicenza, per mille motivi. Non credo mi possa succedere in futuro di provare le stesse emozioni che ho provato quel 21 giugno del 1987.
La vittoria, è quella con il Manchester United a Montecarlo. Quel giorno mi sono sentito veramente in cima al mondo e ho capito che in quella stagione avremmo potuto vincere qualsiasi cosa e contro chiunque. Al secondo posto, però, c’è Lazio-Milan 3-1, quella del gol di Nesta, perché è iniziato tutto quella sera”.
Stessa domanda però con il giocatore, la partita che ti ha fatto incazzare?
“Astutillo Maglioglio e Lazio-Vicenza 3-4. Quel giorno, se fossi stato un semplice tifoso avrei invaso il campo”.
Inter-Lazio una piccola analisi a secondo del risultato ?
“Inter-Lazio è stata la partita perfetta: grande determinazione, 90 minuti giocati con la testa senza sbagliare praticamente nulla e con la squadra corta che si muoveva come se fosse un corpo unico. C’è poco altro da dire su questa partita, se non che servirebbero una decina di domeniche come quella per fare quel maledetto salto di qualità”.
L’inno\ canzone che ami di più?
“Per affetto, quello di Aldo Donati. Ma la canzone che mi mette veramente i brividi a distanza di vent’anni è ‘Cent’anni insieme’, quella del Centenario. Perché sentendo quella chiudo gli occhi e rivivo uno dei momenti più belli della mia vita. E non solo come tifoso della Lazio”.
Come ti sei avvicinato alla Lazio e chi ti ha trasmesso questa passione?
“L’ho raccontato tante volte, anche in un paio di libri. Io vengo da una famiglia mista, nel senso che il mio nonno paterno era sindaco del consiglio della Lazio che rigettò la fusione e il mio prozio (fratello di mia nonna paterna) Aldo Fraschetti giocava insieme a Fulvio Bernardini e ai fratelli Saraceni. Dall’altra parte, mio nonno materno era socio vitalizio della Roma. Quando ero piccolo, mio zio materno tentò il blitz approfittando dell’assenza di mio padre e mi portò a vedere la Roma. Avevo 4 anni e mezzo, appena entrato in tribuna d’Onore vomitai in testa ad un alto dirigente della Banca di Roma, la banca per cui lavorava mio zio. Un segno del destino. Poi, pochi mesi dopo mio padre mi portò a vedere Lazio-Lecco e mi innamorai a prima vista, anche se quella era una Lazio destinata a retrocedere a fine stagione”.
Secondo te ci sono due pesi e due misure contro la Lazio? ( Var, Uefa, prato dell’Olimpico dopo il Rugby)
“Noi laziali abbiamo sempre riso del complottismo di cui si nutrano da sempre quelli dell’altra sponda calcistica e che per anni hanno usato come scusa per giustificare qualsiasi fallimento. Era sempre colpa del Palazzo o del ‘vento del Nord’. Purtroppo, tanti laziali hanno imboccato quella strada e questo mi ha ulteriormente allontanato da questo ambiente”.
Ultima domanda: Se fossi Inzaghi, come schiereresti la formazione e chi chiederesti nel mercato?
“Giocherei come gioca Inzaghi. Chiederei due laterali difensivi di spinta, un centrale e un attaccante alla Kean, tipo Wesley del Bruges. E lancerei Armini facendo attenzione a non perdere Cesaroni. Secondo me non serve molto per crescere”.
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