Tra luci ed ombre, tiriamo le somme del 2019 biancoceleste
Top, flop e boom. La Lazio nel 2019 ha vissuto momenti d’oro, pur non senza attimi di tensione arricchiti da polemiche. Il nostro Pagellone tenta di esprimere un giudizio imparziale, passando attraverso l’operato dei protagonisti (in positivo e in negativo) e dei risultati conseguiti. Due trofei, un derby vinto (anzi, stravinto) e uno pareggiato, due vittorie a San Siro e tanti tabù crollati: l’annata è positiva, tra le più belle ed entusiasmanti dopo l’annus mirabilis di principio millennio (non vogliam nemmeno scomodare certi paragoni…). Diamo inizio alle votazioni, allora.
Presidente Claudio Lotito, 6,5: la gestione societaria è impeccabile, la Lazio non ha debiti e un ingresso nelle quote farebbe gola a tanti investitori (https://www.since1900.it/dalla-germania-comprare-la-lazio-sarebbe-un-affare/), le soddisfazioni non mancano, così come non sono mancate iniziative di avvicinamento al pubblico (prezzi popolari e apertura Store in centro). Ma la sensazione di inerzia talvolta è snervante. Dopo i torti arbitrali subiti nelle precedenti stagioni, ci si aspettava una presa di posizione forte, che non c’è stata (sebbene si avverta un generale miglioramento della situazione). Il Lazio Store è il premio all’autentica romanità biancoceleste, che arriva però con notevole ritardo. Qualche acquisto di pregio in più nelle scorse stagioni poteva risultare decisivo, ma l’azzardo non è nei colpi del Presidente. Giudizio più che sufficiente.
Direzione tecnica, 7,5: la decisione di restare a Roma, in quel di luglio, auspicava la perseveranza nell’obiettivo europeo, sebbene sia stata presa in seguito a un ottavo posto conseguito (vero, la Coppa Italia una soddisfazione, ma siam finiti pur sempre ottavi…). Il trio Peruzzi-Inzaghi-Tare ha compiuto un gran lavoro: senza l’iniezione di liquidità su cui fondano le proprie mosse i vari Paratici, Conte e Marotta, lo staff tecnico laziale ha saputo trattenere nella Capitale Milinkovic e Luis Alberto (a quest’ultimo, è già pronto il rinnovo), ha creduto in Lazzari e, se consideriamo le cessioni a peso d’oro dei promettenti quanto scostanti Keita, Anderson e De Vrij avvenute nelle precedenti finestre di mercato, lasciando spazio dunque a Caicedo e a Correa, si spiega il capolavoro compiuto. La squadra trova la sua identità in campo dopo tanta fatica, esperimenti e insistenza nel modulo imposto da Inzaghi, ma i risultati premiano e ad oggi, la nostra è una delle migliori espressioni di calcio in Europa. Si poteva puntellare ancor di più il pacchetto arretrato, magari investendo meglio i soldi spesi per Vavro, magari badando di più alle peculiarità dei singoli. Ma il giudizio è del tutto positivo.
Strakosha, 6,5: portiere affidabile, poco propenso alle acrobazie e maggiormente concentrato sulla concretezza degli interventi. Non gli si chiede di trasformarsi in Zoff, ma il riflesso felino spesso tarda a farsi vedere. È in netta ripresa, i recenti successi sono anche merito suo. Per il resto, professionista esemplare e ragazzo serio.
Proto, SV.
Acerbi, Radu, Lulic, Leiva, Parolo, 8: non sono ragazzini, i trucchi del mestiere fanno parte già da un po’ del loro bagaglio tecnico e le motivazioni non sono quelle di un talentuoso ragazzino del vivaio madridista. Ma l’ambizione, la voglia di fare e combattere sul campo per una maglia da titolare, offrono speranza e insegnamento a tanti calciatori. Le sgroppate di Lulic, l’abilità di fare reparto di Parolo e Radu (per reinventarsi difensore centrale a trent’anni, c’è bisogno di tanta voglia di apprendere), la pesante eredità magistralmente gestita da Acerbi (dopo aver lottato contro una perfida malattia), la voglia di Leiva di rimettersi in gioco dopo 10 anni di Liverpool: è forse questo quello che di più laziale c’è stato in questo ciclo biancoceleste. Uomini, prima che professionisti.
Milinkovic & Luis Alberto, 7,5: talento da vendere, giocate magistrali, classe cristallina; su questi due gioielli c’è poco da discutere, se non fosse per la poca verve palesatasi in difficili momenti in cui la squadra ha boccheggiato. Nel caso di Milinkovic, perfino qualche partita di troppo. Ma sono giocatori che risolvono le partite da soli e rendono l’intera Serie A invidiosa della nostra mediana. Belli da vedere.
Correa, Caicedo, 8: latinoamericani, inevitabilmente pasionarios, forse troppo dinanzi alla porta. È stato il loro difetto atavico, quello che ci ha fatto imprecare a Crotone, a Bologna e a Milano contro l’Inter. Rei dei loro sbagli, da professionisti veri e puri hanno presto rimediato, in particolar modo Caicedo. Difficilissimo trovare un bomber di scorta silenzioso, sempre pronto e prolifico come lui. Se il panterone regala gioie e gol, Correa eccita soltanto a vederlo danzare. Chapeau a entrambi!
Ciro Immobile, 9: metà campionato così così, metà da incubo dei portieri. Fino a maggio ha anche sofferto la difficoltà della squadra a sviluppare gioco, si sa che gli attaccanti sono i primi a risentirne. Anch’egli, però, ha dimostrato grande attaccamento ai colori. Non è mancata qualche polemica col mister (ragion per cui dovremmo forse dare mezzo voto in meno per rispetto ai colleghi di reparto), risoltasi poi in un caloroso abbraccio a bordo campo. Fortunatamente, King Ciro è tornato ad essere l’incubo dei portieri. Solo applausi per lui.
Patric, Bastos, Jony, Lukaku, Marusic, 6: la società ha puntellato poco e male la panchina e questi cinque giocatori hanno dimostrato il motivo per cui sono stati pagati poco. L’impegno e la professionalità non mancano, ad abbondare sono però i limiti: nel caso di Bastos, Marusic e Patric c’è persino un buon numero di degne prestazioni offerte alla squadra, ma le distrazioni in campo (Patric, Bastos) i limiti fisici (Lukaku), la poca duttilità tattica (Jony) e il ristretto bagaglio tecnico (Marusic) rappresentano le principali difficoltà nel dare riposo ai titolari. Sufficienti.
Vavro, Berisha, 5: mancano la velocità e i fondamenti della difesa a tre nel primo, manca la voglia di fare e di adattarsi nel secondo. Anche qui, poca previdenza all’atto di acquisto, ma si può fare molto di più, per lo meno entrare in campo col piglio giusto. Da rivedere.
Cataldi, 10: chi ha vissuto in prima persona il travagliato mondo del calcio, anche soltanto avendo un amico, un cugino, un fratello o un figlio che frequenta gli allenamenti, sa che i sacrifici sono tanti e un gol ti toglie di dosso paure e pensieri, anche solo per un attimo. Anche se a farlo è un tuo compagno, in un momento di difficoltà. È quel che ha provato Danilo Cataldi a Genova, quando l’attaccante rossoblù Goran Pandev, ex laziale, ha segnato proprio contro la sua squadra del cuore. “Finalmente, c***o!”, avrà pensato, esultando vigorosamente. Poi se ne sarà pentito, ma i laziali non hanno per nulla gradito, accollandogli l’ormai decaduto marchio dell’infamia. Sarebbe ora di far cadere l’ipocrisia degli ex che vestono, per ragioni di lavoro, un’altra casacca. Danilo, romano e laziale, si è ripreso tutto in silenzio. Sotto la Nord dopo il sigillo nel derby sembrava un posseduto. La ninna nanna di suo figlio Tommaso è l’inno della squadra che ama, quella in cui a fatica sta portando a termine la maturazione. La palla sotto la traversa nell’avventura di Ryiad è la parafrasi del duro lavoro che si tramuta in gioia.
Tifoseria, 5: si stima, in maniera assolutamente approssimativa, che per ogni laziale, a Roma, vi siano 3 romanisti. La media spettatori, seppur non supportata da dati ufficiali, parla di un sorpasso sui cugini romanisti (https://www.stadiapostcards.com/A19-20.htm). Ottimo, e allora? E allora si può e si deve fare di più. Piagnucolare in radio e sui social non aiuta, riempire i botteghini più del dovuto sì. Contro la Juventus, circa 10mila posti sono stati letteralmente regalati ai supporters bianconeri. Per il bacino d’utenza della Lazio, è una situazione a dir poco imbarazzante. Laziali pigri, è ora di tornare allo stadio, senza scuse!
Nel chiudere l’analisi sul 2019, la Redazione di Since1900 coglie l’occasione per augurare a tutti i Lettori un 2020 ricco di gioie e prosperità. Forza Lazio sempre!
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