Ci sono uomini che fanno la storia anche restando per una vita dietro le quinte, alle spalle dei veri protagonisti, senza mai far sapere agli altri che cosa hanno fatto, quanto è stato importante se non fondamentale il loro lavoro occulto. Uno di questi uomini è senza dubbio Giovanni Gilardoni, che per tutti noi è stato solo e semplicemente Nanni. O il notaio. Un antipersonaggio per eccellenza, al punto che di lui non si riesce a trovare una solo foto scandagliando Google, anche se ha vissuto una vita al fianco della Lazio. Per questo per ricordarlo ho scelto una foto del cielo, un raggio di luce che fa capolino dietro le nuvole in un misto di bianco e di celeste. A lui che è stato tanto amico di Sandro Petrucci, l’uomo che ha inventato lo “stellone”, probabilmente sarebbe piaciuta questa immagine.
A Roma Nanni Gilardoni era il “notaio”, sia per noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo anche al di fuori del calcio per amicizia di famiglia, ma anche per le migliaia di laziali che pur senza conoscerlo lo consideravano uno di famiglia, perché dove c’era lui c’era la Lazio. E, soprattutto, dove giocava la Lazio c’era lui. Nanni se n’è andato in silenzio, come nel suo costume, dopo aver lottato come un leone contro un male infame che non lascia scampo e che ha colpito in modo diretto o indiretto ognuno di noi. Con lui se ne va un pezzo di storia, se ne va una parte importante di Lazio. Potrei scrivere a lungo, potrei raccontare mille aneddoti, ma preferisco ricordarlo con le parole che gli ho dedicato nel libro sui 100 personaggi che hanno fatto la storia della Lazio. Non prima di aver abbracciato i nipoti di Nanni e soprattutto Alessio, mio amico d’infanzia.
Nel 1962, nell’anno in cui nascevo, Giovanni Gilardoni, meglio conosciuto come Nanni, entrava a far parte per la prima volta dei quadri dirigenziali della Lazio. Da quel momento in poi, questa società è entrata a far parte della sua vita, anzi, è stata parte integrante della sua vita, al pari della sua famiglia, integralmente (o sarebbe meglio dire quasi “talebanamente”) laziale.
Non ricordo una sola trasferta ufficiale in cui non ho visto il “notaio” al seguito della Lazio. Al fianco del presidente di turno, oppure insieme ai nipoti Carlo, Guido, Dario e Alessio. In quell’elegante palazzetto di Via Giovanni Nicotera 4, nel quartiere Prati, a due passi dal Tevere, sono passati tutti i personaggi più importanti del mondo-Lazio degli ultimi cinquant’anni. Lui, Nanni, è entrato in società il 27 settembre del 1962, come membro del Consiglio dell’allora presidente Ernesto Brivio, politico dell’MSI e produttore cinematografico, soprannominato per la sua militanza politica “l’ultima raffica di Salò” e ne è uscito definitivamente nel 2008, alla scadenza del mandato del Consiglio di Sorveglianza. Senza ricevere neanche un grazie, ma con l’orgoglio di non aver percepito mai né una lira né un euro per quella sua ultraquarantennale attività da dirigente e da notaio al servizio della Lazio.
In tanti anni, non l’ho mai visto alterato, mai andare oltre le righe, quasi sempre sorridente, parzialmente nascosto dietro le lenti dei suoi immancabili occhiali e con la sigaretta in mano. Lo ricordo così al seguito della Lazio, ma anche le tante volte che mi sono recato a studio a Via Nicotera, sia per questioni notarili di famiglia sia quando passavo a trovare suo nipote Alessio, amico di vecchia data.
Come dicevo, in più di 40 anni non l’ho mai visto dare una sola volta in escandescenze, neanche nei momenti più tragici della storia della Lazio. E non sono stati pochi, purtroppo. Per questo fatico a immaginare la scena che mi fu raccontata una volta, di un Nanni Gilardoni infuriato e quasi violento. L’episodio risale al 10 giugno del 1964, teatro il campo di allenamento della Lazio a Tor di Quinto. Da due mesi, precisamente da fine marzo, all’indomani della storica vittoria per 3-0 della Lazio sul campo della Juventus, in città cominciano a circolare strane voci su un possibile trasferimento di Juan Carlos Lorenzo dalla panchina biancoceleste a quella della Roma. Dopo Bernardini e Selmosson, il passaggio del “mago” argentino sull’altra sponda del Tevere sarebbe un affronto intollerabile per i tifosi laziali, soprattutto dopo che il neo-presidente Miceli e lo stesso Lorenzo avevano varato un piano di rafforzamento della squadra che aveva chiuso il campionato all’ottavo posto in classifica. Quel piano, era la garanzia richiesta da Lorenzo per restare alla guida della Lazio. Per accontentare il mago argentino, Nanni Gilardoni si era attivato per trovare nuove risorse economiche e nuovi finanziatori. Dopo settimane di colloqui e di incontri, Nanni Gilardoni era riuscito a trovare i soldi necessari per far fronte all’imponente campagna acquisti pretesa dal tecnico argentino.
Forte delle garanzie economiche ottenute, il 10 giugno del 1964 Nanni Gilardoni si era recato a Tor di Quinto per avere il sì definitivo di Lorenzo. Illustrato il piano economico e le relative garanzie per finanziare la campagna acquisti programmata, però, Nanni Gilardoni si sentì rispondere da Juan Carlos Lorenzo, in quel suo italiano stentato e cantilenante: “Troppo tardi, mi dispiace, ho già firmato per la Roma”. Davanti a quelle parole, i testimoni narrano di un Nanni Gilardoni furibondo che a male parole e a spintoni caccia letteralmente Juan Carlos dal campo di allenamento, invitandolo a lasciare il centro sportivo per raggiungere immediatamente la Roma.
Come dirigente, Nanni Gilardoni ha un record che nessun altro dirigente laziale può vantare e che difficilmente potrà essere eguagliato, visto che ha collaborato con 10 diversi presidenti e, soprattutto, ha vinto entrambi gli scudetti e in totale ben 9 dei 13 trofei conquistati dalla Lazio in 113 anni di storia.
STEFANO GRECO
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