FRUSTALUPIL’antipersonaggio per eccellenza. Trovare materiale per raccontare Mario Frustalupi, lo confesso, è stato difficile. Non ha l’esuberanza di Giorgio Chinaglia, non ama la vita mondana come Garlaschelli e D’Amico, non fa sport estremi come Gigi Martini o Luciano Re Cecconi, non incantava le folle con tuffi spettacolari come Felice Pulici. Lui, dentro e fuori dal rettangolo di gioco, cerca di farsi notare il meno possibile.“Sono contento di non essere un campione, un bambino prodigio alla Rivera o alla Mazzola. Loro hanno dovuto difendere per anni una reputazione da fuoriclasse. E’ difficile e logorante. Io sono cresciuto piano, piano, e ho avuto meno stress. Durerò molto più a lungo.”
E guardando la sua carriera, ha avuto ragione lui. Gianni Brera, il re dei cronisti sportivi dell’epoca, quando “Frusta” gioca nell’Inter, lo chiama il “nano sapiente”, perché nonostante un fisico non proprio prestante, lui ha quel sesto senso che gli consente di stare sempre nel posto giusto al momento giusto: per intercettare un pallone o per spedire un compagno in splendida solitudine verso il portiere avversario con uno dei suoi lanci millimetrici.
Nato ad Orvieto il 12 settembre del 1942, dopo una carriera in blucerchiato (dieci anni con 202 partite di campionato e 22 gol segnati), per esigenze di bilancio nell’estate del 1970 viene ceduto all’Inter, dove è chiamato a sostituire una leggenda nerazzurra: Luisito Suarez. Ma il neo tecnico nerazzurro, Giovanni Invernizzi, non lo considera un punto fermo della squadra. In silenzio, Frustaluoi si ritaglia un suo spazio e diventa comunque protagonista, aiutando l’Inter a conquistare lo scudetto e la stagione successiva ad approdare alla finale di Coppa dei Campioni, persa a Rotterdam contro l’Ajax di Johan Cruijff. Nell’estate del 1972, però, a sorpresa l’Inter decide di cederlo alla Lazio insieme ad un bel gruzzolo di milioni per portare in nerazzurro Peppiniello Massa. Una mossa che, rivista oggi, ha molte analogie con l’arrivo alla Lazio di Diego Pablo Simeone come parziale contropartita per la cessione di Vieri all’Inter. Se a Roma l’arrivo di Frustalupi è accolto con indifferenza, a Milano un certo Mario Corso critica duramente la società per la cessione del “nano sapiente” e quando sotto la sua regia la Lazio sfiora lo scudetto, Mario Corso ricorda a tutti l’errore commesso dall’Inter nel liberarsi troppo in fretta di quel piccolo regista. “Quando Frustalupi venne ingaggiato dalla Lazio, io ho sostenuto che quello sarebbe stato, a lungo andare, il più importante colpo del mercato. Adesso credo che siano tutti a darmi ragione. Ma io non sono un indovino, sono uno che il calcio lo conosce abbastanza per poter definire Frustalupi un campione”.

Lui, Frustalupi, non si sente un campione. Socialista convinto, nella Lazio entra subito in conflitto con Giorgio Chinaglia, mal sopportando sia l’arroganza che i comportamenti da divo di “Long John”. Ma non lega neanche con gli altri, perché assiste con fastidio alle risse, agli scherzi esagerati e sopporta ancora meno l’uso sistematico in ritiro da parte di molti compagni delle pistole. Lui non fa parte di nessun clan, veste un modo anticonformista e descrive così in un’intervista a Franco Melli i suoi compagni di allora e quel mondo del calcio che mal sopporta. “I giocatori di calcio, i cosiddetti eroi della domenica, sono in realtà eterni bambini, bisognosi di sentirsi importanti, indispensabili, scrutati con attenzione e con affetto. Anch’io, a forza di stare nel giro, ho assorbito in parte i principali difetti della categoria. A Milano, in panchina, mi annoiavo. E’ brutto guardare giocare gli altri, i coetanei, i più giovani, i più anziani. E’ triste sentirsi esclusi: il mondo ti crolla addosso nell’istante in cui il tecnico comunica la formazione senza scandire il cognome che vorresti sentire. Non date retta a chi assicura d’aver sempre atteso con santa pazienza il proprio turno. le riserve, in qualsiasi organico, si sentono come i dannati all’inferno, reprobi prigionieri dell’iniquità. Semmai, dal lunedì fino al sabato, io riuscivo a non portare rancore ai miei giudici occasionali dell’Inter. Cercavo altri interessi, invitavo a casa gli amici, mi imponevo di dimenticare il responso della maledetta domenica”.

Dato per finito a Milano e bollato subito come giocatore troppo vecchio arrivato a Roma per svernare dai suoi nuovi tifosi, Frustalupi si prende la sua rivincita. Diventa il faro della Lazio, la mente in campo a cui Tommaso Maestrelli affida le chiavi di quella macchina quasi perfetta. E da bravo pilota, Frustalupi la guida sfruttando al massimo la potenza di Chinaglia in zona-gol, l’inventiva di D’Amico, la rapidità di Renzo Garlaschelli. Segna pochi gol (il primo il 5 novembre del 1972 alla Ternana, il secondo il 24 novembre del 1974 al Cagliari), ma sono tantissimi gli assist. Quello che mi è rimasto più impresso, lo ha confezionato il 30 dicembre del 1973. La Lazio affronta il Milan e al 90°, quando l’arbitro Ciacci di Firenze sta per fischiare la fine, le squadre sono ancora sullo 0-0: Frustalupi ha la palla tra i piedi, in un istante finta il cross alto per Chinaglia, invece lancia in un corridoio Luciano Re Cecconi che di prima intenzione batte a rete e beffa Vecchi sul palo di sinistra. Ricordo ancora il boato di quel gol, chiudendo gli occhi mi sembra ancora di sentire quell’urlo potente e prolungato che fa tremare lo stadio e se li riapro rivedo ancora Chinaglia prendere in braccio il compagno-rivale e portarlo in trionfo correndo verso il centro del campo mentre Ciacci fischia la fine della partita. Una delle più grandi emozioni provate in vita mia.

Una fitta al cuore, invece, me la provoca la notizia della morte di Mario Frustalupi: arriva come una sassata improvvisa allo stadio Flaminio il 14 aprile del 1990, in un sabato di Pasqua in cui la sua Lazio sta giocando e battendo per 3-0 l’Ascoli. Uscito di scena per la malattia Tommaso Maestrelli, Frustalupi è stato ceduto al Cesena, dato ancora una volta troppo frettolosamente per finito.

La Lazio affonda e finisce a lottare per non retrocedere. Insieme a Oddi, invece, il “nano sapiente” porta i romagnoli al sesto posto in campionato e ad una storica qualificazione in Coppa Uefa. Dopo Cesena, un altro “miracolo”. Va a Pistoia e con la sua sapiente regia porta gli arancioni toscani addirittura in serie A, poi nel 1981, a 39 anni, lascia il calcio giocato. Resta a Pistoia come direttore sportivo, ma rimane comunque in contatto con la Lazio a cui segnala nel 1988 un attaccante uruguagio, un certo Ruben Sosa Ardaiz, che la Lazio preleva dal Real Saragozza. E il 14 aprile del 1990, mentre Sosa apre le marcature contro l’Ascoli, arriva la notizia della morte di Mario Frastulupi, vittima di un terribile incidente nei pressi di Ovada mentre sta andando a raggiungere la famiglia in montagna a bordo della sua Lancia Thema. La “maledizione dello scudetto colpisce ancora, portando il “nano sapiente” a far compagnia al suo amico “Cecco”, al “maestro”, al dottor Ziaco, Padre Lisandrini e Gigi Bezzi.



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