PRIGIONESi chiama Andrea Ottavi, ha 21 anni, abita a Grottaferrata, è abbonato in Curva Nord. Ha passato la notte di giovedì in una cella di un commissariato di Varsavia. Non aveva fatto niente, se non correre per la paura e per le cariche della polizia polacca, riparandosi davanti alla vetrina di un negozio. Lo hanno fermato e ammanettato. E’ stato rilasciato venerdì. Ieri, con il volo Ryan Air, è atterrato all’aeroporto di Ciampino poco prima delle 15. E’ tornato a casa con i tre amici che erano rimasti a Varsavia per aspettarlo, un altro è atteso nelle prossime ore. Appena sbarcato a Roma, ci ha raccontato tutto. Domani sera tornerà allo stadio Olimpico per vedere la partita con il Napoli. «Ho ancora il biglietto di Legia-Lazio in tasca…» ha sospirato, prima di cominciare a ricordare la notte più brutta della sua vita.

Quando sei arrivato a Varsavia?  «Giovedì, il giorno della partita. all’ora di pranzo. Ero con altri quattro miei amici, abbiamo capito subito che non tirava una buona aria». 

Perché?  «Avevamo affittato un appartamento in centro. Costa meno. Appena entrati, ci siamo accorti che due tifosi del Legia erano davanti al portone. Guardavano e ci chiamavano. Si erano appostati sotto casa. Prima di uscire, abbiamo aspettato mezz’ora. Verso le 14,30 abbiamo deciso di raggiungere l’Hard Rock. Non volevamo restare soli neppure per mangiare un panino, non ci sentivamo al sicuro. E poi si sapeva che c’erano stati problemi con i 17 tifosi della Lazio arrivati mercoledì». 

Cosa è successo?  «Verso le 4 siamo partiti per andare verso lo stadio, eravamo circa in duecento. Tutti sapevano che ci saremmo ritrovati all’Hard Rock per andare a piedi verso lo stadio. Non sapevamo la strada, la polizia ci ha cominciato a seguire subito. Era un corteo pacifico». 

Come è scoppiato il caos?  «Abbiamo fatto cento metri a piedi, non di più. I poliziotti polacchi erano nervosi. Si sono attaccati con qualche tifoso. Ma all’inizio erano quattro poliziotti contati, gli altri erano tutti sulle camionette. Erano minacciosi. C’è stato uno scazzo. La gente ha cominciato a correre, qualcuno si è spaventato, c’erano anche famiglie, gente normale, bambini. Io ho cominciato a correre, come tanti altri. Per la paura. Ho girato a sinistra, non sapevo dove mi trovavo, mi volevo solo allontanare. Dalle camionette della polizia e dalle macchine facevano scendere gente in borghese. Credo fossero poliziotti in borghese. Polacchi. Hanno tirato fuori i manganelli spagnoli. Correndo più avanti, ci siamo avvicinati a un negozio, abbiamo alzato le mani, eravamo in cinquanta. Non ci hanno toccato. Siamo stati tutti messi per terra, in ginocchio e ammanettati. Nessuno aveva fatto niente. Hanno finito pure le manette. A me sono toccati dei lacci neri. Fastidiosissimi, perché neppure puoi allargare le braccia. Porto ancora i segni. Uno per uno ci facevano alzare e ci perquisivano. Ci hanno tolto tutto, anche il telefono cellulare. E ci hanno ripreso con le telecamere, hanno fatto un video a tutte le facce nostre. Senza saltare una persona. Anche a un signore di 40 anni con la moglie. Hanno arrestato tutti. Conosco dei ragazzi di Grottaferrata che venivano in trasferta per la prima volta. E un nostro amico di 18 anni, che deve ancora tornare, sta da solo. Ha perso il volo, è rimasto senza bagagli. E’ assurdo. Uno schifo è stato. Si può dire, si deve dire». 

Avevi i soldi per rientrare?  «Io sono stato fortunato, perché avevo già prenotato il volo per sabato e mi hanno fatto uscire venerdì». 

Cosa è successo dopo il fermo?  «Ci hanno portato in caserma. Eravamo in dodici, dentro una sala. Ci prendevano uno a uno ogni dieci minuti. Alcol test. Ci hanno fatto spogliare e ci hanno fotografato. E’ andata avanti così sino alle 3 di notte, scrivevano, scrivevano, scrivevano. Riempivano dei fogli, ognuno schedato in modo minuzioso. Ci hanno preso le impronte digitali, hanno scattato le foto con e senza cappello. Alle 3 di notte siamo stati portati in carcere» 

In Polonia parlano di commissariato.  «Sì, forse sarà stato un commissariato. Non lo so. Con una camionetta, sono stato portato all’interno di una caserma. Era grandissima. Non so da quale parte di Varsavia si trovasse. Sotto alla stanza dove siamo stati per diverse ore, c’erano le celle. Io sono finito in cella. Era una cella come si vede nei film. Sono capitato con un altro ragazzo della Lazio, più piccolo di me. Non esisteva neppure il materasso. Solo il legno, abbiamo dormito sul legno, esisteva appena un cuscino. Alle 6 ci hanno svegliato, ci hanno tolto il cuscino, due pezzi di pane per colazione. Con il ketchup e una fetta di lonza. Nessuno l’ha mangiato. Era carcere. Come nei film. Potevi suonare se volevi andare al bagno, mi sono venuti a prendere dopo un’ora. Non parlavano inglese. E urlavano se dicevi che non capivi cosa stavano dicendo. Un incubo». 

Neppure avete dormito.  «Alle 6 ci hanno svegliato. Il tempo non passava mai. Non ci hanno dato neppure l’acqua. Io ho bevuto al rubinetto del bagno, una sola volta, quando sono andato a fare pipì». 

Avevate notizie degli altri fermati?  «Poche. Ho saputo, solo quando mi hanno rilasciato, che altri ragazzi erano stati portati a 30 chilometri da Varsavia, altri non so dove. Eravamo divisi, sparpagliati. Ma ci tengo a dire una cosa». 

Prego.  «I poliziotti trovati in caserma non erano cattivi, hanno capito la situazione. Siamo stati trattati male per la procedura, perché dovevano farlo. Parlavano, ci hanno raccontato come è finita la partita tra Legia e Lazio. Una ci ha persino detto di sporgere una querela, di denunciare quello che era successo». 

Hai avuto paura?  «Io non ho fatto niente. Sono solo scappato. Dai video hanno visto questo». 

Dopo la sveglia in cella, cosa è successo?  «Ci hanno portato in tribunale, dove mi hanno restituito tutto. Una bustina con gli effetti personali, si erano presi tutto, i soldi, anche il codice del cellulare. Non ho potuto chiamare i genitori, quella è stata la mia principale preoccupazione. Ci hanno ammanettato in due e poi in tre per raggiungere il tribunale». 

Com’è stato il processo?  «Eravamo in tre. Io, una persona con un vestito nero (una toga, ndr) e l’interprete, una donna polacca che traduceva in italiano. Non erano cordiali neppure gli interpreti. Dovevo dire di essere colpevole di schiamazzi, questo è stato il significato del processo. Dicevano che non si può correre o urlare in giro per Varsavia. Sono stato accusato di schiamazzi. “Dici che sei colpevole e noi ti liberiamo” sono state le parole del giudice. Mi ha detto anche che dovevo pagare 400 zloty, l’equivalente di 100 euro con la moneta polacca. E poi ha aggiunto: “Siccome ti sei fatto due giorni in carcere, non li paghi”». 

E se non ti fossi dichiarato colpevole di schiamazzi cosa sarebbe successo?  «Mi hanno detto. Rito abbreviato. Se dichiari di essere innocente, ti rilasciamo lo stesso ma poi dovrai tornare in Polonia per un procedimento. Ho accettato di dire che ero colpevole di schiamazzi. E sono uscito. Neppure ho aspettato la sentenza». 

Avevi un avvocato, un difensore d’ufficio?  «No. Eravamo in tre. Io, il giudice, l’interprete. Sono stati rilasciato alle 17. Ho preso un taxi e sono tornato in appartamento. Ho trovato i miei tre amici. E abbiamo ospitato il ragazzo che era in cella con me. Un altro amico è stato rilasciato in queste ore, si è fatto tre giorni di carcere. E’ brutto. E’ una roba assurda. Gli altri non so. Forse sono dentro ancora una trentina di ragazzi. Per alcuni sarà un processo più grave». 

Dicono che in Polonia è reato mettere il passamontagna.  «Me l’hanno detto. Ma non ho visto tifosi con il passamontagna. Tutti avevano il cappello per ripararsi dal freddo». 

Cosa ti resta?  «La sensazione brutta del carcere. Non pensavo mai di doverla affrontare. Mi ha detto bene. Un signore di 40 anni è capitato in cella con un delinquente tedesco». 

Come è potuto succedere il caos?  «Non mi sono dato una spiegazione: 150 tifosi fermati non si era mai visto. Allo stadio è entrata poca gente. Alcol test prima di entrare. Mi sembra esagerato. Tutti per terra, con le ginocchia dei poliziotti sopra la schiena. E’ stata un’esperienza bruttissima». 

Tornerai in trasferta?  «In trasferta sì. In Polonia no, di sicuro. Neppure in vacanza». 

Aspettavate un aiuto maggiore?  «Sì, dall’Italia, dall’ambasciata. Ci siamo sentiti abbandonati. Nessuno di noi sapeva cosa stava succedendo. Eravamo soli. Sono stati due giorni infernali. Per alcuni non è ancora finita. E’ stato uno schifo, ci hanno trattato come criminali». 

Quando hai sentito i genitori?  «Venerdì alle 5 del pomeriggio, appena sono uscito, ho parlato con papà. Aveva sentito i miei amici, sono stati molto bravi, devo ringraziarli. Un mio amico li aveva avvertiti. I miei genitori erano preoccupato, ma sapevano che non avevo fatto niente». 

Cosa ti viene da aggiungere?  «In Polonia non ci torno più. Una cosa del genere non mi era mai capitata. Qui a Roma i polacchi hanno fatto come gli pareva. Venerdì sera abbiamo visto al Casinò alcuni tifosi del Legia, per fortuna non è successo niente. Ci stavano cercando, all’interno del Marriott. Gente non bella da incontrare. Mi sono messo a giocare a black jack, avevo qualche soldo in tasca perché a Varsavia ci sono stato due ore… Appena arrivato, mi hanno messo dentro senza aver fatto niente». 

Domani sarai all’Olimpico?  «Sì, certo. Ora è importante aiutare tutti gli altri ragazzi. Quelli che sono ancora in Polonia dovranno pagare molti soldi per rientrare a casa. E’ importante che si dia una mano a chi sta uscendo in queste ore. Un giorno è stato bruttissimo. Immagino cosa possa significare passarne lì dentro tre o quattro».

(CdS)



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