KEITA“Io ero al Barcellona, che mi aveva mandato in prestito ad una squadra catalana, il Cornellà. Alla fine della stagione avrei dovuto fare ritorno al Barcellona. È arrivata la proposta della Lazio, mi sono seduto intorno al tavolo con la mia famiglia, con i miei genitori, con i miei amici. Ho deciso di provare questa nuova avventura, di venire alla Lazio”Sfoglia l’album dei ricordi Keita Baldè Diao. Anche ieri titolare nella partita di Europa League disputata tra le mura amiche dai biancocelesti, l’ex canterano blaugrana in meno di 4 mesi ha scalato a suon di prestazioni le gerarchie nella testa di Vladimir Petkovic. Intervistato dalla redazione di LazioStyle Channel, il baby fenomeno di Arbucias si è raccontato a cuore aperto. Le memorie la fanno da padrone: “C’è un momento che non dimenticherò mai. Ancora non ero al Barcellona. Ero in un’altra squadraSiamo andati a giocare fuori casa, a fine partita si avvicina un signore grande, anziano. Io avevo 8 anni. Non lo conoscevo, si è avvicinato a mio padre. Gli ha chiesto: ‘Lui, è tuo figlio?’. Mio padre gli ha risposto: ‘Si’. E quel signore gli ha detto: ‘Compragli molte scarpe, perché questo ragazzo grazie al calcio viaggerà molto’. Mio padre è rimasto sorpreso, quasi sotto shock. Non dimenticherò mai quel momento, quelle parole. Mai. Mi ha fatto capire che potevo arrivare lontano, fare tanto con il calcio. L’anno dopo sono andato al Barcellona. Con la maglia blaugrana addosso ho viaggiato molto, ho disputato tanti tornei internazionali, ho incontrato tante squadre. Ho viaggiato, ho viaggiato molto. Per questo non dimenticherò mai quel momento, quelle parole. Mi sono rimaste dentro”.

 

Il percorso lungo ma allo stesso tempo fulmineo. La strada che da Barcellona porta a Roma, solo andata. Lontano da casa, lontano dai campi all’inizio. Diciotto mesi in freezer, a guardare ed incitare i propri compagni. La sofferenza di chi non può esprimersi, di chi non può dire la sua. La rapida ascesa, poi. Gli sfracelli in Primavera, lo scudetto alzato al cielo nella magica notte egubina, infine un posto di rilievo nella Lazio dei grandi. Il ricordo del primo gol in Serie A è ancora vivo nelle mente di Baldè: L’azione è partita da dietro, dalla nostra area, Candreva ha preso palla, ha dribblato un giocatore, se l’è allungata, è arrivato fino all’area avversaria, ha provato un altro dribbling. Il difensore l’ha toccata, e la palla mi è capitata a me. Ho pensato di fare un tocco, per saltare il difensore. Con quel tocco, se il difensore (Cassani ndr) mi avesse toccato, sarebbe stato rigore netto. Ho toccato quel pallone, un tocco leggero per buttarla avanti. Il difensore si è fermato, si è stoppato, con un po’ di paura, non mi ha toccato. In quel momento mi sono trovato a tu per tu con Mirante, ero troppo vicino per tirare, ho pensato di saltarlo con un colpo secco, ho superato il portiere. Ho visto che un difensore andava in scivolata, mi sono detto. ‘Ora tiro forte, ed il pallone entra’. Una sensazione unica. Vedo la palla che entra, mi giro. Vado verso la panchina, saltano dentro il campo Konko e Cavanda, ricordo solo quell’attimo. Ho visto tutto muoversi lentamente, poi ricordo l’emozione, l’urlo della gente. Ricordo solo questo”.

Dopo la prima realizzazione, la seconda non si lascia desiderare a lungo. Subentrato nella ripresa, nel corso del match che vedeva opposte le Aquile ai partenopei di Rafa Benitez, Keita culla il sogno della rimonta, griffando il momentaneo 2-3 con un siluro sotto la traversa al termine di una esaltante percussione tra le maglie della retroguardia napoletana: “Brayan (Perea ndr) mi da il pallone battendo la rimessa laterale, io ho Albiol, credo, dietro di me. Lo proteggo con il corpo, mi inizio a girare verso la porta. Salto Albiol, faccio una finta al tiro su Behrami, poi arriva Armero. Il tocco che ho fatto vicino ad Armero è stato la chiave che mi ha portato al gol. Ho cambiato passo, arrivava velocemente Insigne, ho visto la porta. Mi sono detto: ‘Ora devo tirare forte, deve entrare’. Ho tirato, e grazie a Dio il pallone è entrato”.

Il momento grigio della squadra non ne sta offuscando la stella. Periodo esaltante, dal punto di vista personale, Keita mantiene i piedi ben piantati sulla terraferma. Il ricordo di quando le cose non andavano per il verso giusto è ancora vivido nella mente dell’ex blaugrana: La cosa più difficile della mia vita calcistica, per il momento. Sono stato un anno, un anno e mezzo fermo, facevo solo amichevoli, tornei. Mi allenavo solamente, la famiglia mi ha aiutato moltissimo, è sempre al mio fianco. Soprattutto mio fratello maggiore, mio padre, mi hanno sempre incoraggiato, mi hanno incitato a stare tranquillo, a non innervosirmi, ad avere tantissimo. Anche il direttore sportivo Igli Tare mi ha aiutato tantissimo, mi ha dato tantissimi consigli buono, è un esempio. Anche la gente mi ha sempre trattato benissimo, anche prima di giocare. La mia testa era tranquillissima, sapevo che sarebbero arrivate subito cose buone non appena avessi iniziato a giocare”.

Tempi andati, la realtà attuale è ben altra cosa. Ma Keita non dimentica il prologo della sua avventura capitolina. Quella che oltre ad essere palestra di campo lo è anche di vita, la Primavera, lo ha segnato, lo ha irrobustito. È bello andare indietro nel tempo con la mente, ora, seduto nello spogliatoio che è stato la sua casa per anni: Da quanto tempo non venivo in questo spogliatoio… Io mi sedevo là, vicino a Milos (Antic ndr), a Tira. Dove ora siede Tounkara, io mi sedevo là. Mamadou ha un gran cuore. Va gestito, è giovane, l’anno scorso facevamo tutto insieme, mangiavamo insieme, stavamo insieme nello spogliatoio. Giocava con me a Barcellona, io sono venuto un anno prima di lui qui alla Lazio, l’ho fatto conoscere alla Lazio, l’ho descritto come un grande giocatore, che potevano prendere. Sta facendo bene in Primavera, deve lavorare sempre di più per migliorare, mai rimanere allo stesso livello, deve sempre migliorare. È un grande giocatore, lo vedrete tutti. Lo Scudetto con la Primavera è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Sono molto contento di averlo vinto con la Lazio, perché non succedeva da anni. Era un grande gruppo, molto unito. Magari due anni fa avevamo una squadra più forte, ma non cosi compatta. L’anno scorso avevamo meno qualità, ma avevamo il coltello tra i denti, lottavamo l’uno per l’altro. Il mio compagno non ce la faceva? Allora c’era chi lottava al suo posto, con lui, lo aiutava. Cosi abbiamo vinto lo Scudetto. Abbiamo dimostrato a tutti quel che sapevamo fare. I tifosi sono venuti fino a laggiù a Gubbio, ci hanno dato un aiuto incredibile, ci siamo detti. ‘Dobbiamo dargli una gioia, farli felici, ed essere felici noi stessi’. Ce l’abbiamo fatta”.

Dopo lo Scudetto, l’ebbrezza dell’approdo in ritiro con la prima squadra: “Incredibile: ho vinto lo Scudetto, sono andato in vacanza e poi sono stato in ritiro con la prima squadra. Ambiente diverso, con persone grandi, mature, che hanno figli, famiglia, sono da una vita in Serie A, facendo questo mestiere, il calciatore. Io sono arrivato in ritiro tranquillo, positivo, volevo stare bene con gli altri, imparare da tutti. I compagni mi hanno reso tutto facile, mi hanno fatto abituare subito, mi hanno dato fiducia. Cavanda, Ciani, Ederson, Klose, Lucas Biglia sono grandissime persone, che mi aiutano, ci posso scherzare, posso parlarci dei miei problemi e di quello che faccio bene, mi capiscono”.

Il Barça come trampolino di lancio, non un ponto di approdo: “Barcellona è la scuola migliore al mondo in ambito calcistico, e non solo. Ti fanno crescere come persona, a livello di mentalità, di educazione, di rispetto. Ho passato 8 anni bellissimi al Barcellona, mi hanno preso quando avevo 9 anni, ho imparato tutto là dentro. Il Barcellona è un club storico, grandioso, con giocatori di altissimo livello. È impossibile che tutti i giocatori che sono nel settore giovanile blaugrana arrivino in prima squadra. Arriveranno Iniesta, Xavi, Puyol, ci sono giocatori che sono andati via come Piquè Fabregas, a 16 anni, dopo sono tornati in prima squadra. La gente mi chiede: ‘Come mai sei andato via dal Barcellona?’ Io rispondo cosi. Che è impossibile che tutta la mia squadra, i classe ’95, arrivi in prima squadra del Barcellona. Qualcuno dei miei amici sta andando in prima squadra, in allenamento, in partita, io ne sono felicissimo. Loro ora sono nel Barcellona B, stanno facendo un percorso grandioso, ma ci sono altri che sono andati via, sono andati alla Juventus,all’Arsenal, o in altre squadre. Se vuoi provare qualcosa di nuovo, una nuova avventura, se sei convinto di te, se hai fiducia, vuoi arrivare da un’altra parte, vuoi farcela altrove, allora fai la scelta”.

Il processo di maturazione all’ombra della Colosseo prosegue e vele spiegate. Quali i ricordi del Keita bambino? “Avresti dovuto portare una corda per legarmi, ero sempre in movimento, poverina mia madre! Ero sempre con gli amici a giocare a calcio, nel mio quartiere. Giocavo a pallone sempre, sempre, sempre. Sempre calcio. Giocavamo con tanta gente, imparavamo, ho imparato tantissimo da mio fratello grande. Da piccolo avevo sempre il sorriso in faccia”.

L’ambientamento nel Belpaese di Baldè è stato positivo. La cucina ha di certo semplificato la vita al classe ’95: “In Italia che grande cucina! Si mangia molto bene, mi piace la pasta, la pizza, io mangio di tutto non ho piatti preferiti. Film? Fammi pensare, ne ho visti tanti… Goal! Film di calcio, mi piace moltissimo!”.

Natale è dietro l’angolo, Keita di doni ai supporters biancocelesti, a suo modo, ne sta regalando più di quanto sarebbe lecito aspettarsi da un ragazzo di 18 anni: “Io vorrei fare molti regali ai Laziali, fare tanti gol, vincere per loro. Per loro, i tifosi che ci vengono a tifare allo stadio, che sono sempre con noi, sempre, con il freddo, con il caldo, con il vento sono sempre con noi, a sostenerci, ad aiutarci. Per me? Che voglio per me? Voglio tanta salute, stare bene, con la mia famiglia, che in campo mi riesca tutto bene. Tanti auguri alla gente laziale, sempre Forza Lazio”.

In chiusura, una curiosità. L’urlo di pancia, di rabbia, in occasione del gol contro il Napoli. Vano, alla fine dei conti, ma quanta cattiveria agonistica e voglia di arrivare alla meta: “Ho urlato Vamos! Per gridare grinta, la rabbia, sfogo. In quel momento ho gridato in spagnolo, ho detto Vamos”.

Esclamazione in lingua spagnola. Non l’unica, come quando in Primavera gridava “Que Buena!”.

E lo grida ancora: “Lo dico sempre, ancora. quando Biglia o Ledesma mi lanciano la palla come sanno fare soltanto loro, mi fanno uno dei loro assist perfetti in allenamento, prima che di controllarlo grido: ‘Que buena’. Tu come lo sai? Lo dicevo anche in Primavera, si, gridavo, Que buena!. Buona fortuna KBD14.

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