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La goliardia, la boria, l’infamità…

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INSULTI MORTIAlberto Sordi è stato per decenni l’emblema della romanità e con i suoi personaggi ha raccontato pregi e difetti dei romani e di questa città. Romano e romanista, non ha mai nascosto la sua passione per il calcio e nei suoi film ha ironizzato spesso sulla figura del tifoso. Sono partito da Alberto Sordi, perché pur essendo io laziale da una vita e in modo viscerale, ho sempre amato questo personaggio e ho scelto una sua frase per aprire questo articolo: “Il romano ama la goliardia e lo sfottò, ma se accantona la battuta e inizia a dì cattiverie, significa che sta a rosicà”. Ecco, questo è proprio quello che sta succedendo in questo momento a Roma. Qualcuno ha perso il senso della misura, qualcuno dopo quel 26 maggio ha accumulato talmente tanto odio e rancore da aver perso il senso della misura, da aver smarrito il gusto della battuta e dello sfottò, da aver abbandonato la strada della goliardia che da sempre si percorre in occasione delle sfide sportive tra Lazio e Roma per imboccare quella della boria e dell’infamità. Sì, proprio dell’infamità.

A Roma la parola “infame” è un termine forte, forse per chi è romano veramente è l’insulto peggiore che si può rivolgere a qualcuno. Ma come si fa a definire in altro modo chi con mano anonima in questi giorni ha imbrattato i muri della città insultando i morti, come unica risposta alla goliardia post derby? A volte, quando non si hanno argomenti per replicare si fa più bella figura a restare in silenzio. Si accetta di essere incudine e si subisce, in attesa di poter diventare un giorno martello e restituire pan per focaccia, ma con lo spirito che contraddistingue da sempre noi romani: l’ironia e la goliardia. Cosa c’è di goliardico e di ironico in una scritta come quella che campeggia nella foto di questo articolo? “Coppa in faccia? NO! Razzo in faccia”. L’ennesimo schiaffo alla famiglia Paparelli, l’ennesimo coltello infilato in una ferita che dopo quasi 35 anni non si è ancora rimarginata e probabilmente vista la piega che sta prendendo un certo tipo di tifo in questa città non si rimarginerà mai. Ieri il povero Gabriele Paparelli si è visto rovinare le vacanze da qualche mano infame e vigliacca che ha deciso di rispondere così agli sfottò di questi ultimi due mesi, alle scritte sulla coppa in faccia e a quel nome di Lulic unito ad una data e a un minuto che per molti romanisti più che un incubo è diventato quasi un’onta da cancellare così, insultando un morto. Per fortuna i romanisti non sono tutti così, quindi generalizzare significherebbe aggiungere errore ad errore, Ma quel piccolo manipolo che ha messo a ferro e fuoco Testaccio, nascosto dietro un borioso striscione “Roma è nostra”, che pensando di riappropriarsi così a livello mediatico della città ha invece dato un brutto colpo all’immagine di una società e di una tifoseria che fatica a eliminare le scorie di quel derby, a cancellare dalla mente quel 26 maggio. Forse perché è impossibile dimenticare, probabilmente perché quella data e quel derby sono veramente una macchia indelebile.

Ma quello che da romano mi ha indignato di più, non è il gesto di qualche mente disturbata, di qualcuno che pensa di cancellare la storia con una scritta. Quello che mi indigna e che mi conferma qualora ce ne fosse ancora bisogno che in questa città si usano due pesi e due misure, è la non reazione della comunicazione. Provate ad immaginare se a parti invertite per rispondere agli sfottò dei romanisti qualcuno si fosse permesso di insultare la memoria di De Falchi o di Agostino Di Bartolomei. Avremmo assistito a proteste vibrate in aula in Campidoglio o forse addirittura ad interrogazioni parlamentari. Perché è già successo per molto meno, basta tornare indietro a quel Lazio-Inter del 2010, alla reazione scatenata da quello striscione “OH, NOOO…” e dall’esultanza dei tifosi della Lazio ai gol dell’Inter che scucivano di fatto uno scudetto che la Roma si sentiva già cucito sul petto. Avremmo visto titoli cubitali di condanna sui giornali, sarebbero scesi in campo difensori della romanità per censurare il gesto. Pensate che reazione avrebbero scatenato poi a parti invertite, in aggiunta, le  scritte antisemitiche confezionate dalle stesse mani nei confronti dei tifosi della Lazio. La comunità ebraica sarebbe insorta trovando ampio spazi sui mass media. Invece, silenzio o quasi, assoluto e quasi imbarazzante. Anche da parte del Comune di Roma, di quello stesso comune che ha negato alla Lazio piazza del Popolo per i festeggiamenti del successo in Coppa Italia adducendo motivi di ordine pubblico e di tutela dei monumenti, mentre negli stessi giorni affittava la piazza per 4 serate evento organizzate da Canale 5 e sponsorizzate da Tezenis. Silenzio o quasi su quanto è successo la notte tra il 22 e il 23 a Testaccio, come se le mura di quel quartiere non facessero parte del patrimonio di questa città. Tutto già visto, tutto ridicolo come la festa per il compleanno di una squadra che non ha una data certa di nascita, visto che qualcuno ha festeggiato il compleanno della Roma il 22 luglio, mentre la società gestita dagli americani confezionò un Twitter di auguri a tutti i romanisti del mondo il 7 giugno. Insomma, neanche in questo società e tifosi sono d’accordo, se festeggiare il giorno della fusione o quello della fondazione. Triste immagine di un ambiente allo sbando.

Sì, perché noi laziali che in questo momento a livello ambientale non siamo certo un blocco monolitico come anni fa, non avremmo reagito in questo modo ad un’eventuale sconfitta nel derby. Così come non abbiamo reagito in modo scomposto ai festeggiamenti durati mesi e mesi per la conquista dello scudetto del 2001 da parte della Roma. Se la Lazio avesse perso il derby del 26 maggio, noi ci saremmo incazzati con la squadra e avremmo odiato ancor di più di quanto non odiamo da nove anni a questa parte Lotito. Probabilmente avremmo messo a ferro e fuoco Formello e l’aria ad Auronzo di Cadore sarebbe stata non salubre ma irrespirabile, ma avremmo incassato le prese in giro dei romanisti: come è successo in passato e come è normale che sia perché fa parte delle regole del gioco. Sperando magari in una rivincita, in una vendetta sportiva. Non siamo stinchi di santo, abbiamo commesso errori in passato come tifosi e siamo scivolati a volte sulla buccia di banana dell’estremismo politico e dell’antisemitismo. Ma abbiamo pagato e a caro prezzo, anche nella stagione passata. E a livello di comunicazione, nessuno ci ha perdonato nulla e tantomeno ci ha fatto sconti, anzi. Al contrario di quello che è avvenuto in questi giorni. E allora, dopo questo silenzio imbarazzato e imbarazzante, d’ora in poi che nessuno si azzardi più però a puntare l’indice. Perché così come non merita rispetto chi insulta i morti, non si può permettere di dire nulla chi copre quelli che come reazione agli sfottò hanno insultato ancora una volta Paparelli e la sua famiglia o hanno dato degli ebrei ai tifosi della Lazio per sfogare la frustrazione accumulata in questi 60 giorni. Perché rosicare è giusto e legittimo, ma voi a ‘sto giro state esagerando…

STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO



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