L’Italia e il suo calcio si fermano, l’Europa no e costringe una parte del pallone tricolore ad andare avanti. Champions League ed Europa League proseguono, in barba all’emergenza coronavirus che dilaga nella penisola e che si sta diffondendo con rapidità anche in Francia, Germania e Spagna dove, però, si sta perdendo tempo prezioso per prendere le contromisure adeguate a un nemico che si propaga a velocità incredibile. Il controsenso è servito: l’Italia si ferma. Ma non tutta. Una sua legione va avanti, deve andare in Europa e onorare gli impegni organizzati dall’UEFA. Una sciocchezza, come se il virus riconoscesse le patch di Champions ed Europa League e girasse a largo rispettando le volontà di Ceferin. Un contorsionismo a cui anche il Governo s’adegua, inserendo del dpcm una proroga e consentendo le partite internazionali sul suolo nazionale. Ma che roba è? Se la salute di giocatori, staff tecnico e medico, magazzinieri, uffici stampa non conta, se viene dopo altre prerogative, lo dicano e riprendano anche il campionato. Magari trasmettendolo in chiaro, così da incentivare le persone a restare a casa. Ci si può davvero inchinare agli umori di Ceferin? Il diktat del presidente dell’Uefa, del resto, è chiaro: “Si va avanti, finché la situazione lo permetterà”.
LA CECITÀ DELL’UEFA – In realtà, però, medici ed esperti fanno capire che i buoi sono già usciti dalla stalla, che il contagio è ormai galoppante e che come l’Italia, anche gli altri paesi, saranno investiti dall’onda di un virus assai aggressivo. Le coppe europee vanno avanti perché l’Uefa per ora non vuole far slittare l’Europeo, non ha alcuna intenzione – almeno per adesso – di mandare all’aria gli incassi milionari derivanti dai biglietti venduti (praticamente sold out tutte le partite) e i contratti di sponsorizzazione. Il denaro, quindi, prima della salute. Poco importa che la Spagna abbia deciso di chiudere i collegamenti aerei con l’Italia: per Roma (impegnata a Siviglia) e Getafe (deve giocare a Milano) pronti permessi speciali per recarsi nelle rispettive sedi di gioco. Gioco, appunto, che dovrebbe essere messo da parte di fronte all’emergenza sanitaria più grave degli ultimi anni. L’Uefa invece dice che si deve proseguire e il calcio italiano s’inchina, prono, alle direttive di Ceferin e pazienza se fino a ieri ci raccontavano che partite e allenamenti dovevano interrompersi.
IPOCRISIA – Badate bene, questa sarebbe la linea più giusta in un momento del genere. Ma Tommasi che ruggiva, domenica, paventando lo sciopero, dov’è oggi? (e dov’era quando la B giocava a porte aperte?) Non gli interessa tutelare la salute di Napoli, Juventus, Inter, Roma e Atalanta? Il ministro Spadafora perché non contesta la proroga al dpcm per le coppe? Lui, in trincea per sospendere il campionato, è cosciente della contraddizione? E Malagò che invoca una linea unica per tutte le federazioni, cosa pensa del comportamento dell’UEFA? Perché non batte i pugni sul tavolo? Perché non interviene in televisione per denunciare l’ipocrisia e la cecità del massimo organismo del calcio europeo? Domande a cui nessuno risponderà. Anche perché i club sopracitati non hanno alcuna intenzione di autoeliminarsi dalle coppe europee e perdere gli introiti che da esse derivano. Il controsenso allora è sul tavolo, per ora nessuno si sta attivando per risolvere la questione e dare una linea di condotta uniforme al calcio italiano. La Serie A si ferma, le coppe no, come se il coronavirus fosse appassionato solo di campionati nazionali. Una sciocchezza senza precedenti.
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