Serie A
L’aquila perde le piume ma non il vizio.
Poteva essere la serata perfetta, soprattutto per come era iniziata. Pronti e via, al terzo minuto Felipe Anderson raccoglie l’invito di Radu, stop a seguire e sinistro a beffare Handanovic. 1 a 0 Lazio. Ancora Anderson al 37′: contropiede, serpentina in aria, questa volta è il piede destro ad insaccare, 2 a 0. Eccolo Felipe, “Mister 8 milioni” s’è svegliato. E’ la sua serata, è la serata della Lazio, con la vittoria si rosicchiano punti importanti e si mangia il panettone con più gusto, si espugna San Siro e si ritorna a Roma con una consapevolezza diversa.
Prima parte di match dal grande carattere degno di una grande squadra, con un Felipe Anderson sugli scudi che finalmente rivela alla Serie A il suo talento cristallino; tutto procede secondo i piani di Pioli. Questo il canovaccio tattico che aveva imposta ai suoi ragazzi: difendere ordinati per pungere in contropiede. Tutto perfetto, tutto molto bello, peccato però che nel calcio le partite durino 90 minuti.
Al rientro dalla pausa tra le due frazioni la Lazio concede troppo campo alle scorribande (molte delle quali sterili ad onor del vero) degli interisti che riaprono la partita con Kovacic che rianima un San Siro mugugnante e per nulla soddisfatto e da lì in poi le sorti del match si ribaltano. I capitolini non rinculano più come nel primo tempo, troppa libertà per gli esterni di Mancini, alcuni giocatori (Mauri ad esempio) corricchiano e sbagliano molto.
Poi ci si mette anche il mister, con delle scelte tattiche molto discutibili. Se da una parte l’entrata di Onazi per Lulic serviva a dare maggior forza d’interdizione (la Lazio conduceva ancora per 0 a 2), quella di buttare nella mischia il Tata Gonzalez è alquanto discutibile. Il centrocampo infatti – privo anche del dinamismo del bosniaco – non è più riuscito a togliere palla ai giocatori interisti e ripartire per cercare di riacciuffare una partita che sembrava vinta, o quantomeno per uscire dalla propria metà campo costantemente invasa da maglie nero azzurre. Forse l’ingresso di Keita poteva giovare in questo senso, magari si potevano ribaltare di nuovo e questa volta a favore, le sorti di una partita che ha dimostrato ancora una volta, purtroppo, che il salto di qualità ancora non si è compiuto.
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