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Lotito al CdS: ” La Lazio non vende sogni ma solide realtà!”
Lotito al CdS: l’intervista del presidente della Lazio
Claudio Lotito è stato intervistato dal CdS. Una lunga intervista che tocca punti fondamentali di ciò che potrebbe essere fatto in casa Lazio.
Qual è il suo primo ricordo tornando al 19 luglio 2004?
“Erano giornate frenetiche, avevo preso l’impegno morale di salvare la società, a parte l’interesse di diventare il presidente della squadra del cuore. Sentivo la responsabilità di dover salvaguardare il patrimonio di un club con oltre cento anni di storia, il primo nato a Roma. Ricordo le tensioni per l’acquisizione, non era semplice. Tutti lo ricordano. La Lazio era in una situazione prevista dall’articolo 2247 del codice civile, si rischiava di portare i libri contabili in tribunale: 84 milioni di ricavi, 86 di perdite, 550 milioni di debiti. Da tutti era ritenuta una sfida scriteriata, impossibile da portare a termine. Questo è un pazzo, mi dicevano, ma vedevo l’entusiasmo della gente”.
Si tuffò giorno e notte nel calcio.
“Non avevo altra scelta. Arrivai a lavorare 23 ore al giorno, uscivo alle 6 di mattina dall’ufficio, davo appuntamenti alle 2 di notte. Ricordate il mercato? Presi 9 giocatori l’ultimo giorno. Non avendo grandi risorse, non capivo perché i giocatori non dovessero essere testati. Prendemmo quasi tutti in prestito con diritto di riscatto, fui attaccato ma quel giorno comprai Siviglia e Rocchi, che ha fatto la storia della Lazio con i suoi gol. Pensavo che il club dovesse diventare una grande famiglia in cui ognuno ha il proprio ruolo. Oggi Rocchi allena nel settore giovanile e ha fatto un altro salto in avanti, come è accaduto per Inzaghi. Tommaso è un riferimento per i giovani, ha fatto la storia, ci sono dei valori da cui non prescindere”.
Impatto durissimo.
“Dissi che dopo aver trovato la Lazio al funerale, l’avevo portata in coma irreversibile e avrei dovuto renderlo reversibile. Un suo collega del Corriere dello Sport-Stadio, Pietro Cabras, mi chiese quanto tempo avrei impiegato. Risposi tre anni e così è stato. Pagavo due squadre. Quella allestita da me e costava un terzo rispetto a quella del piano Baraldi a cui non erano stati pagati gli stipendi. Con le norme attuali la Lazio non si sarebbe iscritta al campionato. La salvezza vera si realizzò attraverso l’accordo con l’Agenzia delle Entrate, avevamo 140 milioni di debiti con il Fisco. Fui il primo a ottenere la transazione. Ci tengo a dirlo: non era una legge fatta ad hoc per Lotito, ma esisteva dal 2002. Restavano altri 450 milioni di debiti, avevo la fila dei creditori nel mio ufficio a chiedere il conto”.
Lo rifarebbe?
“Sono un conservativo, nel momento in cui mi attivo vado avanti. Da quando avevo cinque anni, contrariamente alle mitologie ed alle false credenze, sono tifoso della Lazio. Volevo diventarne presidente e trasmetterle i miei indirizzi. Il sistema dualistico ci ha consentito di poter promuovere azioni più efficaci. Ricordo la prima assemblea in un albergo con il microfono dove ognuno esprimeva un giudizio. Con troppe persone non riesci a prendere una posizione. Decidemmo per la rivalutazione del marchio, primi in Italia, in tanti ci hanno seguito. Oggi la società produce 10-15 milioni di utile l’anno. Dico grazie ai miei collaboratori: hanno permesso alla Lazio di andare avanti quando eravamo in difficoltà e attaccati da tutti. Entravo in uno stadio e dicevano Lotito “caccia li sordi e paga le tasse”. Nessuno ci credeva, pensavano fossi una meteora. Quanto dura Lotito? Un mese? Due? Sono entrato nelle istituzioni sportive dalla porta di servizio e mi è stata riconosciuta capacità di intervento e di cambiamento. Il calcio italiano aveva 1,2 miliardi di debiti. Dettai la linea del risanamento abbattendo i costi. Per primo ho parlato di stadi polifunzionali. Le nostre idee hanno sempre camminato in anticipo”.
Non ha risposto. Lo rifarebbe?
“Sono un combattente, mai un reduce. Intraprendo un percorso se penso di potercela fare. Come si dice a Roma, credevo piovesse, invece diluviava. Le criticità erano forti e si aggravarono nel corso del cammino, come lo spalmadebiti ricalcolato. Si aggiunsero 155 milioni da ripianare. Lo rifarei? Era un percorso al limite, da sport estremi, diventò accidentale per fattori non prevedibili. Per me rappresenta un motivo d’orgoglio aver raggiunto dei risultati. Oggi siamo una società sana, dopo la Juve abbiamo vinto più di tutti in Italia, è un dato incontrovertibile. Siamo dentro un percorso sano, giusto, di meriti. La Lazio è un punto di riferimento anche per i giovani e nel sociale, ci tengo. Il club manda un messaggio quando i suoi giocatori vanno negli ospedali a trovare i bambini malati, il calcio possiede un grande potere mediatico, contribuisce a formare i futuri cittadini. Quelli laziali devono essere rispettosi delle regole, con principi sani”.
Il percorso futuro della Lazio cosa prevede?
“Una crescita, spero esponenziale. Sinora è stata aritmetica in base alle risorse. Vado avanti secondo un metodo che non metta a rischio la stabilità economica. La società ha 200 milioni di patrimonio immobiliare e circa 600 di giocatori. Stiamo investendo nelle strutture, puntiamo sull’orgoglio dell’appartenenza, sull’essere laziali. Stiamo acquisendo altre strutture sportive per radicarci nel territorio. Tutte le azioni promosse hanno come obiettivo l’orgoglio del marchio Lazio. L’aquila, il nostro simbolo, esprime fierezza, senso di libertà. La mia Lazio non è condizionabile sotto alcun aspetto. Ci vuole tempo. Siamo passati dalla fase in cui nessuno credeva a quella degli obiettivi, oggi la squadra è stabilmente presente nelle competizioni europee. I miei giocatori, lo sapete, devono riassumere tre parametri: la potenzialità tecnica, la moralità, la compatibilità economico-finanziaria”.
Milinkovic oggi è il più quotato e tutti si chiedono se resterà alla Lazio. Ci può rispondere?
“Noi abbiamo creato una casa di vetro e capito che non si possono obbligare le persone a svolgere il proprio ruolo in un ambiente in cui si sentono strette. Non è il caso di Sergej. Ha dimostrato grande affetto, responsabilità, serietà. Dipenderà dagli eventi, non dalla società. Milinkovic si trova bene alla Lazio e noi siamo ben contenti di averlo. È un periodo strano. L’anno scorso sono riuscito a respingere tutti gli assalti, quest’anno si potrebbe proporre un problema di rispetto se il giocatore dovesse prospettare una soluzione diversa. Diciamo così: potrei avere meno armi per respingere gli attacchi, alcune le ho spese l’anno scorso. Allo stato è una situazione stabile, in evoluzione. Non c’è nessuna spinta della società, bisogna contemplare le esigenze, valuteremo con la massima comprensione la volontà del giocatore per un fatto obiettivo di correttezza di rapporti. Noi ci troviamo in una fascia medio-alta del sistema sportivo europeo. Poi esiste una fascia molto alta con 6-7 top club. La Lazio ha avuto la capacità di portare tanti giocatori importanti come Klose. Abbiamo un valore aggiuntivo in termini organizzativi e di clima familiare. Formello è uno dei centri sportivi migliori in Europa. L’asticella, se competi per la finale di Champions, si alza. Noi speriamo di arrivare nell’olimpo del calcio europeo, ma bisogna adeguarsi al livello strutturale ed individuare quei giocatori che, a prescindere dal nome, possano tradurre le speranze in risultati”.
Obiettivo Champions?
“La Lazio non deve vendere sogni, ma solide realtà. Lavoriamo per far sì che approdi nell’olimpo del calcio internazionale. Potevamo raggiungere la Champions l’anno scorso e due anni fa, ma abbiamo vinto dei trofei, la strada è giusta. Non ci dobbiamo porre limiti e neppure aspettative. Lavoriamo per migliorarci e per crescere, poi nel calcio esistono fattori imponderabili. Vedremo”.
Alla fine del mercato, con o senza Milinkovic, presenterete una squadra più forte?
“La Lazio non sarà mai indebolita, ma sempre rafforzata, su questo non ci sono dubbi, possiamo dirlo con certezza: è il nostro intendimento. Nella vita tutti sono utili e nessuno indispensabile, ma non legate questa risposta a Sergej. Sapete il mio pensiero. Giocatori e allenatori passano, conta il presidente. È il presidente a dare stabilità a un club. Preserva, conserva e tramanda il futuro. Porto avanti una programmazione da padre di una grande famiglia, serve per raggiungere il massimo senza creare le condizioni della cicala, altrimenti all’ultimo canto si sparisce. Ho dato alla Lazio stabilità e certezza del futuro, in passato non c’è mai stata. Dobbiamo lavorare, con l’aiuto dei tifosi, per raggiungere un obiettivo. Si vince tutti insieme”.
Giocatori e allenatori passano, ha detto, ma Inzaghi, Tare, Peruzzi sono creature “definitive” di Lotito.
“L’ho detto prima. C’è un presidente a dare stabilità e programmazione. Ora sto crescendo Rocchi. L’importante è la visione di un presidente stabile nell’imporre le proprie idee e capire le persone. Posso dire di contornarmi di collaboratori di qualità, ma sono collaboratori. Molto dipende da chi sceglie. E la Lazio esisterà sempre, al di là del presidente”.
La sorpresa è stata scoprire un premio scudetto nel rinnovo di Inzaghi.
“Sinora c’è stata una crescita aritmetica. Sono state conseguite posizioni in Europa League, abbiamo vinto dei trofei con l’orgoglio di superare in Supercoppa l’Inter del triplete di Mourinho e la Juve di Allegri. Avrà pure un significato nonostante la sperequazione dei fatturati, 130 milioni contro i 460 dei bianconeri. Il divario sportivo non è così marcato come dicono i conti. Quello che è successo in Inghilterra con il Leicester può accadere in Italia. Servono lavoro, organizzazione, idee, spirito di sacrificio e certi risultati si possono raggiungere, magari con molta più fatica ed un sapore diverso”.
Radu ha ringraziato per essere rientrato in famiglia.
“Sono un cattolico praticante e c’è la famosa parabola del figliol prodigo. Esistono l’interesse della società e del gruppo. Se si perde di vista questa visione, prevale l’egoismo. Si può raggiungere il massimo solo sommando le potenzialità”.
Quando costruirà lo stadio della Lazio?
“Il tema verrà affrontato presto. Non l’ho affrontato volutamente alla premiazione in Campidoglio. Dobbiamo fare una proposta, confrontarci con l’amministrazione con la giusta sensibilità e compatibilmente con le norme. Uso il verbo confrontare, non scontrare. Non abbiamo promosso in passato situazioni non compatibili e non giustificabili. Esiste un interesse collettivo rispetto alla rigidità di certi schemi mentali. Non mi riferisco a questa Giunta. Si era creata l’impossibilità di costruire in un momento favorevole e avremmo avuto uno degli stadi più belli del mondo, raggiungibile su rotaia, su gomma e attraverso trasporto fluviale. All’epoca fummo ostacolati con una miopia ammantata da argomenti non attinenti. Oggi lo sdoganamento politico del calcio è acclarato. La Lazio rappresenta se stessa e i suoi tifosi. Deve premere a tutti avere una propria casa e dare alla società la possibilità di accrescere i ricavi. Lo stadio può fare la differenza”.
Riproporrà il progetto originario sui terreni della Tiberina?
“Non conta dove. Chiederò all’amministrazione di interloquire ed insieme valuteremo. Un percorso a breve, non tempi biblici. Non voglio interferire, ma è impensabile pensare che si impieghino vent’anni a Roma ed in altri comuni ne bastano tre per costruirlo”.
Quindici anni compiuti, quanti altri da presidente?
“L’ho detto. Spero di lasciare la società a mio figlio, penso di essere coerente. Enrico è un tifoso particolare, altamente attaccato a questi colori, vive quotidianamente la passione della Lazio, sa tutto, anche più di me, segue minuto per minuto l’attività. Vorrei dare continuità ad un progetto. Perché interrompere la stabilità di un percorso? Non sto coltivando interessi personali, ci sono proprietari che hanno mollato. Parlo di Milan, Inter, Fiorentina. Mi sento un artigiano, il proprietario della bottega che con il suo scalpellino ha dato stabilità di risultati e proiezione futura, assicurando una crescita continua, anno dopo anno. Ci sono due cose importanti. La Lazio ha realizzato un processo di risanamento mai riuscito e dopo la Juve abbiamo vinto più di tutti in Italia. I grandi industriali non esistono più nel calcio. Sono un artigiano e come tale sto ancora qui. Ho parlato di percorso. Mollare significherebbe privare il popolo laziale di una possibilità che esiste ed è dimostrata concretamente, ovvero di poter essere un riferimento nel calcio nazionale e spero internazionale. Non vedo perché bisognerebbe ricominciare da capo. L’interesse personale ed economico non ce l’ho. Preferirei mio figlio come prosecutore del percorso e che rimanderebbe nella storia la presidenza più longeva attraverso la famiglia”.
Qual è il sogno del presidente Lotito?
“Conseguire il massimo dei risultati, accrescere il palmares della Lazio, la credibilità, l’orgoglio di essere laziali. Di scudetti di carattere gestionale e valoriale ne abbiamo raggiunti tanti. Diciamo la nostra. Non siamo meteore. Siamo stabili, non solo nella storia del club, ma nelle istituzioni”.
Uno scudetto come Lenzini si può dire?
“Se abbiamo messo un premio… Ma i traguardi si raggiungono, non si evocano. Dire che vogliamo vincerlo sarebbe improprio, legato a false aspettative, ma lavoriamo per crescere e raggiungere il massimo. La Champions e poi lo scudetto, il dato vero, ci mancano. Speriamo di riuscirci in futuro attraverso il lavoro di tutti e l’aiuto dei tifosi, che hanno avuto un cambiamento radicale e sostanziale. Stanno migliorando le condizioni economiche e ambientali. Un’opera congiunta, grazie al merito di tutte le componenti, ci potrebbe portare verso i traguardi più alti”.
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