‘’La batosta senza scusanti e attenuanti presa dalla Juve ieri sera nella Supercoppa italiana (che pure era un derby tra due delle tre figure più antipatiche del calcio italiano, Andrea Agnelli e Claudio Lotito; il terzo è masaniello De Laurentis che forse è il peggio di tutti), almeno un merito ce l’ha. Ha fatto capire a tutta Italia che “sola” è la Lazio di Lotito anche quest’anno.
Una squadra senza un attacco dove nonno Klose è disperatamente solo, con un centrocampo di tocchettatori inutili e mosci, con due centrali difensivi che ormai possono giocare (e nemmeno tanto) solo nei circoli tra scapoli e ammogliati. Di buono restano Candreva e Marchetti. E’ una Lazio destinata anche quest’anno a stare tra chi “vuole ma non può”, fuori dall’Europa e dal calcio che conta in una noiosa mediocrità dove ci sta benissimo il grigio allenatore venuto dalla rutilante serie A svizzera. E alla fine, se questo è il prezzo, chi se ne frega se ogni tanto battiamo la Roma di Celtic Pallotta e di Unicredito che stanno peggio di noi. Ma c’è tuttavia una strana correlazione che rende questa mediocrità ancora più indigesta ai tifosi laziali curvaroli e VIP (o presunti tali) è quella per cui tanto più la Lazio galleggia nell’anonimato tanto più rifulge nei media e nel business la stella di Claudio Lotito. In molti a Roma se lo ricordano tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 (lasciando da parte le vicende buie di Tangentopoli), alla ricerca disperata di appalti nei palazzi della Regione Lazio per le sue imprese di pulizia e di piccola sorveglianza. All’epoca era un signor nessuno e come tale veniva trattato anche se aveva sposato una Mezzaroma.
Poi nel 2004 ha preso la Lazio e, dice lui, l’ha salvata dopo la gestione folle (e questo purtroppo è vero) di Cragnotti. In realtà, l’unica cosa che ha fatto è stata di ottenere una interpretazione estensiva della normativa fiscale allora vigente (e subito dopo abrogata) che ha permesso all’Agenzia delle Entrate da spalmare il grande debito della società addirittura in 23 anni.
Comunque, chi si è sicuramente salvato è lui, Lotito. Oggi oltre che proprietario della Lazio lo è della Salernitana; alle imprese di pulizia e manutenzione ne aggiunge due immobiliari (proprietarie, tra l’altro, di 500 ettari sulla Tiberina dove vorrebbe costruire lo stadio, o meglio, la Cittadella dello Sport) e un’impresa di termogestione.
Vive in un grande comprensorio di valore storico adiacente alle mura di San Sebastiano e possiede la casa più bella di Cortina d’Ampezzo, un villone di oltre 1600 metri quadrati. Ed è soprattutto uno degli uomini più noti d’Italia e più la Lazio è mediocre (come dicono a Roma “nun cresce e nun crepa”) e più lui è famoso, e più acquisisce poteri in Lega e più dice patetiche frasi in latinorum ad Ilariona D’Amico.
Comprando giocatori a parametro zero evidentemente non si va nell’Europa vera e la Juve ci fa la pipì in testa, ma Lotito cresce e l’azienda fiorisce. Bravo lui, ma la nostra Lazio. . .”.
Ci sono tante verità in questo articolo comparso ieri su “Dagosoia”, ma proprio perché ci sono tante verità mi chiedo: perché non mettere una firma in calce a questo articolo, perchè non dare un nome e un volto a questo importante tifoso laziale a cui Dagospia ha concesso una vetrina per attaccare Lotito? Io nella vita ci ho sempre messo la faccia, ho sempre fatto battaglie a volto scoperto, ho sempre rischiato di persona per dire e scrivere quello che penso, per difendere le mie idee fregandomene di essere maggioranza o minoranza: sparuta o no, faceva poca differenza. Perché ho sempre pensato che le idee hanno forza se dietro ci sono nomi e volti, e poco importa se sono famosi o no. Ma se dietro ci sono mani o vici anonime, anche le verità più reali (mi scuso con gli amici romanisti per il gioco di parole che ricorda lo striscione trainato dall’ennesimo aereo-sfottò che ha sorvolato ieri l’Olimpico in occasione del “Roma Day”…) perdono forza, diventano fastidiose e portano quasi istintivamente a schierarsi dalla parte di chi è oggetto dell’attacco.
Siamo in tanti, siamo in tantissimi a pensare queste cose, ma perché siamo così pochi a metterci la faccia? A volte mi verrebbe voglia di registrare certi discorsi privati fatti con colleghi, tifosi importanti e noti e Vip o presunti tali che lontano da microfoni e taccuini dicono peste e corna di Lotito, ma poi quando si accende il microfono per la messa in onda in radio, la lucina rossa di una telecamera o compare un registratore fanno i vaghi o addirittura partono con leccate che al confronto fanno apparire il vecchio Emilio Fede o l’ex giovane Capezzone come dei fustigatori implacabili di Berlusconi. L’ultimo esempio è stato Pino Insegno nel pre-partita di domenica scorsa, quando dai teleschermi della Rai dopo una serie di frasi al miele ha chiuso ringraziando Lotito per gli investimenti fatti per creare la “cantera”. Mi è venuta la tentazione di spegnere il televisore, perché Pino lo conosco da una vita, perché Pino Insegno è quello che il 12 dicembre del 2009 salì sul palco allestito davanti alla Curva Nord per arringare la folla, parlando di “laziali cacciati dalla Lazio”, di “amore tradito”, paragonando la Lazio ad una donna rubata da Lotito ai laziali, giurando alla platea di che non avrebbe mai cambiato idea perché la sua contestazione verso chi guidava la Lazio non era legata ai risultati (allora stavamo rischiando di scivolare in Serie B…) ma al modo in cui veniva gestita la Lazio, all’assenza all’interno della società di personaggi che hanno fatto la storia di questo club. Eccolo il discorso…
http://www.youtube.com/watch?v=psUFU3leIy8&list=PLE83C4E3346B0A753&index=4
Fa quasi tenerezza riascoltare quelle parole e pensare al presente, a come dopo il 26 maggio sia sparita qualsiasi voce contraria, a come in questo ambiente tanta gente sia abituata a cavalcare l’onda emotiva, oppure a come si cambia facilmente idea o fronte nella vita, magari se tuo figlio passa all’improvviso dall’indossare una maglia da calcio qualsiasi a vestire quella della Lazio… Ma sono sicuramente coincidenze.
E’ proprio questa assenza di coraggio o questa volubilità che ha consentito a Lotito di spadroneggiare in questi nove anni, di resistere a qualsiasi tempesta, giudiziaria o sportiva, a piegare anche chi aveva giurato che mai si sarebbe piegato. Siamo sotto dittatura e il dittatore non si abbatte con scritti anonimi, ma con il coraggio di mettere nome, cognome e faccia quando si dice o si scrive la verità. Altrimenti, questi 9 anni non saranno altro che un antipasto di quello che ci aspetta in futuro: “sine die”, oppure fino a quando Lotito non deciderà di abdicare in favore del figlio come ha ripetuto più volte. Di padre in figlio… E in questo caso, c’è poco di veramente laziale e di cui andare orgogliosi…
STEFANO GRECO
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