Ancora venti giorni, al massimo, poi Mauro Zarate non sarà più un giocatore della Lazio. Entro il 10 luglio, infatti, il giudice Zaccheo, presidente del Collegio Arbitrale, emetterà il verdetto sulla causa di “rescissione del contratto per violazione dell’art.7 del nuovo contratto collettivo”, ironia della sorte lo stesso accordo voluto e quasi imposto al tavolo delle trattative da Lotito (come rappresentante della Lega di Serie A) all’Associazione Calciatori per evitare cause per mobbing e il ripetersi di un altro caso-Pandev.
Entro il 10 luglio, Zarate si libererà e la Lazio oltre a portare a bilancio una minus-valenza di 4 milioni di euro, perderà anche l’ultima possibilità di rientrare di qualcosa dei circa 45 milioni di euro investiti (tra prestito, acquisto, ingaggio e commissioni varie versate a botte di 3 milioni di euro all’anno sul conto londinese della Pluriel Limited) in questi 5 anni per assicurarsi le prestazioni del giocatore più costoso della storia della Lazio dopo Mendieta. Ma con lo spagnolo alla fine qualcosa abbiamo rimediato, mentre con Zarate la Lazio è destinata a restare con un pugno di mosche in mano, proprio come nel caso-Pandev.
Non sto qui a giudicare chi ha torto o chi ha ragione in questa vicenda, perché per quel che mi riguarda non c’è una sola vittima e un solo colpevole, perché chi più e chi meno tutti hanno sbagliato, da una parte e dall’altra. Il problema che mi pongo è di ordine economico innanzitutto, ma anche legale. Il punto, infatti, è che mentre a casa sua e con i sui soldi Lotito può fare quello vuole e dettare le sue regole, alla guida di una società di calcio che deve rispettare i regolamenti imposti dalla federazione (e sottoscritti dalle leghe) e di Spa quotata in Borsa, Lotito non può fare quello che gli pare. E sarebbe ora che qualcuno questo glielo ricordasse, soprattutto quando l’azionista di maggioranza della Lazio parla di rispetto delle regole e dei regolamenti.
Lotito è alla guida di una società di cui un terzo del capitale sociale non appartiene all’azionista di maggioranza e che viene gestita con l’esclusivo impiego delle risorse economiche generate dalla Società stessa. A una società come la Lazio, che fattura 84 milioni di euro, non si possono arrecare danni di 14 milioni di euro come in occasione del caso-Pandev e di altri 12-13 milioni di euro con la partenza a parametro zero sia di Zarate che di Diakité, solo per appagare le ragioni di principio di chi gestisce la Lazio come una cooperativa che si occupa di vigilanza o di pulizie. Quelle in cui il “padrone” fa quello che vuole, licenziando chi gli pare, ritardando il pagamento degli stipendi, oppure come è emerso nell’inchiesta di Report di un mese fa non accantonando il TFR o trattenendo il “quinto dello stipendio” in busta paga senza versare poi i soldi alle finanziarie con cui è indebitato il dipendente.
La legge dice che li amministratori di società sono tenuti all’osservanza degli obblighi di legge e statutari; e tra questi obblighi in testa c’è il dovere di diligenza, ovvero di corretta gestione da parte dall’amministratore. Evitando, quindi, qualsiasi comportamento che può provocare danni di natura patrimoniale alla società E di questo, Lotito ha dato dimostrazione di fregarsene altamente, da sempre. Non a caso la Lazio è la società che ha subito più cause di mobbing nella storia del calcio italiano e le ha perse tutte, con milioni di euro di patrimonio-calciatori polverizzati. Come nel caso-Zarate…
Lotito si vanta di essere quello che ha riscritto l’art.7, quello che regola i rapporti tra società è calciatori e che regola le sanzioni ai danni dei tesserati che non rispettano le regole. Bene, Lotito dovrebbe quindi sapere che ai sensi di quell’accordo, eventuali addebiti ai calciatori debbono essere contestati per iscritto al tesserato, che nei 5 giorni successivi, deve essere sentito a sua difesa. Solo esaurita questa fase, può scattare la sanzione disciplinare dell’ammonizione scritta e della multa, purché d’importo non superiore al 5% di un dodicesimo della retribuzione fissa annuale lorda. Questa è la cifra che può essere comminata direttamente dalla società, fatta salva la facoltà del giocatore di impugnare la sanzione dinanzi al Collegio Arbitrale. La sanzione della esclusione, anche solo temporanea, dagli allenamenti con la prima squadra non può essere comminata direttamente dalla società, ma solo dal Collegio Arbitrale. Lotito, di tutto questo se n’è altamente fregato. Ha comminato una multa di 200.000 euro a Zarate (contro i 15.000 previsti dal regolamento) e lo ha escluso dalla prima squadra senza passare per il Collegio Arbitrale. Insomma, Lotito si è fatto giustizia da solo, senza rispettare le regole che lui stesso aveva scritto. Poteva anche avere ragione, ma con questo comportamento ha messo la Lazio nelle condizioni di passare dalla parte del torto, violando il regolamento ma anche la legge, perché l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è considerato nel nostro ordinamento un reato regolato dagli articoli 392 e 393 del Codice Penale.
Per giustificare l’esclusione di Zarate, la rottura con Diakité e anche l’emarginazione di Cavanda, Lotito ha parlato spesso di mancanza di “gratitudine e di riconoscenza” da parte dei calciatori. In linea di principio può anche avere ragione, ma in un mondo regolato da regole e regolamenti (che lui stesso ha scritto), la gratitudine e la riconoscenza non appartengono alla sfera dei doveri e degli obblighi contrattuali. E vale sia per i calciatori verso le società che per le società verso i calciatori.
Non si può punire un calciatore perché (come suo diritto) rifiuta di rinnovare un contratto. Così come non si può punire una società che rifiuta di allungare un contratto in scadenza ad un giocatore. Non si può punire un giocatore perché cambia procuratore e quel procuratore non piace alla società, come ha fatto la Lazio con Cavanda che mollato Zavaglia si è legato a Savini, lo stesso agente di Diakité. Che Savini non sia un esempio di professionalità è un altro paio di maniche, ma non può essere la Lazio a scegliere gli agenti che devono avere i calciatori. E per fare una guerra a un procuratore e a dei giocatori, Lotito non può far perdere soldi alla Lazio, quindi anche a quel 33% di azionisti che loro malgrado sono rappresentati da lui. Se Lotito fosse Moratti o Berlusconi (non dal punto di vista economico, ma di proprietà esclusiva del club) potrebbe anche farlo, visto che alla fine toccherebbe a lui riparare ai danni delle sue azioni. Ma nel caso della Lazio, è la società a pagare il conto delle decisioni prese da Lotito e il prezzo non è quello di dover ricapitalizzare a fine anno, ma di avere sempre meno risorse a disposizione, visto che Lotito di soldi nella Lazio non ne mette, semmai ne prende! Come dimostrano i bilanci e i milioni di euro che ogni anno finiscono dalle casse della Lazio in quelle di società di cui Lotito è proprietario o azionista. Salernitana in testa.
Il problema, è che Lotito si è anche “blindato”, perché imponendo il sistema dualistico e svuotando quindi l’assemblea degli azionisti di ogni potere, lui può fare il bello e il cattivo tempo, senza nessun potere di opposizione da parte degli azionisti di minoranza (visto che non esiste un Consiglio di Amministrazione a cui rendere conto…) e rendendo praticamente impossibile un’azione di responsabilità per i danni economici causati da questo tipo di gestione “padronale”di una Spa quotata in Borsa. Per questi siamo ostaggio delle sue decisioni, per questo siamo ostaggio delle sue scelte anche nel caso in cui si palesa all’orizzonte un eventuale compratore. Mentre Moratti, interista da sempre, mette l’Inter al primo posto nelle priorità e a fronte di garanzie di investimenti pluriennali e che lui non potrebbe garantire è disposto a farsi da parte, Lotito NO. Perché per Lotito conta solo il bene e l’interesse di Lotito, mentre la Lazio è solo uno strumento, un mezzo per esercitare potere, per ottenere vetrina e per riempire la tasche in un periodo in cui tutte le altre sue aziende raccolgono sempre meno, al punto che alcune senza attingere alla mammella della Lazio forse avrebbero addirittura già chiuso i battenti. Questa è la realtà…
STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO
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