La giocata del singolo. Dal nulla. Il momento che cambia il corso della storia. Mario Gotze è l’uomo nuovo della Germania, da oggi quattro volte campione del Mondo. Un momento di distrazione, uno solo, da parte della retroguardia albicelestecondanna un Paese intero, che fino all’ultimo aveva cavalcato il grande sogno che si stava materializzando nel vicino quanto ‘odiato’ Brasile. Vince la Germania – 1-0 –, al ritmo di samba alza la Coppa il capitano Lahm, al cielo di Rio de Janeiro nel giorno in cui probabilmente avrebbe meno meritato. Gli errori di chi, di consuetudine, perdona di rado gli estremi difensori avversari pesano quanto un macigno, se non di più. Higuain, Messi e Palacio per ultimo. La Storia la scrive il giovane e minuto Gotze, provvidenziale sostituto dell’eterno Klose, re dei gol. Primo tempo vivace, non scontato. Da ambo le parti è tangibile la voglia di vincere, di mettersi in mostra dall’alto della vetrina più luminosa che c’è. La Germania cerca la via della rete tramite una fitta rete di passaggi nella trequarti avversaria. L’Albiceleste, sorniona, cerca di approfittare delle ripartenze: 7 giocatori fissi al di sotto delle linea della palla, le sgroppate sono affidate alla corsa dei vari Lavezzi ed Enzo Perez. Gli errori in fase di impostazione e di uscita dalla difesa sono tutt’altro che rari, l’errore sotto porta di Higuain al 21’ ne è testimonianza solare. L’attaccante del Napoli, ‘liberato’ da uno sciagurato retropassaggio di testa di Kroos, sente la pressione addosso e a tu per tu con Neuer ciabatta la conclusione ampiamente a lato. Dalla parte opposta, lo squillo maggiormente degno di nota arriva nei minuti di recupero: è Howedes a svettare da calcio d’angolo, ma la sua capocciata indirizza la sfera dritta contro il palo alla sinistra di Romero. Il secondo tempo comincia con la sostituzione di Lavezzi per Aguero – che pareggia quella effettuata al 32’ da Jogi Loew, che lancia Schurrle al posto del claudicante Kramer – e con l’occasione capitata ma non capitalizzata da Leo Messi, che infila un disattento Boateng alle spalle ma incrocia troppo il tiro, che termina di una metrata al lato. Il cambio di modulo dell’undici teutonico lascia maggiori spazi di ripartenza alla formazione di Sabella, ma il mese di fatiche alle spalle si fa sentire, giunti nell’ultima mezz’ora dell’ultimo atto. Il palleggio tedesco cala alla distanza, Messi si accende a sprazzi. Due minuti di genio quasi gli bastano pergriffare il match, ma le sue giocate s’infrangono contro la linea difensiva egregiamente legata da Hummels. Il secondo tempo è godibile, ma meno ricco di contenuti rispetto alla prima frazione. Ritorna nell’anonimato la Pulce, il cittì Sabella sgancia Palacio e Gago per Higuain e Perez. Dalla parte opposta della barricata è Klose a far spazio a Gotze. L’ex secondo di Klinsmann nel 2006 si affida al dinamismo del suo fronte offensivo. La paura di prendere gol agli sgoccioli invita le due compagini alla prudenza. È 0-0 al 90’. La ripresa delle ostilità è fiammeggiante: sfiora il gol la Nationalmannschaft con una violenta sassata di Schurrle, Romero si oppone come può. La Germania ha più verve, si erge a padrona del gioco. L’undici in casacca blu serrano le fila ed anche le ripartenze sono prive di costrutto. Poi un lampo; Rojo fa partire un traversone dalla sinistra, Palacio si libera dal vincolo di Hummels ma è poco preciso nell’aggancio ed il pallonetto tentato ai danni di Neuer è strozzato, timido, poco convinto. Poteva essere l’uomo del Mondiale, il nerazzurro con la treccina, che decide di lasciare l’incombenza e l’onore a Gotze. Minuto 113, Schurrle ancora ne ha ed invade l’out sinistro del fronte offensivo tedesco, l’invito al centro cade sui piedi del biondino del Bayern che addomestica il pallone senza fargli toccare terra. La conclusione è decisa, affilata, per Romero e per la coppia Demichelis-Garay non c’è scampo. Sembrava Messi, era SuperMario Gotze.
E ora guarda Miro, non sei a Yokohama. Sei su un palcoscenico chiamato Rio de Janeiro. Non ti trovi al Nissan Stadium, questo è il carnevale del Maracana. Quattromilatrecentonovantasei giorni. Nella vita di un calciatore, possono passare 4396 giorni tra la prima occasione, mancata, di vincere un Mondiale e l’apoteosi, la seconda chance che stavolta non scappa. Era il 30 giugno 2002, Ronaldo il Fenomeno segna due gol alla Germania, la coppa è del Brasile. Kahn; Limke, Ramelow, Metzelder; Frings, Hamann, Jeremies, Schneider, Bode; Neuville. Allenatore: Rudi Völler. Questa la formazione tedesca vicecampione, completata da Miroslav Klose. Ancora lui, l’unico, dodici anni dopo. Stavolta ha qualche ruga in più, ma una medaglia d’oro al collo. Còccolati quella coppa, Miro. Dodici anni per farla tua, novello Ulisse alla ricerca di quella Penelope dorata che sorregge il globo. Guardatelo, quanto è bello un laziale sul tetto del mondo. Neuer, Lahm, Khedira, Schweinsteiger: tra tutti quei volti festanti, c’è quello familiare di Klose. Tante volte, laziali, l’avete visto esultare con il biancoceleste addosso, fare il segno dell’ok mentre ha appena marchiato a fuoco un altro portiere. Stavolta non ha segnato, nessuna esultanza o capriola. E’ bastato dare il cinque a Mario Götze, al momento del cambio. Per Miro l’ovazione del Maracana, per il talento del Bayern una sorta di benedizione: è entrato nella ripresa, ha pazientato fino al secondo tempo supplementare, quindi ha deciso il match con un gol fantastico. Al fischio finale, Klose è andato a cercarlo, l’ha abbracciato, gli ha ripetuto che era tutto merito suo. Poi via alla festa. “Sono pronto a far uscire fuori l’animale che è in me!”, aveva avvisato alla vigilia della finalissima con l’Argentina. Eccola, la bestia che vive dentro di lui, un rapace che si avventa sulle prede più ambite. Facciamo che sia un’aquila? Sì, vogliamo che sia quello l’animale che alberga in Miro. Coppa del Mondo e record di gol nei Mondiali, “veni, vidi, vici” in terra brasiliana: Kaiser deriva da Cesare, non è un caso. Sedici reti e 24
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