Ripercorrendo la sua storia ti chiedi cosa poteva essere e invece non è stato. Un genio? Forse si. O forse uno di quegli amori impossibili che si consumano in fretta, che non ti danno mai certezze, che finiscono col mancarti sul più bello. Eppure, quando ci ripensi, non fai che struggerti al ricordo.

La stella di Paul Gascoigne esplode nei Mondiali di Italia ’90, in cui quel ragazzino con la maglia numero 19 trascina l’Inghilterra fino alla semifinale con giocate e numeri d’alta scuola. Insieme a Roberto Baggio è sicuramente il giovane prospetto più interessante della competizione, ma se del Divin Codino ci si ricorda del meraviglioso gol contro la Cecoslovacchia, di Gascoigne ci si ricorda altro. Perchè lui non è come gli altri, no, lui è diverso.

L’immagine che Gazza lascerà nelle sue notti magiche sarà un pianto, dopo aver subito l’ammonizione contro la Germania che gli avrebbe fatto saltare l’eventuale finale (poi non disputata) Paul scoppia a piangere e in quelle lacrime c’è tutta la frustrazione, la debolezza, di un uomo fragile. Molto fragile. Molto più fragile degli altri.

Gioca nel Tottenham, squadra londinese che trascina quasi da solo alla finale della FA Cup 1991. La notte prima del grande appuntamento devono somministrargli dei sedativi per metterlo a letto ed il giorno dopo è già in campo elettrizzato, a scherzare con Lady Diana chiedendole un bacio.  Si dovette accontentare di poggiarle le labbra sul dorso della mano e anni dopo dirà che “è stata la prima volta che ho giocato una partita con un’erezione”.

Durante quella partita è protagonista di un tackle con Gary Charles, ruvido difensore inglese di quegli anni. Ad avere la peggio è proprio il nostro Gascoigne che rompe il crociato. Un anno fuori dai campi. Così quando i suoi compagni  sollevavano il trofeo, lui, che nel massimo periodo di forma della sua carriera li aveva portati fino a Wembley, si preparava a trascorrere più di un anno lontano dal pallone, ritardando di 12 mesi il suo arrivo alla Lazio.

Già, la Lazio. I biancocelesti venivano da un decennio travagliato, era appena tornata in Serie A e l’acquisto di Gascoigne fu il segnale. Il segnale che Cragnotti faceva sul serio, e aveva appena preso dall’Inghilterra il primo tassello di una squadra che si preparava a sognare. A diventar vincente. Però lo sappiamo: Gazza non è come gli altri, no, lui è diverso. E per cominciare a sognare insieme a lui bisogna aspettare un anno.

E’ il 29 novembre 1992. Paul si è appena ripreso dall’infortunio e in programma c’è il derby. La Lazio sta perdendo quando a pochi minuti dal termine c’è un calcio di punizione: va a batterlo Signori.  Non ha mai segnato molto di testa Gascoigne, ma in quel pomeriggio, in qualche modo, riesce ad elevare i suoi 177 centimetri più in alto di tutti. E pareggia i conti, segnando il suo primo gol per la Lazio proprio nella partita più sentita. Parte in una corsa senza direzione verso la curva, colma di gioia. Con un semplice colpo di testa tra l’inglese e i laziali scatta l’amore. E sarà amore eterno.

Un amore strano, proprio come lui. Perchè 6 gol in 3 anni sono un bottino non totalmente all’altezza delle aspettative, ed è difficile capire come mai un giocatore con questi numeri sia rimasto così impresso nel cuore dei tifosi, a distanza di anni.

In realtà Paul Gascoigne nei suoi alti e bassi è il giocatore che più ha incarnato lo spirito biancoceleste. Irriverente, anticonformista, ribelle, goliardico. Era uno capace di presentarsi nudo davanti a Zoff, di sfilare i pantaloncini ai compagni di squadra in diretta televisiva, di andare via dal campo di allenamento, in inverno, solo con accappatoio e ciabatte. Senza mutande e senza aver fatto la doccia. Era ed è un tipo strano Paul Gascoigne ma era ed è soprattutto un uomo debole, con la necessità di essere amato.

Tra le sue prodezze ricordiamo una splendida serpentina a Pescara, con un Paul una volta tanto libero dai suoi demoni che vola libero e perfetto tra la difesa avversaria. E infine l’ultimo ruggito, agli Europei del ’96, contro la Scozia. Controllo del pallone, finta del tiro per scavalcare il proprio marcatore per poi calciare con potenza di collo pieno. Non sono colpi da giocatore normale. Perchè lui normale non lo era. Lui era Paul Gascoigne. Ed è diverso.

Quando ha smesso col calcio, unica valvola di sfogo di un’anima tormentata, sono cominciati i problemi. Diventa schiavo dei suoi stessi vizi, cade in depressione, tenta addirittura il suicidio. Entra in quel circolo vizioso che lo porta ad ubriacarsi, farsi trovare nudo, chiedere aiuto, finire in una clinica specializzata per cercare di disintossicarsi aspettando la prossima sbronza.

Paul Gascoigne aveva i mezzi per avere il mondo ai suoi piedi. Invece, da quel mondo, si è fatto schiacciare. Eppure, non si è mai arreso. Perchè nelle sue stranezze combatte ancora la sua battaglia verso la normalità, anche se normale non lo è: si dice che sia “pulito” da sei mesi e che il peggio sia passato.

Noi glielo auguriamo. Perchè è stato l’idolo di un’intera generazione, perchè ci ha fatto emozionare come giocatori più forti di lui non hanno saputo fare e perchè, soprattutto, gli vogliamo bene.

God save the Queen.
And Gazza, too.



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