Ospite a “Tell Me”, programma di Lazio Style Channel, Pepe Reina si è raccontato a 360 gradi dal debutto alla Lazio fino al sogno di poter diventare allenatore.
L’approccio con il Calcio e la voglia di fare l’Allenatore
“Il calcio è stata la mia passione sin da piccolo. C’era una libertà che oggi non c’è, si usciva di casa e si tornava per cena. Le regole a casa mia si sono sempre rispettate. Mi sono divertito un sacco con i miei fratelli fino al momento in cui mi sono dovuto spostare per il calcio, avevo appena 13 anni. Sono stato sempre un privilegiato, in primis per la famiglia che ho avuto. Mi sono staccato da loro per crescere come calciatore, e alla fine ne è valsa la pena. Mia moglie è un po’ più severa, io sono quello ‘morbido’. Abbiamo sempre detto la stessa cosa ai nostri figli. Le pagelle ci interessano fino a un certo punto, i professori devono parlare dei miei figli come persone per bene. L’idea è di tornare in Spagna, vivere a Madrid dove abbiamo una casa, un progetto, un’idea di vita. Voglio fare l’allenatore, la famiglia dovrà portare pazienza ancora un po’, vedremo dove il calcio ci porterà“.
Il debutto di Pepe Reina
“Debutto col Barcellona in Champions? Avevo tanto nervosismo, stimoli. Era la realizzazione del sogno per cui avevo lottato tutta la vita. Mi sono perso un po’ d’infanzia per indirizzare la mia vita. Alla fine sono stato fortunato, è diventato realtà. Quando è finita la partita, è stata una sorta di sollievo, anche perché sull’1-1 avevo commesso un errore. Mi ero tolto un peso. Ho quasi 39 anni, e qualcuno della Primavera potrebbe essere mio figlio. L’esperienza ti dà una grande mano, ti dà la possibilità di affrontare meglio alcune situazioni, sia positive che negative”.
Vivere per il calcio
“Il calcio l’ho vissuto come un modo di vivere, ho vissuto per lui. Sono un privilegiato perché questa passione ha fatto in modo che io vivessi a un livello alto. Non potrei mai lamentarmi della vita che vivo, però ci sono degli aspetti personali che ti toccano. Lasci tanti amici, tante cose belle nei posti in cui sei. La cosa positiva è avere tante amicizie, tante persone che ti vogliono bene ovunque vai. Questa è stata anche la ricchezza della mia carriera”.
Il Villareal di Pepe Reina
“È stato un bellissimo periodo, mi sono sentito in uno spogliatoio umile, di persone con tanti valori. È stato un momento di crescita, il Villarreal è una società a cui tengo tantissimo, è stato un onore difendere quella maglia. Mi ha permesso di andare poi nel calcio d’élite. C’era spensieratezza, si competeva per traguardi diversi rispetto a quelli delle grandissime squadre, quelle che lottano per il titolo. Noi abbiamo fatto qualcosa di incredibile arrivando terzi. Ancora oggi parlo con tantissimi compagni di quell’epoca, sono diventati allenatori, non vedo l’ora di ritrovarmi con loro”.
Tradimenti e Perdono
“Sicuramente qualche incidente di percorso c’è stato, è normale che sia così. Nella vita bisogna anche saper perdonare, voltare pagina nel momento giusto, e fidarsi delle persone che ti vogliono bene sempre, non solo quando le cose vanno alla grande. Bisogna imparare anche dai tradimenti. Ne parlavo anche col mio figlio, l’importanza di voltare pagina, saper perdonare. Il perdono ti dà la coscienza più pulita, riesci a diventare una persona migliore. La mia famiglia è molto cristiana, questi valori ce li siamo portati sempre dietro.
La Famiglia di Pepe Reina
“Mio padre? Quando lo guardo, vedo uno specchio. Il mio esempio di vita è stato mio papà. Nel futuro spero di fare lo stesso coi mie bimbi. La sua personalità, la sua generosità, il suo altruismo lo rendono unico. Lui è in Spagna, io da 16 anni vivo fuori. Non vedo l’ora di rivederlo, di passare una bellissima giornata tutti insieme. Se fosse qui in questo momento gli direi grazie, dal profondo del mio cuore, per quello che mi ha insegnato, per quello che mi ha fatto diventare. Mia moglie? È una donna straordinaria (si commuove, ndr)”.
Il Liverpool
“È stato un cambiamento importante, si giocava per vincere tutte le partite. Uscire dalla Spagna e approdare in un Paese grigio, in cui piove spesso. Sono stato otto anni, e ormai la considero casa mia. Il Liverpool mi ha portato rispetto sempre, sia quando le cose andavano bene che quando andavano meno bene. Qualche situazione brutta c’è stata, la gente c’era sempre. 400 partite con quella maglia, ho avuto il privilegio assoluto di poter giocare ad Anfield ogni quindici giorni, di sentire ‘You’ll never walk alone’. Io sono un romantico del calcio, sono cose a cui tengo tantissimo. Mi guardo indietro e mi dico ‘quanto sono stato fortunato di aver vissuto tutte quelle sfide con la maglia del Liverpool’. Ancora oggi sento con qualche magazziniere, con le signore della cucina. Il legame era forte, io tengo molto a quei tipi di persone che circondano il nostro mondo. La gente non le vede, ma facilitano la nostra vita”.
Lucas Leiva compagno con il LIverpool e la Lazio
“È un uomo con la u maiuscola. In dieci mesi di Lazio abbiamo legato più che a Liverpool. I nostri figli vanno a calcio insieme, le nostre figlie a ippica, si creano dei legami ancora più forti. Sono fiero di essere suo amico. È la famiglia che il calcio ti mette nel cammino, e devi approfittarne. Non è semplice avere delle persone così accanto. Condividiamo tante cose, devo ringraziare il cielo. Persone così le voglio sempre al mio fianco. Io che tipo di uomo sono? Sono uno abbastanza semplice. La cosa che mi rende più felice è godermi la mia famiglia, i miei amici”.
Figli ed il ruolo di Papà
“Non mi godo tantissimo la crescita dei miei figli, e loro crescono in fretta. Viaggi e ritiri ci occupano tanto tempo, e quello è tempo che non si dedica alla famiglia. Però cerchiamo di essere sempre vicini. Ho tanta fiducia in ognuno di loro, si parla apertamente di tutto. Sono molto più geloso delle mie figlie che di mia moglie, ma credo che sia anche naturale. Non c’è una fortuna maggiore che avere cinque figli che si vogliono bene e una mamma fantastica che pensa sempre a loro. Se fosse per Yolanda, avrebbe voluto una squadra di calcio (ride, ndr). Va matta per i bambini. Ogni gravidanza, ogni parto è andato bene, e quello ha sicuramente aiutato. Se uno dei miei figli seguirà la mia squadra? Forse Luca, intanto si diverte e cresce con i valori del calcio, che è una cosa importante. Gioca nella Lazio, è uguale a me. Caratterialmente e fisicamente, anche quando gioca lo fa come me”.
La Mamma di Pepe Reina
“Anche se siamo bravi e abbiamo dato una mano, con noi è stata una santa. Ha avuto una forza monumentale. Anche quando i figli crescono e vanno via di casa, quel vuoto una mamma lo sente di più. Non è un momento facile, lei è stata sempre brava, molto d’aiuto in ogni momento. Quando io avevo 13/14 anni, ci scrivevamo delle lettere bellissime, tanto che a un certo punto gli ho detto di non scrivermele più, altrimenti non ce l’avrei fatta (ride, ndr)”.
Il Napoli di Benitez
È stato il mio papà sportivo, ha creduto nelle mie caratteristiche. Ha visto in un portiere ‘diverso’, un aiuto per la sua filosofia di gioco. Gli sarò sempre grato, mi ha fatto crescere. È stato moderno, pensava al ruolo di portiere in un modo molto diverso rispetto a 15/20 anni fa. Le mie caratteristiche col suo modo di gioca si sono intese benissimo. Siamo stati fortunati entrambi. Ho una profonda stima per il popolo napoletano, gli sarò sempre riconoscente per ciò che hanno dato a me e alla mia famiglia. Sono stati quattro anni meravigliosi“.
L’approdo alla Lazio e Strakosha
“È stato un momento importante, arrivavo in una grande squadra che lottava per i vertici alti della classifica. Alla mia età, continuare a reggere a quel livello è stata una soddisfazione. Oggi posso dire che sia stata una sfida bellissima, sono molto contento. Sono stato acquistato per far crescere Tommy (Strakosha, ndr) e per dare una mano a tutto lo spogliatoio, anche fuori dal campo. Di mettere le mie avventure a loro disposizione. Le cose sono andate diversamente rispetto all’inizio. Loro sono giocatori aperti a crescere, a farsi consigliare, e questo è importante. Come mi sono conosciuto? Lei è di Cordoba, e lì ci siamo conosciuti, in una fiera che si fa ogni anno e che dura dieci giorni. Quindici giorni prima di conoscere Yolanda avevo conosciuto un’altra ragazza al matrimonio di mio cugino. Mi è passata lei in mezzo alla strada, e gli ho detto a mio cugino ‘l’altra può aspettare’. Non mi sono mai staccato da lei quel giorno. All’inizio è stata anche antipatica per me, era proprio quella giusta (ride, ndr)”.
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