WILSON MAESTRELLI

Per quelli della mia generazione che giocano negli anni Settanta a calcio seriamente o anche solo per diletto in difesa, Pino Wilson è un punto di riferimento. Non ha la classe di Ruud Krol (leader della difesa dell’Olanda di Cruijff) o il fisico statuario di Giacinto Facchetti, ma esce palla al piede e a testa alta dalla difesa per impostare l’azione come un olandese vero ed è il vero signore dell’area di rigore, perché nonostante i soli 173 di altezza le palle alte erano tutte sue. Ma la cosa che è rimasta più impressa di lui a tutti quelli che come me lo hanno visto giocare, sono le sue entrate in scivolata. Scatta, si lancia in tuffo, arpiona la palla e riparte, con l’avversario che ci mette qualche secondo per capire dove è finito il pallone. Oppure, quel suo modo di protestare con l’arbitro: dritto come un fuso, con le braccia lungo il corpo, come un soldato sull’attenti e la testa vicino al volto del direttore di gara, per chiedere un rigore, per protestare contro un fallo fischiato o per difendere un compagno. Questo è Giuseppe “Pino” Wilson.

Nato a Darlington, in Inghilterra, a due passi dal confine scozzese, Wilson è un “figlio della Guerra”nel senso che la madre è napoletana e il padre è un ufficiale inglese di stanza in Italia nell’ultima parte della Seconda Guerra Mondiale. I coniugi Wilson, finito il conflitto si trasferiscono in Inghilterra, dove Pino nasce il 27 ottobre del 1945. Da ragazzo, però, torna a casa della madre, a Napoli, dove inizia a giocare nella Cirio e dove dopo la trafila nelle giovanili fa il suo esordio in serie D nel 1965, giocando 18 partite. Nella stagione ’65-’66 passa nell’Internapoli, in serie C, dove due anni dopo la sua strada si incrocia con quella di Giorgio Chinaglia, di cui diventa compagno di squadra e amico inseparabile.

Dopo qualche campionato di serie C, nell’estate del 1969 il duo Wilson-Chinaglia viene acquistato dalla Lazio. Mentre “Long John” fatica ad imporsi, Wilson diventa immediatamente uno dei punti fermi della squadra. Fa il suo esordio in serie A alla prima giornata di campionato, il 14 settembre del 1969, entrando all’inizio del secondo tempo della partita con il Torino al posto di Peppiniello Massa. Alla fine della stagione, chiusa con uno straordinario quanto inaspettato ottavo posto in classifica, Wilson colleziona addirittura 28 presenze in 30 giornate. Diventa un giocatore indispensabile, quello a cui tutti gli allenatori si affidano, a cui consegnano ad occhi chiusi le chiavi della difesa: lui gesticola, urla, ordina e gli altri obbediscono, anche se hanno una decina di campionati di più d’esperienza sulle spalle. Come dice sempre Diego Pablo Simeone: “Il leader non è quello che indossa la fascia di capitano o che ha più anni di militanza, ma quello che viene riconosciuto come tale dal gruppo”.

E Wilson è leader anche senza quella fascia al braccio. Ma con l’arrivo di Tommaso Maestrelli sulla panchina della Lazio, arriva anche quella, perché pur adorando Chinaglia come un figlio, il “maestro” in campo mette la squadra nelle mani di Pino Wilson, più equilibrato e più diplomatico di “Long John”. Il capitano diventa anche l’uomo fondamentale per dettare i movimenti della difesa, per guidare da dietro la squadra nel nuovo modulo di calcio “totale” imposto da Maestrelli alla Lazio: zona mista in difesa e zona totale a centrocampo, una cosa mai vista prima in Italia, provata solo da un altro tecnico, Luis Vinicio a Napoli, ma non con gli stessi risultati.
Se Pino Wilson ha un difetto, rispetto ad altri grandi interpreti di quel ruolo del tempo, come Facchetti e Krol, è quello che segna pochissimi gol. Il primo in serie A, lo mette a segno solo all’inizio della sua quinta stagione laziale, ma è un gol pesantissimo. Il 14 ottobre del 1973, la Lazio affronta all’Olimpico la Sampdoria e dopo il trionfale esordio con vittoria per 3-0 sul campo del Vicenza, il successo con i blucerchiati sembra solo una formalità. Per oltre 80 minuti, invece, la Lazio sbatte contro il muro eretto da Lodetti e compagni davanti a Cacciatori e quando i 50.000 dell’Olimpico sono oramai rassegnati allo 0-0, sull’ennesima mischia Pino Wilson si trova il pallone tra i piedi e di destro lo spedisce in rete. Per lui, è il primo gol in carriera, dopo 282 partite giocate tra serie A, B, C e D. Nonostante il gol segnato e la Lazio prima in classifica, Valcareggi continua a snobbare sia Wilson che gli altri giocatori biancocelesti e, quando sabato 20 ottobre gli azzurri affrontano la Svizzera in una partita di qualificazione ai Mondiali, dall’Olimpico partono sonore bordate di fischi all’indirizzo del ct azzurro. Ma i tifosi della Lazio, più che sulla Nazionale e sulle scelte di Valcareggi, sono concentrati sulle imprese in campionato della squadra di Maestrelli e sull’impegno di Coppa Uefa con l’Ipswich. Dopo una rissa memorabile con i giocatori dell’Arsenal in un infuocato dopo partita del 1969 in Coppa Uefa, la Lazio torna in Inghilterra e a Ipwich paga con gli interessi il calo di concentrazione già evidenziato il turno precedente a Sion, quando è stata sconfitta per 3-1 ma si è salvata grazie al 3-0 dell’andata all’Olimpico. Travolta dal poker realizzato da Whymark, la Lazio torna a Roma con i nervi a fior di pelle per le prese in giro degli avversari, con Chinaglia e Wilson tra i più avvelenati perché parlando alla perfezione l’inglese hanno memorizzato frasi e volti. La resa dei conti, va in scena all’Olimpico il 7 novembre del 1973: la Lazio vince per 4-2 una partita pesantemente condizionata dagli errori dall’arbitro olandese Van Der Kroft (molti giocatori della Lazio sostengono a fine partita e ancora oggi che il direttore di gara è sceso in campo in evidente stato di ebbrezza), ma gli incidenti in campo tra i giocatori e quelli sugli spalti provocati dai tifosi che a più riprese tentano di invadere il campo e di aggredire l’arbitro, costano alla Lazio un anno di sospensione da tutte le competizioni europee e pesantissime squalifiche ai giocatori, Wilson e Chinaglia in testa. Così, beffa delle beffe, la Lazio vince lo scudetto ma a causa di quella squalifica non viene ammessa alla successiva Coppa dei Campioni, con Artemio Franchi che (anche per vendetta per il comportamento di Chinaglia in Nazionale ai Mondiali in Germania), da presidente dell’UEFA, non muove un dito per aiutare la Lazio nel suo ricorso contro quella pesantissima squalifica. Alla Lazio resta solo lo scudetto, un titolo che in un articolo scritto per “Il Corriere della Sera” Pino Wilson definisce una svolta epocale per il calcio italiano. “Forse non a tutti ha fatto piacere che a vincere lo scudetto sia stata la Lazio. Qualcuno, voglio dire, ha masticato amaro. Ma sono propenso a credere che anche i più scettici e i nostri più acerrimi rivali ammetteranno che nella storia del calcio italiano il titolo da noi conquistato porta una ventata nuova, destinata ad avere favorevoli ripercussioni”.

L’augurio di Pino Wilson, però, è destinato a restare tale. La malattia di Maestrelli, la fuga di Chinaglia, la morte improvvisa di Re Cecconi e i problemi economici di Lenzini contribuiscono a far restare quell’impresa della Lazio un episodio, una semplice parentesi in un campionato che torna subito ad essere dominato dalle solite squadre del Nord, con altrettante episodiche incursioni da parte di Torino, Verona, Sampdoria, Napoli, Lazio e Roma nei 35 anni a seguire, in cui Milan, Juventus e Inter fanno incetta di scudetti.

La Lazio, paga soprattutto la scomparsa di Maestrelli. Il vuoto di potere che si crea all’interno della società, porta quasi all’anarchia. E al disastro. Nell’inverno del 1979, appena un anno dopo quelle drammatiche immagini di Wilson che cerca di calmare i tifosi dopo l’uccisione di Paparelli in Curva Nord per un razzo sparato prima del derby dai tifosi della Roma, alcuni giocatori della Lazio finiscono in un giro più grande di loro. Alcuni scommettitori-bookmaker che si sentono truffati dalle promesse non mantenute da parte di alcuni calciatori in una serie di partite che non finiscono con il risultato concordato, denunciano la presunta truffa e fanno esplodere lo scandalo-scommesse. Il 23 marzo del 1980, a Pescara, alla fine della partita quattro giocatori della Lazio vengono portati via  dallo stadio in manette e tradotti nel carcere di Regina Coeli a Roma. Tra loro, oltre a Massimo Cacciatori e ai giovanissimi Giordano e Manfredonia, c’è anche Pino Wilson, il capitano. I tifosi non riescono a credere che il capitano, la bandiera della Lazio degli ultimi dieci anni possa aver tradito in questo modo loro e la causa biancoceleste. Ma il processo sportivo è spietato. Per Pino Wilson, la sentenza è: radiazione. L’ergastolo per un atleta. Per la Lazio è retrocessione in serie B nel processo di secondo grado, inappellabile, e arriva a sorpresa dopo l’assoluzione nel primo grado di giudizio, visto che nelle partite oggetto dello scandalo (sconfitta a San Siro con il Milan e pareggio all’Olimpico con l’Avellino) la Lazio non ha tratto alcun beneficio da quei risultati. Ma soprattutto vista la disparità di trattamento tra la Lazio, retrocessa, e il Perugia, l’Avellino e il Bologna, lasciate in serie A con una penalizzazione di 5 punti. Si conclude così, dopo 324 partite di campionato giocate con la maglia biancoceleste, l’avventura di Pino Wilson con la Lazio. Esce così di scena nel peggior modo possibile e per sempre, quello che verrà ricordato come il più grande difensore laziale di tutti i tempi, prima dell’arrivo sulla scena laziale di Alessandro Nesta.

STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO



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