La principale discriminante per un telespettatore nello scegliere dove guardare la partita se si ha la possibilità di vederla su due aziende diverse è sicuramente la bravura del telecronista: uno dei telecronisti più bravi, competenti e popolari in Italia è sicuramente Pierluigi Pardo, 42 anni, nato il 04/03/1974; romano del quartiere Trieste, laureatosi in Economia nel 1999 e prodotto del laboratorio di giornalismo e comunicazione “Piccolo Gruppo” di Michele Plastino, dopo due anni di alternanza fra economia e radio inizia la sua carriera da telecronista a Stream nel 2001; nel 2003 Stream confluisce in Sky Italia e Pardo diventa uno fra i principali telecronisti di Sky, dove rimane fino al 2010, quando passa alla concorrenza diventando telecronista per Mediaset Premium, ruolo che ricopre ancora adesso. Negli ultimi anni Pierluigi Pardo è diventato ancor più famoso e apprezzato grazie al talk show sportivo “Tiki Taka (Il calcio è il nostro gioco)”, che conduce tutti i Lunedì che seguono il weekend di Serie A in seconda serata su Italia 1, e alla conduzione in radio del talk show sportivo “Tutti convocati” dal Lunedì al venerdì alle 14.00 e la Domenica alle 17.00 su Radio 24. Il popolare telecronista è stato intervistato da Blogo per spiegare i segreti della telecronaca perfetta e per parlare della sua carriera e dei suoi progetti.

Cosa non deve fare assolutamente un telecronista?

L’errore più grave è non emozionarsi, raccontare senza la giusta enfasi. Noi facciamo un lavoro che vorrebbero fare in tantissimi, dobbiamo essere consapevoli di questo grande privilegio. L’altro errore è, ovviamente, non prepararsi.

E allora, come prepari la telecronaca di una partita?

La preparo con i file delle squadre che aggiorno continuamente e che mi porto dietro. C’è una parte legata all’attualità, ai temi principali ed una ai numeri. La regola è prepararsi 1000 dati per poi dirne 10. L’importante è farsi trovare pronti se qualcosa succede. Se un giocatore sbaglia un rigore, bisogna sapere quanti ne ha sbagliati prima. Il numero fine a se stesso non ha senso, l’aneddoto fine a se stesso non ha senso, il dato statisticamente rilevante sì. Tutto ha senso se trova attinenza con quello che succede durante la partita.

C’è qualcosa che col passare degli anni hai eliminato o aggiunto nelle tue telecronache?

Ho aumentato la quantità di pause. Sono assolutamente decisive per dare enfasi. Se alterni frasi scandite e piene di enfasi a silenzi studiati sicuramente ottieni un grande effetto. Negli ultimi anni sono cresciuti i social network: durante la partita se succedono cose particolari consulto una serie di profili Twitter e di statistiche utili. Se nella finale di un Europeo segnano al terzo minuto c’è sicuramente un sito di statistiche, come Opta, che ti aggiorna e ti dice quante volte era successo prima. Il fatto è che non puoi preparare tutto prima della partita, tutte le combinazioni possibili. Cito sempre questo esempio: 2011, semifinale del Mondiale per club, nel Barcellona si infortunò Villa; durante la partita ci furono reazioni da parte di altri giocatori e venne emanato il bollettino medico del Barcellona. I social network erano più aggiornati delle immagini. Insomma, se succede qualcosa fuori dal campo bisogna essere molto reattivi e svegli.

Tutto questo lo fai tu autonomamente col tuo smartphone oppure te lo suggeriscono in cuffia dal coordinamento?

È tutto un lavoro individuale.

Quindi quando fai le telecronache hai il cellulare acceso?

Sì…anche se non so se sia il caso di dirlo in giro visto che tanta gente ha il mio numero (ride, Ndr). Parliamo di lettura su Twitter, non dei feedback. Un’altra cosa che faccio – stavolta con il coordinamento di Premium – è lo scambio di messaggi durante la partita con Graziano Cesari su episodi arbitrali complicati.

Hai un modello di riferimento?

Sandro Piccinini ha cambiato la storia di questo mestiere. È stato il primo telecronista moderno, con un linguaggio sincopato, con frasi brevi, pause. È uscito dalla frase tradizionale soggetto, predicato, complemento. È stato il primo a dire ‘non va, sciabolata, gran botta, pericolo, fischi per lui, pubblicità per noi’. Per me rimane un grande punto di riferimento. In generale mi piacciono i telecronisti che danno enfasi, senza esagerare. Trovo imperdonabile raccontare le partite con un atteggiamento un po’ da impiegati. La telecronaca non può essere monocorde, non ci può non essere emozione.

Qual è la migliore seconda voce con cui hai lavorato?

Ce ne sono tante, preferisco non citarne una, magari mi scordo qualcuno. È importante che con la seconda voce si crei equilibrio e armonia di rapporto. Col tempo l’intesa cresce. Per me è molto importante anche il bordocampo. Non mi piace quando il bordocampista dice una cosa e il telecronista va dritto per la sua strada come se non avesse parlato. Un minimo di interazione, a meno che il pallone non sia in area, anche un banale richiamo a quanto ha detto, dà un senso di squadra.

In Rai le telecronache degli Europei sono state fatte senza bordocampista…

Sì, invece nelle partite della Nazionale mi pare che il bordocampista abbia avuto come sempre in Rai il microfono sempre aperto.

Sì, solo in quelle. Nelle altre soltanto telecronista e seconda voce. Immagino sia una struttura che non ti entusiasmi…

In realtà la ricchezza non la fa il numero di voci, ma la competenza delle voci. In generale più spunti hai meglio è. Importante è evitare la confusioni di ruoli. Il telecronista fa il racconto, il play-by-play, la seconda voce dall’alto della sua esperienza ti offre un punto di vista diverso sull’azione e il bordocampista ti racconta da testimone oculare quello che succede in campo e in panchina che gli altri due non possono vedere.

C’è una seconda voce della concorrenza che apprezzi particolarmente?

Con Marchegiani e Bergomi (di Sky, Ndr) ho lavorato tantissimo e bene. Sono bravissimi. Bergomi è stato il campione delle seconde voci. Non soltanto ha ottime idee di calcio, ma anche grande capacità di esprimerle con tempi veloci e televisivi. Boban è uno spettacolare polemista.

Nelle tue telecronache qual è la percentuale monitor/campo?

Direi 70 campo, 30 monitor. Ma il monitor è importantissimo sui replay e in caso di infortuni. È un automatismo, tu stai con gli occhi sul campo ma appena il gioco si ferma istintivamente vai sul monitor. Il monitor va visto e va commentato, perché alla fine è quello che vedono gli spettatori. Chiaramente, un telecronista che guarda solo il campo e non guarda il monitor commette un errore.

Ti capita ancora oggi di fare telecronache da studio, da tubo come si dice in gergo?

Sì. La Diretta Premium o le partite di squadre straniere si fanno da tubo, vale sia per Sky sia per Mediaset. Non è così drammatico. Chiaro, è meno coinvolgente…

Fare le telecronache dal campo è più facile?

È più bello. Più facile no. Dal campo sei dentro l’evento, hai la possibilità di emozionarti più forte, hai la possibilità di vedere cose che altrimenti non vedresti. Però, ormai c’è un tale qualità, una tale abbondanza di telecamere che anche le telecronache da tubo mediamente sono buone. Non è drammatico.

C’è stata una tua telecronaca disastrosa a causa di difficoltà tecniche o per alcuni tuoi errori?

Non voglio fare il fenomeno, però disastrosa francamente no. L’incubo del telecronista rimane certamente sbagliare il marcatore del gol…

Ti è mai capitato?

Sì, all’inizio della carriera. Ai tempi di Stream in un Lazio-Udinese e in un Chievo-Milan. Ma parliamo del 2001, 2002. Sbagliare il nome dei giocatori a metà campo è grave, se sbagli il marcatore rischi la figuraccia totale. È l’epic fail!

Tra i tuoi colleghi c’è chi ha parlato di “postazioni drammatiche” in alcuni stadi. Dal San Paolo di Napoli allo Stadium di Torino…

No, di drammatico non c’è niente. Allo Juventus Stadium la postazione è all’ultima fila: avendone la possibilità me la prenderei dieci file sotto, ma è tutt’altro che drammatica. A Napoli Sky ha una postazione bellissima, noi siamo un pochettino più sopra, ma non ci vedo niente di drammatico. Drammatico è semmai il livello di certi stadi. Penso ai tanti tifosi che pagano il biglietto e quando piove si ritrovano in un settore senza copertura.

All’estero come è la situazione?

Al Camp Nou la postazione è altissima, è a strapiombo quindi buona, ma è davvero molto alta. In generale se devo stabilire una regola dico meglio alta che bassa, per una questione di prospettiva. Per esempio la postazione nello stadio del Dnipro, in Ucraina, che è molto bassa, non mi piace proprio, vedi tutto schiacciato.

Qual è stata la più forte emozione calcistica vissuta in telecronaca?

Raccontare i momenti in cui una squadra vince lo scudetto devo dire che è emozionante, a me è capitato varie volte. Poi c’è una bella fila di partite meravigliose: la finale di Coppa d’Inghilterra vinta dall’Arsenal nel 2002, il gol di Torres in Barcellona-Chelsea in contropiede in semifinale Champions nel 2012, la Supercoppa europea dell’anno scorso Barcellona-Siviglia 5-4 (il video) a Tbilisi, le due eliminazioni del Barcellona al Calderón contro l’Atletico Madrid, Napoli-Manchester City col San Paolo che era una bolgia, Chelsea-Benfica, finale di Europa League con gol all’ultimo minuto…

Ok. Quindi non c’è ne una che prevale su un’altra. Abitualmente risenti le tue telecronache?

No, non passo la vita a risentirmi o a riguardare Tiki Taka. Se capita o se c’è qualcosa di particolare che voglio verificare, sì.

Quanto ti è pesato non poter raccontare in diretta gli Europei?

È stata una mia scelta, in questi 40 giorni sono stato benissimo, ho fatto tante cose importanti, personali e professionali. Più che altro mi è mancato non essere stato a Lisbona o a Porto lunedì, dopo la vittoria, perché amo il Portogallo.

Quanto ti pesa non poter fare la telecronaca della Nazionale?
Moltissimo. Non l’ho mai fatta, in passato l’ho seguita da inviato. Penso che poter raccontare ad un intero Paese la tua Nazionale sia l’emozione più grande che possa capitare. Spero un giorno di farla.

Quale partita di questi Europei avresti voluto commentare in particolare?

Italia-Spagna o Italia-Germania.

Da esperto, come valuti la copertura di Rai e Sky dell’evento in Francia?

Su Sky non ne ho vista neanche una dell’Italia, perché sono stato ad eventi in cui c’era la telecronaca della Rai. Per Germania-Italia ero al Premio Ischia e c’era maxischermo con Rimedio e Zenga. Quindi faccio fatica a risponderti, anche se a Sky sono bravi, c’è una grandissima cura, da pay tv. Sono affiatati e collaudati nel racconto, nello studio, gli opinionisti, gli inviati, non c’è dubbio.

E la Rai?

Ho seguito le telecronache della Nazionale, ho visto Insinna che è un fiume in piena, è bravo, è un artista colto e pop. Non mi sembra che ci siano stati grandi problemi, mi sembra che tutto sia filato liscio. Anche rispetto al passato, quando ci furono polemiche. Poi ognuno ha il suo stile…

A proposito di stile, è giusto che in Rai le telecronache siano più sobrie? Rimedio è molto distante da Caressa…

No, io penso che anche la Rai dovrebbe avere un po’ più di enfasi. In generale credo che Rimedio se la sia cavata bene, ha fatto un buon lavoro. Penso però che RaiSport potrebbe decidere di aprirsi al mercato anche per quanto riguarda la telecronaca, con giornalisti più popolari e riconoscibili, per fare un salto di qualità. Lo ha fatto sugli opinionisti come Sacchi e Balzaretti, lo fa per il giornalismo ‘politico’ con Sottile e Semprini, e soprattutto nell’intrattenimento, mentre nello sport evidentemente fin qui non ha voluto toccare certi equilibri anche se adesso finalmente leggo di un cambio di tendenza che reputo positivo (è di ieri l’indiscrezione del passaggio di Maurizio Compagnoni da Sky a Rai Sport, ma il diretto interessato a Blogo ha smentito, Ndr). A patto che si punti su un profilo di grande qualità e popolarità. E preciso che non sto parlando di me, che sto benissimo a Mediaset.

Per quale squadra di calcio tifa Pierluigi Pardo?

Un professionista è talmente concentrato sulla telecronaca che anche se avesse una simpatia per una squadra non la mostrerebbe. Poi ci sono quelli che da bambini hanno avuto una grande passione – io non sono tra questi – che magari faticano di più ad entrare in questa logica. A me viene abbastanza facile.
Semmai ci possono essere simpatie per delle storie: se avessi fatto Francia-Portogallo, dopo l’infortunio di Ronaldo… credo sia abbastanza normale tifare Portogallo più di prima. In assoluto la risposta è ‘tifo per la partita’. Davvero, perché il mio incubo è che al 20esimo stiano 3-0 e tutto sia già deciso. Tifo perché succedano cose, perché la partita sia bella ed imprevedibile e soprattutto spero che gli ospiti del lunedì dopo a Tikitaka non perdano 4 a 0 in casa che sennò ci danno buca…(ride, Ndr).

Veniamo a Tiki Taka: che novità ci saranno?

Il gruppo di lavoro di Tiki, a cominciare dal direttore di Videonews Claudio Brachino, è già al lavoro per la prossima stagione. Una novità sarà il pubblico in studio, per la prima volta. Abbiamo chiuso con entusiasmo la terza stagione: per la prima volta avevamo una concorrenza, un programma in chiaro che provava a fare quello che facevamo noi (Il Processo del lunedì su Rai3, Ndr). Poteva esserci statisticamente il rischio di un calo e invece è stato l’anno migliore dal punto di vista dello share, che ha sfiorato medie dell’8% nel target individui, del 10% nel pregiato target commerciale (15-64 anni) e del 14% nel target giovani (15-34 anni). Continueremo a divertirci, ci saranno novità, ma il programma continuerà ad avere una sua cifra, sarà un programma generalista. Ogni tanto qualcuno dice che non sia un programma serio, certo che non lo è! È un programma da bar, ma nel quale vogliono venire tutti, dai grandi campioni agli intellettuali alle soubrette. Tutti parlano di calcio e la nostra è una dimensione pop. Insinna nel Grande Match ha portato questo tipo di elemento. In un programma generalista sul calcio non ti metti a fare 15 minuti di lavagna tattica, non te lo puoi permettere. Soprattutto se il programma arriva il lunedì sera, dopo che le lavagne tattiche le hai viste e le dichiarazioni le hai sentite. Sinceramente io considero un miracolo che Tiki Taka sia andato così in questi tre anni. Tre anni fa alcuni amici mi consigliarono di non farlo, ”sta roba è morta, da 15 anni il Processo di Biscardi non è più sulla generalista’. In effetti il programma di commento del lunedì sembrava morto e sepolto, l’idea che dopo tre anni sia ancora vivo e in buone condizioni è motivo di grandissimo piacere.

Il Processo del lunedì è stato cancellato da Rai3. La consideri una tua vittoria?

No, più calcio c’è in televisione e più io sono contento. Non ho mai avuto nessuna rivalità. Semmai lo scorso anno poteva essere un po’ più difficile per noi, poteva essere un problemino perché c’era un programma simile in onda il lunedì sera. Considero una vittoria il fatto che abbiamo avuto il miglior risultato di share l’anno scorso con la presenza di un programma che poteva drenare un po’ del nostro pubblico. Peraltro ogni anno che passa aumenta l’offerta televisiva, aumenta la scelta: l’8% di share di oggi vale di più dell’8% di due anni fa. Ma assolutamente lunga vita al Processo, a Varriale e alla Rai.

Sull’orario di messa in onda di Tiki Taka sai darci certezze?

In effetti andiamo in onda molto random, e questo non aiuta. Capisco che possa generare un po’ di confusione, ma è incoraggiante essere andati bene anche con orari diversi. Non ho notizie, credo che sarà il classico orario che dipende dalla durata del film che lo precede. Secondo me l’ideale per una seconda serata è partire non troppo presto e non troppo tardi, tipo 23.30-23.40. Però non decido io… obbedisco e va bene così.

Capitolo donne a Tiki Taka. Hai detto in passato: “Io sono sempre a favore della gnocca, trovo che l’alto e il basso siano la stessa cosa. La sensualità è un valore, poi non dev’essere soltanto quello e ridursi al corpo della donna (…) Il ruolo classico della donna anni ottanta che sorride, con l’inquadratura sulle coscia, è qualcosa che a me fa orrore”. Non ti sembra che in alcune puntate di Tiki Taka qualcosa di simile sia accaduto?

Il nostro regista Giancarlo Giovalli tra le sue mille qualità ha anche questa. Non è morboso, anzi è molto elegante e non indugia come altri farebbero. Detto questo in Tiki Taka c’è spazio per tutto, anche per le donne e per le belle donne. Non è un problema. Tiki contiene tutto. La cosa che mi rende più felice è che prestigiosi giornalisti dopo la puntata mi mandino un sms per dirmi che si sono divertiti da matti, che star televisive di altri canali facciano carte false per avere la liberatoria e venire da noi, che i calciatori che incontro negli stadi mi dicano: “Ma quando mi inviti?”, e così cantanti, attori, intellettuali. Per le ultime puntate dell’anno scorso avevamo veramente la lista d’attesa ed eravamo quasi in imbarazzo per non riuscire ad accogliere tutti. Questa è la forza del programma, tutti vogliono venirci perché ci si diverte, con leggerezza. Tornando alle donne, l’anno scorso ne abbiamo avute quasi sempre due a puntata.

Ricordo una ragazza bionda greca…

Non sei l’unico (ride, Ndr).

Dette prova di non saperne tantissimo di calcio…

In quel caso infatti ci abbiamo scherzato, mi pare. E lei, Ria Antoniou, è stata al gioco con grande ironia. Poi certamente quando si riesce a combinare la presenza con la passione per il gioco fai bingo. Penso a Melissa (Satta, Ndr) ovviamente ma anche ad esempio a Cristiana Capotondi, simpatica, bravissima e molto tifosa. Capisco che nell’immaginario dei social Tiki Taka sia un programma per “bomber” pieno di belle donne, ma questo è solo uno degli elementi. Non voglio fare l’oste col suo vino, ma credo che quello di davvero unico a Tiki Taka sia il clima, la leggerezza.

Ci sarà una nuova stagione di Maggioranza assoluta? E a quali progetti di intrattenimento stai lavorando?

Sto pensando ad altri progetti, ma sono ancora in uno stato embrionale. Diciamo che l’idea è di costruire sull’esperienza e sullo stile di Tiki Taka qualcosa che non sia prettamente calcistico. Di sicuro non voglio rinunciare al calcio e alle telecronache. Già in passato nelle scelte che ho fatto nella vita questa è stata una discriminante. Il calcio è il nostro gioco e continuerà ad esserlo.

Cosa rispondi a Scanzi che nell’intervista rilasciata a Blogo ha parlato anche delle “risse” di Tiki Taka?

Cosa devo dire? Tutti quelli che provano a fare un programma di calcio generalista parlano di Tiki Taka e questo mi fa piacere. Perché proprio il successo di Tiki ha riaperto un genere e spinto prima la Rai e adesso La7 a riprovarci. Alla fine come nel caso del Processo conterà solo il pubblico, perché nessuno su una generalista produce per fare il 2, 3 o 4% di media (Futbol ha debuttato al 2,32% di share, Ndr). Detto questo ci tengo invece a fare invece un grande in bocca al lupo a Urbano Cairo e al suo tentativo di portare il calcio e i temi pop all’interno del palinsesto de La7. Ho un ottimo rapporto con lui, di simpatia, stima personale e confronto continuo.

Pierluigi Pardo è stato intervistato anche da Tuttosport sugli stessi temi:

Come è cambiato il modo di raccontare i fatti?

«Viviamo in un’epoca di comunicazione permanente. La rete, i social network, i canali di informazione h24 hanno moltiplicato quantità e frequenza delle notizie che riceviamo e l’utilizzo di tanti collegamenti in diretta ha certamente accelerato il ritmo della narrazione. Detto questo le regole del giornalismo rimangono sempre le stesse. Bisogna saper essere accattivanti per catturare l’attenzione del pubblico ed estremamente chiari per informarlo in maniera corretta. Linguaggio semplice ma non sciatto, ritmo e un po’ di originalità nell’esposizione».

E nel calcio?

«Il discorso è lo stesso. Certamente la passione gioca un ruolo decisivo. Raccontiamo un grande divertimento, il calcio è il nostro gioco come ripetiamo spesso a Tikitaka, e non dobbiamo mai dimenticarlo. Serve molta preparazione, anche perché il pubblico rispetto al passato è decisamente più esperto, ma anche leggerezza. L’ironia vince sempre. Rispetto al passato poi ci sono altre differenze. Nella diretta di una partita oggi la tecnologia dà una grande mano. Bisogna saper utilizzare perfettamente replay e stimoli che arrivano continuamente della regia. E poi ci sono i social network. Twitter, ad esempio. Può capitare di ricevere spunti interessanti durante una telecronaca. Ci sono siti di statistiche e opinion leader che in casi eccezionali possono diventare informazioni da usare in cronaca. Il telecronista deve essere concentrato, sveglio e piuttosto multitasking, insomma. Quello che certamente non è cambiato e non cambierà nella narrazione calcistica di ieri e di oggi è invece l’esigenza di una narrazione che sia anche epica, sentimentale. Dall’andamento di una partita dipende l’umore di moltissime persone che ci stanno guardando da casa. Sarà pure irrazionale ma intanto è così e dobbiamo tenerne conto».

Come è nato il tuo personaggio?

«Non sono un personaggio. Sono un 42enne che ha la fortuna di occuparsi di cose che gli piacciono e il privilegio di continuare a giocare con il suo lavoro. Quello che si vede in onda o sul web è quello che sono. Non resisto alla tentazione della battuta, mi piace la divagazione, vado a braccio, spesso mi emoziono. La cifra di Tikitaka è informale e generalista. Punta a coinvolgere un pubblico vasto e articolato. Non è un programma solo per addetti ai lavori e non è solo calcio. Si intreccia con altri aspetti della realtà, è un bar che contiene tutto, alto e basso, gli intellettuali e il gossip, i campioni e i polemisti. La telecronaca invece è una grande passione, una cosa a metà tra un lavoro giornalistico e una vera e propria prestazione artistica. Conta l’estetica della voce, il suono delle parole, il rapporto tra momenti concitati e pause. L’obiettivo non è solo informare ma anche divertire ed emozionare».

La metafora calcistica viene molto utilizzata anche in contesti diversi e talvolta molto seri, cosa ne pensi?

«Non mi stupisce. Il calcio è un passe-partout, amato o comunque seguito da tutti. Trovo piuttosto normale che il linguaggio del pallone possa essere mutuato dalla politica o dall’economia. Anche perché molti campi della vita umana parlano di squadra, competizione, prestazione, sfida. Noi italiani ad esempio, se fossimo un po’ più uniti saremmo davvero “una squadra fortissimi” come diceva quella canzone…».

Sei romano, a tratti sembra che ti piaccia giocare con la tua inflessione, soprattutto a Tikitaka. Funziona?

«Sono istintivo. Se mi viene la frase in romanesco la dico, e lo stesso se devo imitare l’accento barese o milanese di qualcuno che ho davanti. Nelle telecronache ovviamente uso una dizione più asciutta, in trasmissione ci si può lasciare andare di più. Anche perché accenti e inflessioni dialettali sono una ricchezza».

Un’ultima domanda: qual è il segreto della telecronaca perfetta?

«Prepararsi. Studiare mille cose e dirne poche, quelle che diventano attinenti con l’andamento della partita. Dosare momenti di racconto intenso e retorico a pause utili per far decantare la tensione. Soprattutto “vivere” il match, non aver paura di emozionarsi. Raccontare una grande partita non è soltanto un lavoro, è soprattutto un privilegio che tanti vorrebbero avere. E per farlo bene serve soprattutto tanta passione».



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