Purtroppo nella vita non capita sempre di trovare dall’altra parte la Roma. Purtroppo a volte capita di trovare di fronte una squadra vera, compatta, che gioca a memoria, che ha una panchina infinita quasi quanto la fame di vittoria. E quando trovi un avversario del genere, tutti i nodi vengono al pettine, tutte le piccole crepe evidenti da tempo ma nascoste dal successo del 26 maggio diventano fratture, quasi voragini. E capita di vivere serate come questa, pesanti non tanto per il punteggio, quanto perché ti mostrano tutta la differenza che c’è tra una buona squadra spacciata per grande squadra e una che grande squadra lo è nei fatti non a chiacchiere.
Siamo solo al calcio d’agosto, quindi non c’è niente di drammatico, di definitivo o di irreparabile. Così come non saremmo diventati una squadra da scudetto vincendo questa Supercoppa, ora non siamo diventati all’improvviso una squadra mediocre o che se non fa attenzione rischia di retrocedere come si affretterà a sostenere qualcuno, ricordando gli effetti del post-sbornia della Coppa Italia del 2009. Ma quello che è certo è che la Juventus ha messo veramente a nudo tutti i difetti di questa squadra, quelli che le hanno impedito di decollare nelle ultime due stagioni e che sono stati tutt’altro che corretti da un mercato da alcuni definito stellare ma che alla resa dei conti ha aggiunto solo un titolare a questa squadra, ma nel reparto in cui stavamo comunque messi meglio, a centrocampo. Lo scorso anno, la difesa della Lazio ha sbandato paurosamente e in più di un’occasione ha vissuto 5-10 minuti di follia tecnico-tattica come quelli di questa sera. Ha preso sonore legnate anche da squadre modeste come il Siena, spesso e volentieri è stata salvata da un Marchetti in versione Superman sul modello di quello visto in Italia-Argentina, ma che non sempre può confezionare miracoli in serie, soprattutto se in quei momenti di follia dall’altra parte ti trovi squadre come la Juventus, con giocatori che ti puniscono al primo errore. Ma follie a parte, è evidente da tempo che qualcosa dietro non va. Dias ha smesso da due anni di essere una sicurezza, Biava è più solido, ma i 70 anni in due si fanno sentire tutti, soprattutto quando la squadra viene presa in velocità e senza Ledesma e Biglia davanti a fare da diga la zona centrale diventa un’autostrada verso Marchetti, come è successo in occasione del gol di Lichtsteiner e di quello di Tevez. E in panchina, ricambi all’altezza di Dias e Biava non se ne vedono, altrimenti sarebbe da considerare un folle Petkovic che ancora li propone come coppia titolare.
In attacco, il difetto è sempre il solito: quando trova squadre chiuse e ben disposte, la Lazio con Klose unica punta fatica. E se non segna Klose, è finita o quasi. Petkovic ha dimostrato di avere rispetto (o paura) della Juventus e ha preferito lasciare il tedesco solo, contando sull’appoggio di Candreva e Lulic in un finto tridente d’attacco che non ha funzionato come nella finale del 26 maggio, perché tra la Roma e la Juventus ci sono almeno tre categorie di differenza, ma anche perché la Roma concedeva, mentre la Juventus ti ha concesso una sola chance con Klose solo davanti a Buffon ma sul 4-0 per loro.
L’altro difetto strutturale e che ha dimostrato quanta differenza ci sia tra la Lazio attuale e la Juventus, è il carattere, perché a parti invertite la Juventus non avrebbe mai mollato, mentre dopo il 2-0 la Lazio ha tirato i remi in barca. Altra grande differenza, la panchina. In certe partite a volte sono i piccoli episodi a fare la differenza, ed è stato così anche stasera. L’infortunio di Marchisio, ad esempio, ha cambiato tutto. Ma non è fortuna se uscito Marchisio entra Paul Pogba che al primo pallone toccato cambia le sorti della partita, sfruttando un rimpallo e battendo Marchetti. Pogba è un predestinato, un Campione con la “C” maiuscola che sta in panchina perché davanti ha gente come Marchisio, Pirlo e Vidal, ovvero metà del centrocampo della Nazionale italiana ed un altro Campione richiesto dalle squadre di mezzo mondo. Dalla panchina della Lazio, raramente esce un giocatore in grado di fare la differenza, di cambiare le sorti di una partita. Se non ci pensano Hernanes e Klose, difficilmente sbuca fuori qualcuno dalla panchina in grado di tirare fuori un coniglio dal cilindro, perché di qualità ce n’è poca. Tanti bravi giocatori, ma nessuno in grado di fare la differenza e tantomeno di far fare un salto di qualità alla squadra.
La cosa importante, ora, è cogliere i segnali chiari di questa serata, correggere finché c’è tempo quello che si può correggere e archiviare in fretta la botta, forse la peggiore dell’era Lotito, escluso quell’umiliante 3-0 rimediato nella Supercoppa contro il Milan il 21 agosto del 2004, ma in quel caso la Lazio era un cantiere a cielo aperto, con il solo Paolo Di Canio alla guida di una banda di ragazzini perché la Lazio non aveva una vera squadra. Ora la squadra c’è, ma non è grande come qualcuno si era illuso che fosse dopo quello splendido successo del 26 maggio e tantomeno più forte dopo un mercato fatto più di figurine che di acquisti veri. Perché è vero che abbiamo vinto la Coppa Italia, ma è altrettanto vero che questa squadra lo scorso anno ha chiuso il campionato al settimo posto in classifica. E mentre per vincere la Coppa Italia è bastato imbroccare 5 partite (perché tante ne abbiamo giocate contro Siena, Catania, Juventus e Roma), in campionato per centrare quel terzo posto inseguito invano da tre anni non basta indovinare cinque partite, bisogna avere continuità per 38 giornate. E la Lazio questa continuità non l’ha mai avuta. E quella, purtroppo, non è sul mercato e non sarà acquistabile entro il 2 settembre. Per tutto il resto c’è tempo, ma non c’è da farsi grosse illusioni, perché tanto non ci sono i soldi…
STEFANO GRECO
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