L’estate del 1990 è una sorta di ANNO ZERO per la Lazio e per il calcio italiano. I Mondiali sono finiti in archivio, la delusione per il mancato trionfo annunciato della Nazionale di Vicini non è ancora stata smaltita, ma nell’ambiente c’è grande entusiasmo. Dopo anni passati in stadi strasformati in cantieri o addirittura come nel caso della Lazio in “esilio” al Flaminio, i Mondiali hanno lasciato in eredità nuovi stadi, capienti e moderni. E in un calcio che ancora non ha scoperto il reale valore del prodotto televisivo e vive solo grazie agli investimenti di presidenti-magnati e soprattutto di incassi al botteghino, poter contare su stadi da 80.000 posti invece che su impianti da 20.000 posti disponibili, significa in alcuni casi poter addirittura quadruplicare il budget a disposizione. E in casa Lazio, l’effetto è immediato. Dopo anni di campagne acquisti fatte con il bilancino, Gianmarco Calleri e Carlo Regalia hanno piazzato un doppio grande colpo: per 10 miliardi di lire, la Lazio acquista dal Werder Brema Karl Heinz Riedle e la squadra viene affidata a Dino Zoff, reduce dal trionfo in Coppa Uefa.
Un centravanti Campione del Mondo da affiancare a Ruben Sosa e un allenatore che è una leggenda a garanzia dell’esistenza di un progetto di crescita annunciato ma che sembrava destinato a restare un sogno dopo la cessione di Paolo Di Canio alla Juventus. Oltre a Riedle, arriva anche un’ala destra (Madonna dall’Atalanta) e un regista (Domini) per completare una squadra che dopo due anni di assestamento sogna di tornare in Europa. E per allenarsi all’Europa, la Lazio vola in ritiro in Svizzera, a Macolin. Nel cantone tedesco, a due passi dal lago di Neuchatel. E il calendario delle sfide pre-campionato è da “grande”: sfida al Werder Brema per l’esordio nel nuovo Stadio Olimpico, amichevole di lusso contro il Milan Campione d’Europa, ma soprattutto invito in Spagna per partecipare a due passi da Gibilterra al torneo “Ciudad de la Linea”: prima sfida con il Cadice ed eventuale finale nientemeno che con il Real Madrid. Roba che non si vedeva in casa Lazio dai tempi di Chinaglia e del primo scudetto. Volo in Spagna al seguito della Lazio con la curiosità del giornalista ma con l’eccitazione del tifoso.
L’11 agosto, la Lazio affronta il Cadice con la formazione tipo: Valerio Fiori in porta, Bergodi e Sergio sulle fasce e Gregucci-Soldà coppia centrale; a centrocampo Pin e Domini si piazzano al centro, con Madonna a destra e Sclosa che si adatta a fare l’esterno sinistro; in attacco, la coppia dei sogni formata da Ruben Sosa e “Kalle” Riedle. E sono fuochi d’artificio. La Lazio vola facilmente sul 2-0 (Ruben Sosa e Pin) contro gli spagnoli, poi a venti minuti dal termine considera chiusa la pratica e inizia a pensare alla finale con il Real Madrid, che nell’altra semifinale ha battuto il Penarol. E in 4’, sfruttando il calo di concentrazione il Cadice pareggia. Zoff in panchina si alza e urla, ma poi ci pensa Soldà su punizione a firmare il 3-2 definitivo. Il 12 agosto del 1990 è domenica, a Cadice fa caldo, ma la sfida con il Real Madrid mette i brividi. John Toshack, ex bandiera del Liverpool Campione d’Europa, è al suo secondo anno da allenatore del Real Madrid e ha il compito di vincere tutto in quella stagione, perché la società gli ha messo a disposizione una squadra stellare: Chendo, Sanchis, Spasic e Tendillo formato il pacchetto difensivo, a centrocampo ci sono Michel, Gordillo, Luis Milla e George Hagi, con Emilio Butragueno e Hugo Sanchez a formare la coppia d’attacco. Con due nazionali come Hierro, Paco Lorente, Esnajder e Urzaiz in panchina. Una corrazzata, troppa roba per una Lazio alla terza stagione di Serie A e che solo 4 estati prima stava per scomparire dalla mappa del calcio italiano, tra lo spettro del fallimento e quello della retrocessione a tavolino in Serie C.
Qualcuno, scherzando, entra allo stadio con un pallottoliere, ma il calcio è materia imperscrutabile, a volte un mistero anche per chi vive da una vita in quel mondo folle. E la follia del calcio si materializza dopo appena 9 minuti, quando “Kalle” Riedle si fa beffa di tutta la difesa del Real e batte con sicurezza Jaro. Roba da stropicciarsi gli occhi: la piccola Lazio in vantaggio contro il Real Madrid. Pensi “ora questi si arrabbiano e ci asfaltano”, ma non va così. Il Real Madrid attacca, ma Gregucci e Soldà concedono pochissimo a Butragueno e Hugo Sanchez fatica a trovare i tempi giusti per far sfruttare la sua grande elevazione. Alla fine del primo tempo, il punteggio dice Lazio 1 Real Madrid 0. Nella ripresa il Real spinge e quando dopo un’ora di gioco Hugo Sanchez riesce a trovare, il sogno sembra destinato ad andare in frantumi. Zoff toglie Pin che si è sfiancato nel braccare Hagi e inserisce un altro difensore (Lampugnani), la Lazio si arrocca in difesa e riesce a conservare fino al 90’ il prezioso 1-1. Niente supplementari, si va ai calci di rigore, ma in campo i giocatori della Lazio si abbracciano già prima del verdetto finale, perché hanno tenuto testa e in trasferta ad una squadra costruita dal presidentissimo Ramon Mendoza per vincere sia la Liga che la Coppa dei Campioni.
Per primo su dischetto si presenta Ruben Sosa: gol. Lo imitano Hugo Sanchez, Sclosa, Tendillo e Riedle, poi sul dischetto va “El buitre”: lunga rincorsa e pallone che finisce fuori. Fiori esulta, Dino Zoff rimane quasi impassibile a bordo campo, mentre Gianmarco Calleri si mette le mani nei capelli in un mix di incredulità, gioia e terrore perché restano da tirare altri due calci di rigore. Sul dischetto va Raffaele Sergio, sinistro e gol. Michel timbra il cartellino e tutto il peso finisce sulle spalle di Roberto Soldà. Pallone sistemato con cura, rincorsa di cinque passi e gran botta ad occhi chiusi con il pallone che scuote la rete. In campo è il delirio. I giocatori del Real Madrid sono increduli e mentre Toshack da gran signore va a stringere la mano a Dino Zoff, in campo c’è il delirio. Pin alza a fatica un trofeo enorme come il significato di quella vittoria. E’ un torneo estivo, ci mancherebbe altro, ma per i tifosi della Lazio che solo quattro anni prima avevano visto in faccia i fantasmi, quel trofeo assume un significato enorme.
Un caso? No. Una settimana dopo, nell’esordio nel nuovo stadio Olimpico, la Lazio sfiora la vittoria contro il Werder Brema, raggiunta solo nel finale da Neubarth dopo esser stata due volte in vantaggio grazie ai gol di Riedle e Madonna, con in mezzo la rete di Klaus Allofs. Ma la vera notte da sogno è quella che va in scena sabato 25 agosto, quando la Lazio affronta il Milan Campione d’Europa. Zoff contro Sacchi, due filosofie di gioco totalmente diverse. Il Milan è uno schiacciasassi e quando Sergio batte Fiori con il più classico degli autogol dopo appena 10’, la pratica sembra già chiusa, perché pensare di fare un gol ad una difesa con Tassotti e Maldini sulle fasce e Filippo Galli e Nava al centro, sembra impossibile. Ma il 4-3-3 di Sacchi va in tilt: Ancelotti, Evani e Stroppa faticano a centrocampo, mentre Simone, Van Basten e Massaro non riescono a seminare il panico nella difesa della Lazio. A fare disastri, in realtà, sono Ruben Sosa e “Kalle” Riedle, folletti imprendibili per la difesa del Milan. Si scambiano le posizioni, giocano a occhi chiusi scambiandosi la palla come se giocassero insieme da una vita e nel giro di tre minuti vanno a segno tutti e due: prima Ruben Sosa e poi Riedle. All’inizio del secondo tempo, Ruben Sosa firma dal dischetto il 3-1 e la serata nel finale regala un po’ di gloria anche a Giampaolo Saurini, giovane attaccante di Colleferro che con la Primavera ha vinto lo scudetto nel 1987 e poi ha subito un lungo calvario a causa di un infortunio ai legamenti. E’ lui a segnare il gol del definitivo 4-1 e a chiudere un’estate da sogno. La piccola Lazio che nel giro di due settimane “mata” il Real Madrid e il Milan Campione d’Europa e tiene testa a una squadra come il Werder Brema che quell’anno vincerà la Coppa di Germania l’anno successivo la Coppa delle Coppe. Il salto di qualità annunciato dall’acquisto di Riedle e dall’ingaggio di Zoff, sembra dietro l’angolo, ma è un sogno di notti di mezza estate. Da settembre, la squadra comincia a mostrare limiti di tenuta, soprattutto psicologica. Nelle prime 20 giornate di campionato la Lazio perde solo contro Lecce e Napoli in trasferta, ma colleziona qualcosa come 14 pareggi, tanto che il Dino nazionale diventa per tutti Xoff.
Per attendere i successi veri bisognerà aspettare sette stagioni, con Zoff passato dalla panchina al vertice della società e con Cragnotti al posto di Calleri. Ma quella del 1990 resterà comunque un’estate indimenticabile: non tanto per quel trofeo alzato in faccia al Real Madrid o per quel successo contro il Milan Campione d’Europa, quanto perché ha dato a tutti i tifosi laziali la consapevolezza che il vento era girato e che bisognava solo aver la pazienza di aspettare la folata giusta per veder gonfiare le vele e iniziare il viaggio verso mete solo sognate ma che da lì a poco sarebbero diventate realtà. L’arrivo di Gascoigne, Doll e Winter, poi quello di Signori, Boksic e Casiraghi, i campioni costruiti in casa come Nesta o quelli presi giovanissimi come Negro, Favalli e Nedved, fino ad arrivare i fuochi d’artificio di fine anni novanta e a quella serie infinita di successi. Nell’estate del 1990 è cambiato il calcio italiano, è iniziato il calcio moderno dei grandi stadi e dei grandi investimenti, quello che in quel decennio ha portato il calcio italiano a conquistare sette edizioni di Coppa Uefa su dieci, a disputare 9 finali di Coppa dei Campioni (4 vinte) e tre Coppe delle Coppe. Il periodo in cui il Parma ha alzato al cielo 4 trofei europei e che ha portato ognuna delle “sette sorelle” (Milan, Inter, Juventus, Lazio, Roma, Parma e Fiorentina) a giocare almeno una finale europea! Con Roma e Fiorentina uniche a non aver vinto nulla, sconfitte sempre in finali “fratricide” contro Inter e Juventus. Vedendo come è ridotto oggi il calcio italiano, quei tempi sono lontani anni luce, ma restano impressi nella memoria perché sono diventati storia.
STEFANO GRECO – MILLENOVECENTO
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