Sfoglio la rassegna stampa e questa mattina, ovunque, si parla solo ed esclusivamente di Roma. In passato, i titoloni a nove colonne sparati su tutti i giornali, sportivi e non, solo sulla Roma con la Lazio relegata a fondo pagina avrebbero fatto “incazzare” e non poco il tifoso laziale. Oggi, invece, l’attenzione mediatica che ha portato addirittura il TG1 a mettere il caso Roma-Venditti tra i titoli di testa del telegiornale della sera, al fianco dello scandalo Usa sulle intercettazioni o della crisi economica, è fonte di goduria, di immensa goduria. Paragonabile solo a quella provata a caldo nel vedere Mauri alzare al cielo di Roma quella Coppa Italia fonte di ogni male.
Venditti che (per provocazione o no, ma la bomba l’ha tirata) chiede alla Roma di togliere il suo inno, Amendola che rincarando la dose dopo l’annuncio delle sue “dimissioni da tifoso”comunica che per la prima volta non farà l’abbonamento, poi tutta la sfilza delle penne celebri giallorosse che scendono in campo per sviscerare il problema, per tentare di circoscrivere l’incendio che rischia di trasformare Trigoria e la Roma giallorossa in un qualcosa di simile all’Arizona devastata dal più grande incendio della storia, dalla tempesta di fuoco perfetta che ha messo in ginocchio uno stato grande quasi quanto l’Italia, isole comprese. E lo dimostra anche l’editoriale di oggi di Giancarlo Dotto. Sì, proprio quello che qualche settimana fa per“provocazione” aveva scritto che non esistevamo e che quella “coppetta” non poteva certo cambiare la storia o gli equilibri in questa città.
“Vogliamo dirla tutta? Siamo più che preoccupati…. Ci si mette anche l’amico Venditti che vuole sfilarci l’inno e cioè la meravigliosa pompa cardiaca che fa dell’Olimpico una mongolfiera.Tanta depressione non si registrava nemmeno quando a Trigoria il rischio immanente era quello del tribunale fallimentare…. Qualcosa di vero bussa nell’angoscia del tifoso”.
Roma brucia, nonostante i tentativi di arginare l’incendio, nonostante gli inviti a non fuggire davanti alle fiamme, anzi, a trasformare quel calore in energia per andare avanti, come tenta disperatamente di fare sempre Giancarlo Dotto nella chiosa finale del suo editoriale con un accorato appello.
“Appello finale. Oltre la legittima angoscia di questi giorni. La Roma e la romanità non vanno cercate negli anfratti di Trigoria o di Boston, vanno trovate sempre dentro di noi. Da qualche tempo la classe media del tifo romanista è traslocata dalla foresta buia e meravigliosa del tifo uguale fede alle foresterie pedanti del tifo che spulcia, cavilla, giudica. Un branco di cavillatori esperti di tattica, di economia, di marketing, di calcio mercato, di tutto. I tifosi inglesi sono i più sentimentali al mondo. Sono i migliori. Da Liverpool alle due sponde di Manchester, dal Chelsea all’Arsenal, il Cardiff e l’Aston Villa, il Fulham e il Sunderland, tanti altri, sono stati invasi da americani, russi, arabi, svizzeri, malesi, ma non si sono mai dimessi da tifosi. La fede è fede”.
Qualcuno, forse, si chiederà dove voglio arrivare parlando di Roma, di questo incendio e del fiume d’inchiostro usato oggi per parlare del caso-Roma. Arrivo al punto. Quello che sta succedendo oggi, la discesa in campo di tutti i Vip giallorossi e di tutte le penne celebri romaniste, quelle che fanno finta di essere indipendenti ma che scrivono sempre con la scarpetta al collo, mi ha fatto riflettere. Anzi, mi ha fatto tornare a febbraio del 2010, a quel dopo Lazio-Catania che portò alla cacciata di Ballardini e al primo timido tentativo di critica da parte della stampa romana laziale nei confronti di chi dirige questa società. Il punto è proprio questo, fu un solo giornale a trascinare i Vip sul banco degli accusatori di Lotito per cavalcare l’onda popolare di protesta e solo perché la B era dietro l’angolo. E giusto il tempo di cavalcare l’onda, appunto. Qui sono i Vip, antipatici o no ma profondamente e visceralmente tifosi, ad alimentare con le loro dichiarazioni le fiamme di un incendio che si protrae da settimane, appiccato da Lulic con quel gol già entrato nella storia. Questo perché le sorti della Roma e il malumore dei suoi tifosi sono un qualcosa d’importante per chi fa comunicazione in questa città. Questo perché qualunque cosa succeda dall’altra parte del Tevere diventa importante, degna di nove colonne. Vale per l’arrivo di un allenatore o di un giocatore che solo per il fatto di esser diventato giallorosso diventa uno “special one” o un “top player”, vale per il fatto di trasformare in oro anche il piombo come nel caso degli americani, ma vale soprattutto per la storia del finto sceicco, emblema di come si possano manipolare le menti della gente partendo dal nulla, anzi, da meno del nulla. Un finto sceicco è stato dipinto come qualcuno che si poteva comprare tutta la Serie A. E di quel personaggio e di quella vicenda ne hanno parlato tutti: fiumi d’inchiostro, servizi nei TG e dirette SKY da Trigoria per parlare del nulla, nonostante le regole della Borsa e le forche caudine dei regolamenti della Consob. Di un vero imprenditore arabo vero, con un patrimonio reale e facilmente accertabile, accostato alla Lazio, ne ha parlato per un paio di giorni Giulio Cardone di “La Repubblica”. Punto. Gli altri, se ne hanno parlato, lo hanno fatto solo per dar conto della reazione veemente di Lotito all’uscita dell’indiscrezione, dando addirittura spazio alle parole di De Martino, che non aveva proprio ruolo per giudicare o commentare. Nessuno che ha indagato, nessuno che ha spedito un giornalista a Ryad, nessuno che ha provato neanche ad alzare il telefono per chiedere un commento al diretto interessato o che si sia chiesto come mai, al contrario di quello che era successo in passato, né l’imprenditore né la sua società (chiamati direttamente in causa) avevano smentito l’indiscrezione. Nulla. Per il semplice motivo che a chi fa informazione la Lazio non interessa e ancora meno gli interessa che cosa pensano, vogliono o sognano i tifosi.
Per anni è stata messa quasi a tacere la protesta. E’ stato dato spazio mediatico all’arresto e al rinvio a giudizio di chi protestava, ma nessuno ha poi seguito l’andamento dei processi e ha raccontato che in alcuni casi le minacce alla vittima non arrivavano dai tifosi, ma dall’interno stesso della sua famiglia. Nessuno ha mai chiesto conto a Lotito delle tante promesse fatte e non mantenute, delle incongruenze tra le sue prediche e i suoi comportamenti reali. Nessuno, ad esempio, chiede a Lotito come mai parli di stadio dal 2005 e agli atti non risulti neanche un progetto o una richiesta ufficiale per costruire questo stadio da qualche parte. NULLA!
E il motivo è molto semplice: PER LORO NON ESISTIAMO. Proprio come scriveva Dotto. O meglio, esistiamo se vinciamo oppure se stiamo per precipitare, solo se c’è un’onda da cavalcare, troppo grande per essere ignorata. Perché il vero obiettivo è farci restare in una sorta di limbo, fregandosene se non siamo né carne né pesce, oppure se da anni stiamo ad un passo dal fare il salto di qualità ma non riusciamo a spiccare il volo. E non per colpa nostra. Quindi, è giusto godere, è sacrosanto ritagliare e conservare gelosamente prime pagine come quella de “Il Corriere dello Sport” di oggi da mettere insieme a quello del dopo Roma-Liverpoll, Roma-Lecce, Roma-Sampdoria o Roma-Lazio del 26 gennaio. Ma è anche giusto “incazzarsi” constatando per l’ennesima volta che a chi fa comunicazione a Roma non interessano le sorti della Lazio e, tantomeno, il disagio di una tifoseria che da anni vive quasi sotto dittatura.
STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO
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