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Signori: “Se non era per Eriksson sarei rimasto alla Lazio per tutta la carriera”
Giuseppe Signori torna a parlare del suo trascorso alla Lazio ai microfoni di ElleRadio nella trasmissione “I laziali sono qua”
“Il mio primo giorno di Lazio è stato abbastanza traumatico. Ho perso il raduno. Dovevo fare le visite, ma non ho trovato Tor di Quinto. Al tempo non c’erano navigatori e mi sono perso insieme a mio padre per le strade di Roma. Alla fine abbiamo chiamato un taxi. Io arrivavo da Foggia, per sostituire un idolo del tifo laziale come Ruben Sosa. C’era curiosità, ma anche scetticismo”. Scetticismo scacciato via in meno di 90 minuti, la doppietta in quel di Marassi ancora accende i cuori dei tifosi laziali. “Sono partito forte e questo sicuramente ha aiutato me così come la squadra a ottenere risultati importanti. Siamo tornati in Europa, dopo tanti anni. Stava nascendo una nuova Lazio, con l’avvento di nuovi campioni, ma soprattutto di un nuovo presidente”. Una figura, quella del presidente Cragnotti, che ha rappresentato quasi un padre per Signori, come ammette lo stesso attaccante. “L’ho visto giovedì scorso. Passava qui a Bologna e io, nel mio ristorante ho il suo vino, così ci siamo incontrati. E’ sempre stato un rapporto padre – figlio. A prescindere dalla parentesi della possibile cessione al Parma, c’è sempre stato un rapporto di reciproco rispetto. Il fatto che ancora oggi ci vediamo e andiamo a pranzo o a cena insieme conferma quanto di positivo io possa pensare di una persona che, come presidente, non mi ha mai fatto mancare niente. Quando vinci la classifica cannonieri per due volte consecutive ti aspetti un adeguamento di contratto. Lui è stato l’unico presidente che se tu gli chiedevi un euro, lui te ne proponeva due”.
AMICI E NEMICI – Cinque stagioni in biancoceleste, un’avventura che ha intrecciato i fili con molti campioni che all’epoca giocavano nella Lazio a quei tempi. Uno su tutti Paul “Gazza” Gascoigne, ma non solo. “Ho il ricordo indelebile di una persona disponibile, eccezionale, ma con un carattere, al di fuori del campo, troppo fragile. Lui con la sua semplicità e anche con le giocate in campo riusciva a venir fuori dalle situazioni più difficili. E’ ovvio che questa dell’alcolismo per lui è una battaglia più complicata. L’ultima volta che l’ho visto fu in occasione di un’amichevole a Malta tra Italia e Inghilterra, prima dei Mondiali del ’94. Mi sembrava stesse abbastanza bene, rincuorato e pensavo che avesse superato questa grossissima difficoltà. Purtroppo oggi leggo che continua a ricadere nello stesso errore. Chi mi ha impressionato di più? Sembra un paradosso, ma il più forte tecnicamente per me era Giovanni Stroppa. Eppure non ha avuto la carriera che meritava, probabilmente perché, nonostante avesse una tecnica fuori dal comune, mentalmente non è riuscito a fare il salto di qualità. Poi non ho mai visto nessuno saltare come Riedle. Nonostante non avesse un’altezza straordinaria, riusciva a restare in aria quel secondo in più rispetto al difensore che gli permetteva di rubargli il tempo e fare gol. Poi c’è Boksic. Reputo Alen uno dei talenti più forti mai esistiti. Aveva una forza esplosiva associata a una tecnica che lo rendeva devastante. Gli mancava solo essere un po’ più concreto sotto porta”. Dai compagni agli avversari. “Non è per sminuire quelli che ci sono oggi, ma c’erano difensori veri. Si parte da Baresi, Maldini, Costacurta, Galli e Tassotti e questi sono solo quelli del Milan. C’era un giocatore che ho sofferto molto, a prescindere che fosse della Roma. Parlo di Aldair, grande campione sia in campo che fuori. Ci sono quei giocatori che soffri particolarmente, magari per come ti marcano, perché hanno i tuoi stessi tempi. Lui è un giocatore che in due derby non me l’ha mai fatta vedere, questo non lo nascondo”. Un solo grande rammarico nella carriera di Signori, il rapporto non idilliaco con Eriksson, l’allenatore del secondo scudetto laziale. “Avrei preferito che andasse diversamente il rapporto con Eriksson. E’ stato quello che mi ha fatto prendere una decisione importante per la mia carriera, ma che non avrei mai voluto fare. Io mi sarei visto a vita laziale. Il problema non era se giocassi o meno, era una questione umana. Essere trattato “come uno della Primavera” dopo quello che avevo fatto mi sembrava eccessivo. Ogni allenatore ha le sue idee ed è pagato per fare delle scelte, ma queste non devono prescindere il rispetto per la persona”. 127 reti, ma una in particolare è rimasta impressa nella memoria dell’ex bomber laziale. “Quello in Lazio-Inter 3-1 del ’92. E’ il classico gol che tutti sognano. Riuscire a dribblare tutti e poi far gol. E’ il più bello perché dentro c’è tutto. C’è forza, convinzione, tecnica… è completo”.
Lalaziosiamonoi
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