Sguardo al passato attraverso i loghi storici
In osservanza della severa legge dell’adeguarsi per non invecchiare, la nostra veste grafica si è rinnovata. L’ha fatto nel pieno rispetto della tradizione e di uno dei simboli che ha contraddistinto la Lazialità nel tempo e nei campionati: un’aquila in volo, i tifosi, dodicesimo uomo in campo, e il biancoceleste. Nell’arco dei suoi 118 anni, la società tiberina ha cambiato 18 volte logo e, nel farlo, ha un po’ raccontato tratti di storia e di appartenenza a un’ideale, più che a una semplice squadra di calcio.
Vediamone qualcuno.
Il primo stemma fu rappresentativo soltanto nei colori: sfondo celeste, barra diagonale e nient’altro. I colori, rappresentativi della Grecia patria delle Olimpiadi, resteranno quelli per il resto della storia laziale, a differenza di molte squadre che li cambieranno per motivi pratici e a volte politici.
Negli anni successivi, tra le prime due decadi del secolo ventesimo, si alterneranno un’improbabile scritta minimale ad un parziale ritorno a quello originale. Solo nel 1935, però, si assiste alla forte presa di coscienza e di consapevolezza nei confronti dell’appartenenza ad un contesto, a una storia e ad una città: negli anni in cui il governo fascista propose l’accorpamento di molte squadre col tentativo di bilanciare lo strapotere sportivo settentrionale, la Lazio schierò il fascio littorio e la fiera l’aquila imperiale, simbolo romano per eccellenza che allude sia alla volontà di potenza che alla fiera indipendenza morale ed esistenziale. Non c’era spazio per accorpamenti di alcun tipo, le aquile non volano in stormi.
Caduta del regime Fascista
Caduto il regime mussoliniano, sparirono i fasci littori e i richiami delle varie polisportive e squadre italiane a tutto ciò che riguardasse il passato prossimo (concedetecelo, al limite della damnatio memoriae). La Lazio adotta le bande verticali e lascia l’aquila lì dov’era, cambiando successivamente soltanto i caratteri delle scritte e le dimensioni dei colori. Negli anni 60, precisamente nel 1963, si decise per l’adozione di un’altra, storica figura che racconta una Roma che non c’è più: una donna che porta indosso un fascio di erbe. Quelle come lei, erbivendole o lavandaie, erano chiamate minenti, donne di forte tempra e del tutto lontane sociologicamente dalle ciociare, con le quali furono volgarmente confuse dai seguaci dell’altra sponda (tema trattato anche qui, sul nostro spazio virtuale).
Nel 1979 la prima operazione di marketing: un’aquila blu e nient’altro, registrata all’Ufficio brevetti e realizzata dalla romana Pouchain. Negli anni 80, invece, il ritorno dei caratteri minimali, ma stavolta accompagnati da un’aquila stilizzata sovrastante (logo ripreso, tra l’altro, anche l’anno scorso in occasione di un piacevolissimo revival). È solo nel ’93 che prende forma il logo che conosciamo noi oggi: sempre un’aquila, stavolta gialla, che sorregge con gli artigli lo stendardo biancoceleste griffato “S.S.Lazio”.
Se le fonti iconografiche sono da sempre fondamentali per capire e leggere la storia, non possiamo esimerci dal conoscerle e gli scudi laziali, eccezion fatta per qualche stravagante idea figurativa, ci raccontano davvero tanto.
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