Molti tifosi biancocelesti se lo ricorderanno ancora. Una statua con le mani poggiate sul petto a mimare un’aquila – quella del Kosovo -, sfidando la Curva Nord. È il gol dell’1-1 di Lazio – Salisburgo. Un rigore perfetto che coincide con l’unica realizzazione di Valon Berisha allo Stadio Olimpico, ironia della sorte. Il 4-2 sul tabellino finale non cambia le cose: quel ragazzo con la maglia numero 14 è il migliore in campo dei suoi. Colpisce per tecnica, qualità nello stretto, doti atletiche non indifferenti. Berisha corre, è uno squalo, sente l’odore del sangue e morde alle caviglie dei biancocelesti come un mastino. Fa paura e pure centro, al cuore del ds Tare. Che forse si convince definitivamente alla gara di ritorno, chissà perché, quando il kosovaro non segna ma trascina i suoi fino alla semifinale di Europa League. Quei 4 gol di Salisburgo, qua a Roma, fanno ancora male. Un salto avanti nel tempo, al 3 luglio successivo. Berisha sbarca a Fiumicino con qualcosa da farsi perdonare e compiendo la rotta inversa rispetto agli 8 milioni spesi per acquistarlo. I presupposti sono buoni, ad Auronzo 2018 si mostra subito in gran forma. Valon è carico, forse troppo. Il muscolo fa “crock”. Ci si rivede a fine settembre.
OLTRE ALLE GAMBE C’È DI PIÙ?– Quattordici presenze. Un solo guizzo, quando con il suo ingresso a Parma si guadagna il rigore della vittoria. Poi il buio, dentro e fuori. Valon è l’ombra di sé stesso, il fantasma di Salisburgo. Qualcosa non va. I continui infortuni, per cui salterà praticamente tutta la stagione, fanno più male alla testa che alle gambe. Tutto è reso più evidente dalla differenza di approccio con cui Berisha affronta gli impegni con la Lazio e in nazionale. Il kosovaro è un professionista esemplare, è giusto intendersi, ma a Roma non è facile emergere. Quella di Inzaghi è una squadra rodata, la concorrenza è alta. E sentirsi più in gabbia che in panchina è facile e demoralizzante. Specie quando i problemi impediscono a un calciatore di esprimersi al massimo delle sue potenzialità. Con il Kosovo è un’altra storia. Nazione piccola, “nuova”, e di conseguenza nazionale più tignosa che qualitativa. La stella in campo è proprio il laziale, che pare sentirsi maggiormente a suo agio in un gruppo a sua immagine e somiglianza. Libero di esprimersi, lontano dalla Capitale, Valon sembra tornare quello di Salisburgo. È un trascinatore, per qualità e intensità agonistica. Il grande sentimento patriottico fa tutto il resto e lo trasforma. Se i kosovari vincono il proprio girone di Nations League è anche grazie a quel Berisha che alla Lazio fa tanta fatica ad emergere.
IL SUO RUOLO – Ora Valon sta bene. Si è ripreso dall’infortunio al ginocchio che l’ha costretto sotto i ferri lo scorso aprile. Torna a disposizione nel ritiro di Marienfeld, si fa notare. Ma, per non bruciare i tempi, Inzaghi ancora non lo rischia. Berisha allora rientra in campo il 7 settembre, di nuovo grazie al Kosovo. E in quei trentanove minuti più recupero contro la Repubblica Ceca sembra che sia esplosa una supernova. Il 14 vince la partita (quasi) da solo, scatenando il panico in mezzo al campo e impressionando per fame e voglia di rivalsa. Assist vittoria in casa, mica male, ma non è finita qui. Tre giorni più tardi la doppietta all’Inghilterra lo consacra nuovamente: “Berisha è tornato”. Facile a dirsi in patria, a Roma le cose non girano ancora. Tra le due versioni del kosovaro, però, non c’è solo un’incongruenza mentale. Ma anche di ruolo. In nazionale Valon – da buon punto di riferimento tecnico – è lasciato libero di spaziare, tagliare al centro del campo o correre sull’esterno. E nelle due sfide di qualificazione a Euro 2020 Berisha offre delle prestazioni monstre partendo largo in un 4-2-3-1. Alla Lazio, contro Cluj e Rennes in Europa League, gioca invece da mezzala e viene forse un po’ strozzato dal quinto di sinistra. L’intesa con Jony in Romania (almeno nel primo tempo) per certi versi funziona proprio perché lo spagnolo resta spesso bloccato, permettendo quindi a Berisha di orbitargli attorno e di allargarsi sulla fascia. Ma del ragazzo visto in nazionale, in realtà, c’è sempre e solo l’ombra.
PIÙ TEMPO – Il poco spazio trovato nel centrocampo a 5 di Inzaghi potrebbe dunque fungere da nuova chiave di lettura. Berisha non ha mai realmente avuto la possibilità di adattarsi al sistema di gioco, sia in allenamento che in partita. I problemi fisici glielo hanno impedito. Serve tempo, pazienza. La seconda pausa stagionale riporterà Valon in terra natia. C’è una clamorosa qualificazione da andarsi a prendere e nuovo vigore, fisico e mentale, da ritrovare. Berisha ha grande voglia. Lo mostra con un post su Instagram pubblicato a poche ore di distanza dal match contro il Bologna. La sua testa è già proiettata all’amichevole contro il Gibilterra, buona per il rodaggio, e all’importante sfida contro il Montenegro per tenere vive le chance di partecipare a Euro 2020. Potrebbe essere l’ultimo step utile. Al suo ritorno a Roma c’è la Lazio che lo aspetta e che ha bisogno di un Berisha in versione nazionale. La zona Champions corre, serve un mastino per riprenderla. Magari con un gol, sotto quella Curva sfidata tempo fa e dalla quale adesso Valon desidera essere acclamato. Le mani al petto, il simbolo dell’aquila: questa volta per mimare quella della Lazio. Deve andare così.
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