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Tutte le belle storie arrivano ad un punto finale. E quella dell’avventura di Maurizio Sarri sulla panchina della Lazio è una di queste. Tre anni, quasi, di gestione dell’allenatore toscano tra alti e bassi, tra sogni di un calcio spettacolare mai realizzatosi e difficoltà di panchine sempre corte, tra imprese calcistiche degne di nota a clamorosi flop. Come quello di quest’anno, a seguito del secondo posto incredibile conquistato nella scorsa stagione, 2022-2023. All’inizio della stagione in corso infatti le previsioni e le aspettative sulla compagine biancoceleste erano ben diverse, ad esempio le quote per le scommesse sulla Serie A non consideravano certamente la formazione di Sarri tra le favorite per lo Scudetto, ma la indicavano come una delle compagini in corsa per il quarto posto o le posizioni che valgono l’accesso all’Europa League. E invece tutto è andato male con un mercato insufficiente o quasi, diversi problemi tattici e una rosa che ha snaturato l’essenza di Sarri e lo ha costretto a troppi compromessi.

Il primo anno

Il 9 giugno 2021 Maurizio Sarri assume ufficialmente le redini della squadra biancoceleste, raccogliendo l’eredità di Simone Inzaghi, che aveva fatto benissimo sulla sua panchina. Ma il lavoro non era semplice soprattutto perché i dettami tattici del toscano sono ben diversi da quelli del suo predecessore. E infatti nel primo anno sono venute fuori tutte le falle dell’atipico 4-1-4-1 di Sarri, soprattutto in fase difensiva. Se infatti davanti Immobile segnava con continuità, Luis Alberto era libero di svariare sul fronte d’attacco e Milinkovic-Savic era l’anima della squadra, dietro la difesa ballava tremendamente. Alla fine del campionato erano 58 i gol subiti. Tantissimi. Ma comunque con 77 gol fatti, il secondo attacco del campionato. E comunque con un quinto posto che ha portato i biancocelesti in Europa League.

Il secondo anno

Ma il primo anno sembrava solo di rodaggio. E infatti la stagione successiva è stata un vero e proprio successo, grazie anche a qualche correttivo tattico e l’arrivo di qualche giocatore adatto al suo calcio, come Casale e Romagnoli, ad esempio, bravi tanto a impostare il gioco quanto a dirigere la difesa con scalate e coperture. Tatticamente Sarri ha rinunciato al pressing alto in favore di una squadra più corta e con una fase di non possesso più efficace. La difesa ha fatto la differenza, insomma, come dimostrano anche le vittorie contro Juventus e Napoli in trasferta, con una gara fatta praticamente nei propri 30 metri di campo, le soluzioni di Sarri portavano i loro frutti. E se la sguarda era corta, giocava in velocità ed era equilibrata, ne risentiva positivamente anche l’attacco con Luis Alberto, che partiva spesso dalla panchina, spesso in rete, Immobile rinato, Zaccagni imprescindibile e ovviamente Milinkovic-Savic che dettava la regia della squadra. Alla fine è arrivato un incredibile e bellissimo secondo posto in campionato con soli 30 gol subiti e 60 fatti.

Il terzo anno

Ma come dicevamo le storie hanno tutte una fine. E quella di Sarri è arrivata il 13 marzo, due giorni dopo la gara persa contro l’Udinese. Perché le incomprensioni sul mercato, già difficile per l’addio di Milinkovic-Savic senza essere stati in grado di investire su un suo degno sostituto, il rendimento sotto tono di chi aveva fatto bene qualche mese prima, gli impegni di Champions più impegnativi e con una panchina più corta sono problemi che si sommano pericolosamente. In più mettiamoci anche la fase calante di Ciro Immobile e la stanchezza di tanti giocatori dopo tre anni con Sarri, senza stimoli. Una situazione che inevitabilmente sarebbe esplosa da un momento all’altro. E così è stato. Come si dice, è sempre l’allenatore che paga per tutti. Questa volta però non tutte le colpe sono state dell’allenatore e per i tifosi della Lazio servirà attendere ancora un altro anno per provare a ritrovare le emozioni che Maurizio Sarri ha dato alla curva Nord dell’Olimpico.



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