Calciomercato Lazio
Sudamerica e giocatori in multiproprietà: il nuovo business dei furbetti del calcio….
“Le vie del mercato sono infinite”. L’abbiamo sentita ripetere migliaia di volte questa frase, usata per spiegare che in tempi di mercato può succedere di tutto, ma anche che il mercato è talmente globale che non si sa mai dove ti può portare per pescare un futuro campione. Ultimamente, però, per alcune società le vie del mercato portano sempre se non esclusivamente in Sudamerica e non solo per il talento dei calciatori brasiliani, argentini o uruguagi. In quella zona, infatti, si è concentrato l’interesse di alcuni investitori dell’Est o dell’Asia, che attraverso alcuni fondi con sede nei paradisi fiscali di tutto il mondo, acquistano parte del cartellino dei calciatori più promettenti del calcio sudamericano. I giocatori, quindi, diventano una sorta di “multiproprietà”, con frazionamenti che a volte rendono complicate le trattative ma che soprattutto impediscono di sapere alla fine dove finiscono i soldi spesi da chi compra. Un sistema che ha fatto scattare indagini anche da parte di chi lotta contro l’evasione fiscale ma anche della FIFA e soprattutto dall’Uefa, investita da casi e da ricorsi da parte di club e tesserati.
“Questa storia dei giocatori in multiproprietà, con i cartellini in mano non ai club ma ad agenti, società non calcistiche e fondi di investimento, è una minaccia crescente. Monitoreremo il problema perché così non si può più andare avanti e l’Uefa potrebbe arrivare a negare l’iscrizione alla Champions League ai giocatori il cui cartellino non sia di proprietà esclusiva del club di appartenenza o di quello di provenienza”.
Parole del segretario generale dell’Uefa, Gianni Infantino, intervenuto in merito al caso-Tevez, ovvero di uno dei primi giocatori solo in parte di proprietà del club per cui è tesserato, perché fin dal 2003 più della metà del cartellino dell’Apache è di proprietà di una società con soci russi, arabi e sudamericani che per anni ha “affittato” il calciatore a cifre pazzesche, con soldi finiti fuori dal mondo del calcio e chissà in quali tasche. Le “multiproprietà” dei cartellini dei giocatori, sono l’ultima frontiera del business nel mondo del calcio, ma anche di un’evasione fiscale che non è solo una piaga italiana, ma mondiale. Giocatori sconosciuti o quasi pagati anche cinque, dieci volte il loro reale valore, ragazzi di 16 anni acquistati per cifre da capogiro e inseriti nelle formazioni giovanili per poi uscire di scena dopo qualche anno, con i tifosi a domandarsi che fine hanno fatto quei calciatori strapagati. Nel mirino, sono finite soprattutto le operazioni con il Sudamerica, un mercato molto fiorente per chi vuole fare un certo tipo di “affari”, un mercato che è diventato per alcuni club italiani una sorta di pesca miracolosa. Ma certe operazioni ripetute da parte di alcune società, hanno fatto drizzare le antenne all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza. Così, dopo l’inizio di una trattativa tra Agenzia delle Entrate e Lega Calcio per fare chiarezza sul pagamento dell’Iva del 21% nelle operazioni di prestito o di comproprietà dei giocatori (finora quasi totalmente evaso dalle società di calcio) destinati ai settori giovanili, nel mirino sono finite tutte le operazioni con l’estero (soprattutto con il Sudamerica) che consentono la creazione di “fondi neri” con un meccanismo che diventa semplicissimo quando il giocatore è in parte o totalmente di proprietà di una società non calcistica, ovvero del club in cui gioca. Come nel caso di Tevez, anche se l’argentino è solo la punta di questo iceberg, visto che le “multiproprietà” in Sudamerica sono oramai la norma e i “fondi di investimento” sono proprietari o co-proprietari dei cartellini di tutti i giovani talenti, soprattutto brasiliani, argentini e uruguagi.
Ecco, in parole semplici, come si svolgono queste operazioni: la società A è proprietaria del 50% del fortissimo giocatore X (che i procuratori, a volte anche grazie a giornalisti amici e compiacenti, riescono a far dipingere subito come l’erede di Ronaldo o in prospettiva come un mix tra Ronaldinho e Messi); il restante 50% del cartellino è di proprietà della società B. Il ragazzo viene venduto per 20 milioni di euro alla società italiana che chiameremo per comodità Y, di cui è Direttore Sportivo o Presidente il signor Z.
Ecco che cosa succede. Dalle casse della società Y, escono 20 milioni di euro reali, che vanno quasi sempre ad abbattere gli utili (infatti, curiosamente, grazie a queste operazioni fatte vicino alla chiusura del bilancio la società Y a fine anno è sempre in leggera perdita o al massimo in pareggio, con i giornali che esaltano la generosità del signor Z nel ricapitalizzare ogni anno il club o la bravura di Z nel far tornare sempre i conti al centesimo). Di questi 20 milioni di euro, 10 finiscono nelle casse della società A (quasi sempre una società di cui sono proprietari i procuratori) e 10 milioni nelle casse della società B. Essendo la valutazione già “gonfiata” all’origine rispetto al reale valore del giocatore X, il signor Z riceve dalla società B (direttamente o tramite il procuratore del giocatore, che è quasi sempre proprietario o socio della società A ed emette false fatture) una commissione pari al 10% dell’operazione, ovvero in questo caso di 1 milione di euro. Soldi che la società B versa al signor Z su un conto in banca in qualche paradiso fiscale sparso nel mondo. In Svizzera o su qualche isolotto sperduto ai Caraibi. Ma non è finita qui. La società A, i 10 milioni di euro incassati li fa sparire in un amen con una serie di triangolazioni di fatture false con una società di un terzo stato estero. E semmai il fisco di una delle nazioni delle società interessate all’operazione dovesse svegliarsi e decidere di indagare, si va al fallimento pilotato della società A(quella di proprietà del procuratore e dei suoi soci) con spolpamento preventivo di tutti gli asset. A questo giro, poi, vanno aggiunti i soldi che finiscono nelle tasche dei vari intermediari, che di solito incassano un po’ da A, un po’ da B e un po’ da Z…..
Dei 10 milioni versati dalla società italiana che abbiamo chiamato Y ad A, quasi la metà tornano (una volta fatti sparire tramite le triangolazioni di fatture di cui abbiamo parlato in precedenza) in modo occulto nelle casse di Y che così può creare dei “fondi neri” per la società (per pagare stipendi risparmiando sulle tasse) o direttamente in qualche conto del signor. A volte, quando qualcuno tra A e Z non rispetta i patti, quindi assistiamo a feroci litigate tra presidenti e procuratori, che si accusano a vicenda di non aver rispettato gli accordi e si arriva a rotture clamorose,con giocatori portati volutamente a scadenza di contratto dal procuratore (socio o proprietario della società A) per far perdere a Y (e di conseguenza a Z) con la partenza del calciatore a parametro zero una cifra superiore a quella pattuita e non versata o non restituita tramite i giri che abbiamo descritto sopra.
Certo, con nomi e cognomi sarebbe più facile spiegare tutto, visto che di esempi di queste operazioni ce ne sarebbero da fare tanti, ma anche così il quadro è abbastanza chiaro. Ma anche ora che Uefa e Fifa hanno aperto gli occhi e che anche l’Agenzia delle Entrate ha drizzato le antenne su queste mega-operazioni, i “furbetti” del calcio italiano e sudamericano continuano a operare impunemente. Fanno solo molta più attenzione o si sono inventati nuovi trucchi per continuare a fare soldi facili alle spalle dei tifosi ai quali propinano “bidoni” o comunque giocatori o ragazzini messi a bilancio a cifre che a volte arrivano anche ad essere cinque-dieci volte il loro reale valore di mercato e poi finiscono nel dimenticatoio. Oppure esplodono, consentendo a presidenti e procuratori di fare il business del business.
A proposito di giovani stelle cadenti, il povero Gonzalo Barreto, descritto (e pagato) come un campione nel 2009 dalla Lazio quando è sbarcato a Roma a 16 anni (in prestito per circa 1 milione e poi riscattato a 1,781 milioni di euro), quest’anno è stato fermo per tutta la stagione, confinato insieme a Zarate e altri nel gruppetto dei “fuori rosa”. Ora, dopo un anno di stop e ad un anno dalla scadenza del contratto (30 giugno 2014), la Lazio sta provando a cederlo per incassare qualcosa dei quasi 3 milioni di euro “investiti” tra il 2009 e il 2010. La Lazio di sicuro non ha fatto un affare a prenderlo, ma qualcun altro sì…
STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO
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