Storia S.S. Lazio
Tommaso Maestrelli, semplicemente “il maestro”
Ottobre del 1922. Mentre Benito Mussolini sta definendo gli ultimi dettagli della “Marcia su Roma” e si appresta a prendere in mano il paese, a Pisa, in una famiglia come tante, nasce un bambino destinato a fare grandi cose nella Capitale. Non come politico, ma come sportivo: da calciatore prima sulla sponda giallorossa e soprattutto da allenatore su quella biancoceleste. Il 7 ottobre del 1922, infatti, nasce Tommaso Maestrelli. Che per noi è sempre stato e resterà per sempre solo e semplicemente “il Maestro”. Con la “M”rigorosamente maiuscola!
Se penso a Tommaso Maestrelli, mi tornano in mente come flash mille immagini. Il suo sorriso, le camminate sull’erba del Maestrelli in compagnia dei suoi ragazzi, le partitelle in famiglia arbitrate cercando di non scontentare nessuno e soprattutto Chinaglia, l’ingresso in campo all’Olimpico prima delle partite in compagnia di Massimo e Maurizio, i suoi due gemelli con cui ho diviso serate spensierate in gioventù a casa di quel grandissimo laziale che rispondeva al nome di Sandro Petrucci. Ma ricordo soprattutto il suo sguardo, a volte perso nel vuoto, la sua bontà infinita, l’amore che lo circonda. Ricordo soprattutto la folla immensa ai suoi funerali e quella processione ininterrotta al campo di Tor di Quinto dopo la sua morte, quando in una sorta di pellegrinaggio silenzioso i tifosi si recavano in quell’angolo dove è sistemato quel busto di bronzo con il suo volto: chi con un fiore, chi tenendo per mano un bambino, chi solo per dire una preghiera o semplicemente per raccogliere le idee. Quando passo a Tor di Quinto, anche se del vecchio centro sportivo non è rimasto praticamente nulla, la testa si gira sempre per scorgere quel busto, per incrociare quel volto, per rivolgere un pensiero e un omaggio a quello che considero il più grande personaggio della storia della Lazio. Perché, come ho già scritto in altre occasioni, le vittorie sono importanti, ma non sono solo quelle a farti entrare nel cuore dei tifosi laziali. Grazie a Sandro Petrucci, io ho avuto la fortuna di conoscerlo Tommaso Maestrelli, anche se non come avrei voluto, perché se ne è andato troppo presto. Ma sono riuscito a conoscerlo quanto basta per dire di non aver mai incontrato in vita mia una persona così onesta e leale nel mondo del calcio. E di questo, Massimo ne deve essere per sempre orgoglioso, come lo era Maurizio, volato anche lui via troppo presto.
Oltre che un grande uomo, però, Tommaso Maestrelli era un grande allenatore e uno straordinario psicologo. Solo uno come lui, infatti, avrebbe potuto gestire quel gruppo di pazzi: mediando, usando quasi sempre la carota ma quando serviva anche il bastone. Ma con garbo. In molti dall’esterno hanno avuto a volte la sensazione o quasi la certezza che in realtà era Giorgio Chinaglia a comandare all’interno della squadra, a decidere anche chi doveva giocare e chi doveva restare fuori. A dire il vero, da spettatore esterno ne ero convinto anche io, poi un giorno Sandro Petrucci, per farmi capire chi era in realtà Tommaso Maestrelli, mi raccontò un paio di episodi.
Nella stagione dello scudetto, alla tredicesima giornata di campionato la Lazio perde 1-0 in casa contro il Torino e anche Re Cecconi, che si infortuna ad un ginocchio. Senza “Cecco”, in sette partite la Lazio raccoglie 5 vittorie, un pareggio e una sola sconfitta, a Genova con la Sampdoria. Prima in classifica e con Chinaglia reduce da 8 gol segnati in 7 partite, la Lazio ritrova Re Cecconi nella trasferta di San Siro con l’Inter: perde 3-1 e “Long John” resta a secco. Alla ripresa degli allenamenti, in uno dei suoi frequenti raptus, Chinaglia entra nello stanzino di Maestrelli a Tor di Quinto e gli chiede di escludere Re Cecconi contro il Cagliari e riportare titolare Inselvini. Maestrelli, come al solito, lo ascolta in silenzio, poi senza scomporsi gli dice: “Va bene Giorgio. Allora domenica tu giochi a centrocampo con la maglia numero 8 e al posto tuo metto Franzoni con la maglia numero 9”. Chinaglia capisce di aver esagerato e non replica. Chiaramente, la domenica contro il Cagliari è Re Cecconi a giocare titolare e “Long John” segna una doppietta; poi la settimana successiva un gol decisivo nel derby, poi addirittura 3 reti il 7 aprile a Napoli e un altro gol nell’incredibile vittoria in rimonta contro il Verona. In tanti al posto di Maestrelli, risultati alla mano, avrebbero fatto pesare a uno come Chinaglia quell’episodio. In tanti, ma lui no.
Il secondo episodio, è legato all’ennesima litigata tra Chinaglia e Frustalupi, reo di non averlo servito in profondità nel finale della partita pareggiata 0-0 a San Siro con il Milan. Chinaglia, nella consueta scaramantica cena del lunedì sera a casa Maestrelli, chiede all’allenatore di non far giocare Frustalupi contro il Genoa. Senza una smorfia, l’allenatore continua a riempire i piatti degli ospiti e senza guardare in faccia Chinaglia gli dice: “Giorgio, se non te la senti di giocare domenica, basta che parli con Ziaco, poi ci pensa il dottore a inventare una scusa con i giornalisti per giustificare la tua assenza”. Come era successo la volta precedente con Re Cecconi, chiaramente Frustalupi gioca contro il Genoa e Chinaglia firma il gol della vittoria.
Questo era Tommaso Maestrelli, uomo dal cuore immenso, all’apparenza mite ma dal grande carattere. Quel carattere che gli ha consentito di restare in sella all’inizio della sua avventura laziale, quando prendendo il posto del “santone” Lorenzo si è trovato contro l’intero ambiente. Da una parte i tifosi, quelli che raggruppati ne “la coscienza della Lazio” non gli perdonavano il suo passato da romanista e non lo consideravano abbastanza esperto per raccogliere l’eredità del tecnico argentino. Dall’altra parte la squadra, ma soprattutto Chinaglia, arrivato addirittura a chiedere a Lenzini di essere ceduto dopo l’annuncio dell’arrivo di Maestrelli. Senza fare polemiche, il “Maestro” ha usato le sue armi da psicologo per costruire un rapporto di fiducia con il leader dello spogliatoio, poi è andato da Lenzini e gli ha detto chiaramente: “Se resta Chinaglia, mi assumo qualsiasi responsabilità, ma se vendete Chinaglia non posso garantire nulla”.Giogione resta e la Lazio conquista la promozione. Ma le polemiche e le contestazioni non si placano. Dopo la furibonda lite di inizio stagione, a fine campionato Maestrelli chiede e ottiene la cessione di Rosario Di Vincenzo e affida il ruolo di portiere titolare a Felice Pulici, esordiente in serie A. Dopo le sconfitte estive in serie in Coppa Italia, una commissione di capo-tifosi chiede a Umberto Lenzini la testa di Maestrelli e invoca nuovamente il ritorno di Lorenzo. Ma in soccorso del“Maestro” va proprio Giorgio Chinaglia, che da leader si schiera dalla parte del suo allenatore.
Il problema di quella Lazio sta nel fatto che Maestrelli ha deciso di impostare la sua squadra con quell’idea di calcio totale che due anni dopo porta l’Olanda a stupire il mondo intero ai Mondiali in Germania.
“Sto cercando di ripetere nella Lazio quello che, con le debite proporzioni, ho già fatto nella Reggina e nel Foggia. Qui il compito si presenta più facile dal punto di vista tecnico ma più difficile sotto l’aspetto psicologico. Si tratta di convincere alcuni elementi, dotati di spiccata personalità, a modificare in parte il loro gioco e le loro caratteristiche. In parole povere, secondo me un calciatore è completo se si sa adattare in qualsiasi zona del campo. Da quel che ho visto durante gli allenamenti, quasi tutti i giocatori della Lazio hanno queste caratteristiche, ma neppure loro lo sanno. Tutto sta a vedere se avranno voglia di mettere in pratica certi miei consigli”.
Un modulo e un modo di giocare a calcio diverso, difficile da digerire, ma durante l’estate, partita dopo partita la Lazio cresce. Al via del campionato, in una piovosa domenica di settembre, la Lazio mette alle corde l’Inter, domina la partita ma chiude sullo 0-0, uscendo però tra gli applausi dei suoi tifosi. La domenica successiva, vittoria in casa della Fiorentina e poi un’incredibile serie di 10 partite senza sconfitte che mettono fine alla contestazione.
Ad aiutare Maestrelli a resistere in quel periodo è l’appoggio di alcuni amici fidati, la difesa pubblica da parte di Chinaglia, ma soprattutto il sostegno da parte della sua famiglia. E’ impossibile, infatti, parlare di Maestrelli senza citare i suoi figli e sua moglie.
“Se sono riuscito a raggiungere, in pochi anni, traguardi così importanti in un ambiente difficile come quello romano – dice in un’intervista a Sandro Petrucci – lo devo a Umberto Lenzini, che mi ha sempre difeso nei momenti più delicati; all’appoggio di un ristretto gruppo di amici giornalisti che mi ha protetto e incoraggiato a proseguire sulla strada intrapresa; a mia moglie Lina, che mi ha sopportato nei momenti in cui ero di cattivo umore. E ai miei figli. E’ bene che la gente sappia che il contributo della mia famiglia ai successi della Lazio è stato determinante. Nessuno può sapere che cosa può significare per un allenatore rientrare a casa dopo una giornata impegnativa e stressante, sia dal punto di vista fisico che psicologico, e trovare un ambiente caldo e sereno. Ho avuto la possibilità di dedicarmi anima e corpo alla Lazio, solo perché mia moglie ha sempre provveduto da sola a mandare avanti la famiglia”.
Partita dopo partita Maestrelli costruisce un gruppo, unito in campo la domenica almeno quanto è diviso durante la settimana. Il “Maestro” riesce a fare da arbitro imparziale tra i due clan. Non perde quasi mai la pazienza, né per quello che combinano i suoi ragazzi a Tor di Quinto né per quello che succede a volte la domenica in campo. Non alza la voce per reclamare eventuali torti arbitrali, sbotta solo a Napoli, alla fine dell’ultima partita di campionato della stagione ’72-‘73, commentando uno scudetto perso sul filo di lana. “Grazie al Napoli e al suo gioco intimidatorio abbiamo perso lo scudetto“, dice con grande amarezza, glissando in modo elegante su quello che è successo nel secondo tempo all’Olimpico tra Roma e Juventus. Per smaltire le scorie dei veleni di quel finale di campionato la sua Lazio vola negli Stati Uniti per una serie di amichevoli. Lì, in terra americana, la squadra stringe un patto d’acciaio.
Alla ripresa della preparazione, Maestrelli gioca a nascondersi. Non parla mai di scudetto, scarica il peso della responsabilità su Milan, Inter, Juventus e Napoli, ma crede fermamente nella conquista del titolo. E settimana dopo settimana, la sua Lazio vola, superando anche momenti come l’infortunio di Re Cecconi citato prima, come i due derby in cui va in svantaggio e che vince proprio grazie ad alcune sue intuizioni. All’andata, sostituisce D’Amico in crisi di nervi con Franzoni che, al primo pallone toccato, realizza il gol del pareggio. Nella partita di ritorno, Chinaglia segna il gol della vittoria e mentre i giocatori della Lazio escono protetti dagli scudi della Polizia,“Long John” sfida da solo e senza nessuna protezione l’intera Curva Sud, rientrando con il dito alzato e irridendo i tifosi avversari: dentro e fuori lo stadio succede il putiferio, tanto che il campo della Roma viene squalificato per due giornate. Chinaglia subisce un massacro dalla critica, ma Maestrelli si schiera dalla parte del suo giocatore e insieme a padre Antonio Lisandrini lo difende pubblicamente. Anche grazie a piccoli episodi come questi, la Lazio vince lo scudetto. Ma per Maestrelli non c’è neanche il tempo per festeggiare.
Ai Mondiali in Germania, sostituito contro Haiti, Chinaglia manda palesemente a quel paese in mondovisione Valcareggi. Maestrelli, chiamato nel cuore della notte, la mattina dopo si precipita a Stoccarda per parlare con il suo “figlioccio”. Trova un ambiente in subbuglio, con il presidente federale Artemio Franchi e mezza Nazionale che pretendono l’immediato allontanamento di Chinaglia, mentre Re Cecconi, Wilson, Juliano, Riva e altri calciatori azzurri minacciano di abbandonare anche loro il ritiro in caso di estromissione di Chinaglia. Maestrelli fa lo psicologo e il mediatore, smonta il caso, convince Giorgio a scusarsi pubblicamente e anche se questo non basta per salvare il Mondiale dell’Italia, con questo intervento Maestrelli si conquista la stima e il rispetto di Artemio Franchi, che dopo il Mondiale gli offre addirittura la panchina azzurra.
Tra la fine del 1974 e l’inizio del 1975, Maestrelli è contattato da emissari della Fedecalcio che sondano il terreno per capire se c’è la disponibilità da parte dell’allenatore. Maestrelli è combattuto tra il rimanere alla Lazio o lo sfruttare un’occasione sicuramente irripetibile come quella di allenare la Nazionale, in vista anche dei Mondiali del 1978 in Argentina. I giocatori capiscono subito la situazione e se ne preoccupano, ma Maestrelli smorza subito la tensione, facendo capire loro che la decisione la prenderà solo a fine campionato ’74-‘75. C’è uno scudetto da difendere e anche senza la Coppa dei Campioni (la Lazio è squalificata per gli incidenti della stagione precedente contro l’Ipswich in Coppa Uefa) il “Maestro” vuole fare fino in fondo il suo dovere. Ma il destino è in agguato dietro l’angolo.
Tra gennaio e febbraio del 1975, Maestrelli accusa spesso delle fitte allo stomaco. Dopo un po’ di riposo, i dolori passano e quel campanello d’allarme viene sottovalutato. Il 30 marzo del 1975, tornando in pullman dalla vittoriosa trasferta di Bologna, Maestrelli ha un malore e sente come un brivido freddo allo stomaco. A questo punto anche Renato Ziaco inizia a preoccuparsi e consiglia a Maestrelli un ricovero in clinica per fare degli accertamenti. A malincuore il “Maestro” accetta e due giorni dopo entra nella Clinica Paideia per sottoporsi ad una serie di esami medici, lasciando la squadra nella mani di Bob Lovati. Il verdetto è tremendo: tumore al fegato con metastasi estese allo stomaco. La notizia deve rimanere segreta, ma arriva lo stesso in ritiro alla vigilia della sfida con il Torino. Alcuni giocatori, in lacrime, scendono in campo solo per onor di firma: la Lazio perde addirittura 5-1 e esce dalla corsa per lo scudetto. A fine partita i giocatori scappano in clinica dal“Maestro” operato d’urgenza, ma i medici non lasciano speranze: al massimo due mesi di vita. La famiglia, però, non si arrende e si affida a un immunologo, Saverio Imperato, che sottopone Maestrelli ad una cura da lui stesso sperimentata. I risultati sono stupefacenti. Pur dimagrito di 15 chili, il “Maestro” comincia a reagire bene fino a tornare a mangiare e ad alzarsi dal letto. Dalla sua casa arrampicata in cima alla collina Fleming, segue con il binocolo i suoi ragazzi che si allenano a Tor di Quinto a un paio di chilometri di distanza. Il campionato finisce, Chinaglia vola negli Stati Uniti e la squadra viene affidata a Corsini, che dura però poco. Tornato dall’esperienza estiva con i Cosmos, Giorgio Chinaglia dopo la sconfitta con l’Ascoli chiede e ottiene da Lenzini il licenziamento di Corsini. A sorpresa, l’uomo già condannato dai medici, torna in campo per guidare i suoi ragazzi verso la salvezza. Per l’ambiente il ritorno di Maestrelli è una scossa decisiva. L’impresa-salvezza riesce, nonostante l’addio definitivo di Chinaglia a poche giornate dal termine, grazie ai gol di Giordano e a quell’incredibile pareggio ottenuto all’ultima giornata a Como. Sono passati due anni dallo scudetto, ma avvolto dall’abbraccio di migliaia di tifosi saliti da Roma fino a Como, Maestrelli viene portato in trionfo come e più che in occasione di quel Lazio-Foggia del 12 maggio 1974.
Stremato dallo stress e dallo sforzo per quell’impresa, a fine stagione Tommaso Maestrelli lascia definitivamente, consegnando la squadra nelle mani di Luis Vinicio. La malattia, tenuta a bada per oltre un anno e mezzo, si riaffaccia e questa volta non gli dà scampo. Il 2 dicembre, dopo aver ricevuto l’abbraccio dei suoi ragazzi reduci dalla vittoria nel derby, Tommaso Maestrelli muore, a soli 54 anni. Il giorno dopo, Roma si ferma per i suoi funerali. Piazza dei Giuochi Delfici, Vigna Stelluti e Ponte Milvio sono completamente bloccate dalla presenza di decine di migliaia di persone, una folla strabocchevole che arriva fino al Lungotevere. Il 4 dicembre, a San Siro, la Lazio affronta l’Inter. Durante il minuto di raccoglimento prima della partita, sul tempio del calcio cala un silenzio assoluto, rotto solo dal suono di una tromba che intona le note del “Silenzio”. Piangono tutti: i giocatori in campo e il migliaio di tifosi della Lazio saliti fino a Milano. L’applauso che accoglie le ultime note uscite da quella tromba sembra non finire mai. Io quel giorno sono presente sugli spalti a San Siro, sull’anello superiore e, a distanza di quasi 35 anni, provo ancora i brividi ricordando quei momenti e riesco a stento a trattenere le lacrime.
Con la morte del “Maestro”, finisce l’era di un grandissimo uomo e allenatore e inizia quella del“mito-Maestrelli”. La Lazio gli intitola il centro sportivo di Tor di Quinto e poi la Curva Sud dello Stadio Olimpico. I tifosi, quando arriva un nuovo allenatore, cercano subito dei punti di contatto con il “Maestro”. Li trovano solo in Sven-Göran Eriksson, l’unico considerato degno di raccogliere l’eredità del Maestrelli allenatore. Ma nessuno è riuscito a emulare le imprese del Maestrelli-uomo, di quello che resterà per sempre nella storia della Lazio come l’unico degno di essere chiamato il“Maestro”.
STEFANO GRECO
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