Il ciclista castellanese impreziosisce la Hall of Fame della polisportiva laziale
Dai dolci declivi delle colline tortonesi, immerse nel cuore dell’alessandrino, nasce la storia di una delle leggende più amate, celebrate ed omaggiate dello sport italiano: il ciclista Fausto Coppi, quarto dei cinque figli di Domenico Coppi e di Angiolina Boveri, soldato e atleta che ha dato onore alla Penisola in sella ad una bicicletta, appassionando gli sportivi di tutto il mondo anche instaurando un’affascinante e rispettosa rivalità con il pluricampione Gino Bartali. Il suo nome è legato alla Polisportiva più antica e grande del Vecchio Continente, vestendone l’azzurra casacca dopo il periodo più buio della sua vita.
Ma non corriamo. Eravamo partiti dal Piemonte. Ebbene, Castellania Coppi (il secondo nome la dice lunga sull’importanza del personaggio) vede Fausto frequentare le scuole elementari con scarso profitto, preludio al lavoro agreste nella coltivazione di granturco e vite di famiglia e al trasferimento in una macelleria di Novi Ligure, dove inizierà le consegne proprio in bicicletta, proprio nella città di Biagio Cavanna, noto massaggiatore che lo introdurrà nel giro di corse a Pozzolo Formigaro. Cavanna, “faccia sgherra, fra il gangster e il capitano di ventura” che “del ciclismo sa tutto, anche i delitti”, sarà il primo a intravedere le potenzialità del giovane Fausto (il quale ha nel frattempo comprato, con i risparmi messi da parte e con una somma regalatagli dall’omonimo zio, la sua prima Maino da 520 lire) e gli farà per tanti anni da chioccia, fornendogli consigli e addestramento. Fausto Coppi ha una struttura ossea e muscolare notevolmente fragile, un difetto d’infanzia non di poco conto; il tutto controbilanciato, però, dal formidabile sistema cardiocircolatorio (torace ampio, capacità polmonare di 7,5 litri e 34 pulsazioni cardiache/minuto a riposo), che gli permettevano una resistenza allo sforzo fino ad allora mai osservata in nessun atleta. Le prime gare non sono però incoraggianti, nonostante la presenza di forte potenziale e stoffa da vincente; al debutto, si mette persino la sfortuna, con uno pneumatico che inavvertitamente si sgonfia e costringe il nostro al ritiro. Dopo alcune compatizioni regionali, nel 1938 gareggia con i professionisti nel Giro dei Piemonte, in cui giunge terzo alle spalle di Bartali e Del Cancia. All’evento sportivo presenzia, con attento sguardo da osservatore, il direttore sportivo Pavesi, della “Legnano”. Quello stesso anno Fausto vince ancora la Coppa Canepa a Genova, il Giro del Casentino, i circuiti di Varese e di Susa, e suggella altri importanti piazzamenti a diversi GP. Nel 1940, arriva la grande chiamata dalla “Legnano” (che aveva come leader Bartali), ma nel frattempo riceve la l’ordine di imbracciare le armi, nonostante le licenze per gareggiare e i permessi straordinari. Dopo risultati modesti, al Giro d’Italia, approfittando anche di una serie di incidenti capitati a Bartali, vince la corsa a Modena, qualificandosi come più giovane vincitore della corsa rosa, a soli ventuno anni. Qualche settimana dopo si afferma nell’inseguimento, battendo Introzzi, Leoni e Bizzi e laureandosi campione d’italia. Nei due anni seguenti confermò questa superiorità riconquistando ìl titolo italiano e vincendo tutti gli incontri disputati, ma il Secondo conflitto mondiale era alle porte. Coppi viene imprigionato in Africa dagli inglesi e trasferito al campo di detenzione di Caserta, dove per due anni non salirà su alcuna bici, salvo una modesta due ruote regalatagli da un appassionato della vicina Somma Vesuviana. È la Polisportiva Lazio che lo rimette in sella, sottraendolo, grazie a permessi accordati con il comando militare angloamericano di zona, alla condizione di autista presso il Tenente Towell. Guidata dal Presidente Stinchelli, la Lazio, società protagonista in molteplici sezioni sportive, nella primavera del 1945 tessera il “Campionissimo” nella sezione ciclismo, dove lo seguirà anche il fratello Serse. Tre anni dopo gli ultimi successi arrivano le nuove vittorie con la Lazio Ciclismo: la Coppa Salvioni, la Coppa Candelotti nel Lazio, il circuito degli Assi, il circuito di Ospedaletti e il circuito di Lugano. Alla fine del 1945 conclude la sua esperienza nella Polisportiva e firma per la più prestigiosa Bianchi, appena tornata alle corse. Capitano della mitica squadra e seguito anche dal fratello Serse che sarà suo gregario, darà il via al ciclo di vittorie che lo consacrerà come leggenda: altri quattro Giri d’Italia, dopo il primo conquistato durante il Ventennio, due Tour de France, le maggiori classiche europee e il titolo di Campione del Mondo su strada nel 1953 a Lugano.
Benché nella sua vita vi è stata l’infelice prigionia e gli inizi stentati, il valore di Fausto Coppi sale agli onori della grande cronaca soltanto nel dopoguerra e i giornalisti dell’epoca si destreggiarono nel trovare gli aggettivi più bizzarri, come “corridore soprannaturale”, “sublime” dalla pedalata “aerea”, “perfetta”, persino associato a un airone, a un’aquila, a un gabbiano. L’approccio di Coppi al ciclismo fu del tutto rivoluzionario, ci azzardiamo a definirlo anche scientifico: le sedute presso Centro di medicina sportiva di Milano, dove ricevette la consulenza di medici dal fiorente curriculum, ebbero l’effetto di perfezionare la sua dieta e il suo stile di vita, direzionandolo verso le esigenze di uno sportivo e catechizzando l’allenamento al fine di raggiungere livelli più elevati di resistenza e di velocità. Mise a punto innovazioni per adattare il mezzo e gli accessori (dal telaio della bicicletta al sellino, ai fermapiedi, alle scarpe, agli occhiali, alle maglie, ecc.) alle esigenze fisiologiche e alle caratteristiche di ogni corsa. Questo gli procurò un sorprendente miglioramento nelle medie orarie, passando dai 32 ai 40-42 km/h. Insuperabile passista (dominatore quasi incontrastato nelle prove a cronometro a differenza del suo rivale Bartali), finì per eguagliare e superare quest’ultimo anche come scalatore. Deve alla Lazio il suo ritorno sulle due ruote, dopo che il disastro della guerra e la cattura per mano britannica avevano posto momentaneamente fine ai suoi allenamenti e alla sua crescita professionale. I suoi record restano indelebili pagine dello sport italiano, accompagnate dalle radiocronache dell’epoca (“Un uomo solo al comando; la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”, recitava il giornalista Mario Ferretti in riferimento alla casacca di appartenenza della Bianchi) le quali contribuiscono ad impreziosire un immaginario tanto dolce quanto lontano nei ricordi.
Si ringraziano: Laziowiki, Enciclopedia Treccani
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